“Ho paura per la mia vita”


“Ho pensato che mi avrebbero spaccato le gambe, come minimo. Ma penso che sono persone che possono andare anche oltre. Ho paura per la mia vita e quella dei miei familiari. I timori derivano da quello che potrebbero fare le persone che stanno riscuotendo il debito”. Così raccontava agli inquirenti un piccolo imprenditore reggiano: una delle vittime “incravattate” – 4 quelle già individuate – dal gruppo criminale accusato a vario titolo di usura aggravata e continuata in concorso, estorsione e favoreggiamento contro il quale ieri all’alba si è scatenata l’Operazione Ottovolante. In campo oltre 60 militari della Guardia di Finanza di Reggio insieme ad altri reparti specialistici delle Fiamme Gialle, che hanno eseguito misure cautelari, perquisizioni, sequestri preventivi di denaro e beni per 413mila euro pari al guadagno derivato da prestiti con interessi monstre fino al 177,5%.

Spesse mazzette di contanti sono state ritrovate grazie al fiuto dei “cash dog” e a potenti scanner in vari nascondigli impensabili, come il vano-filtro di una lavatrice.

L’INCHIESTA

Cinque gli indagati: verso l’imprenditore cinquantenne Giambattista Di Tinco è stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere; arresti domiciliari per Salvatore Iemmello, 42 anni, di Reggio; divieto di residenza in tutto il territorio dell’Emilia Romagna per Filomena Arabia, 40 anni, sempre di Reggio. Indagati a piede libero Mario Falbo, 53 anni, di Cadelbosco Sotto e Nicola Arabia, classe 1987, di Quattro Castella. Di Tinco era già ai domiciliari in Puglia per l’inchiesta ’Minefield’ di un anno fa, relativa a società cartiere che producevano fatture per operazioni inesistenti (4 milioni di profitti, oltre 6 milioni di imposte evase). Ed è proprio dall’approfondimento di quei fatti che si è risaliti alla prima vittima, quindi s’arrivati a ricostruire il presunto giro di usura. Secondo le accuse, l’imprenditore prestava denaro a piccoli imprenditori in difficoltà, pretendendo interessi fino al 177,5% sul capitale. Per incassare le “rate” si avvaleva – nonostante fosse ai domiciliari – sia di telefoni che di un gruppo fedelissimi.

Le somme venivano materialmente consegnate all’entourage di Di Tinco nella sede della sua azienda, la Dg Service, di Calerno di Sant’Ilario.

LE VITTIME

Le vittime identificate sono quattro, le quali avrebbero in tutto versato 413mila euro ai presunti strozzini a fronte di debiti per circa 150mila euro. Si tratta di artigiani e piccoli imprenditori che avevano rapporti di lavoro con l’organizzazione o si avvalevano delle false fatture: quando si sono trovati in difficoltà, gli si è proposto il “servizio” di un prestito rapido e hanno accettato, senza capire che si stavano infilando da soli il cappio al collo.

GLI INVESTIGATORI

“Le indagini sono riuscite a risalire fino al 2018… Abbiamo la quasi certezza che si siano molte più vittime”, ha spiegato il procuratore capo Calogero Gaetano Paci, presentando l’operazione insieme ai sostituti Giulia Galfano e Stefano Finocchiaro, e al tenente colonnello Danilo De Mitri: “Sono reati difficili e di natura insidiosa, la relazione tra usuraio e usurato difficilmente viene fuori in modo spontaneo; la vittima è soggiogata minacce, violenze, evocando anche un potere che deriva dall’organizzazione Minefield. Siamo in un ambito di criminalità di tipo economico. C’è difficoltà a denunciare, anche perché quel rapporto perverso consente di mantenere in vita almeno per il momento la propria attività. Solo quando le persone offese si rendono conto di essere in una strada senza uscita, si affidano allo Stato”.

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Paci ha aggiunto: “A Reggio gli imprenditori onesti sono la stragrande maggioranza: se invischiati in queste situazioni, li invito a rivolgersi allo Stato”.

LA GUARDIA DI FINANZA

Il colonnello Ivan Bixio, comandante provinciale della Finanza, a sua volta ha commentato: “Diverse vittime vengono oggi liberate dalla spirale dell’usura; un crimine che condiziona pesantemente la vita di chi vi cade e dei propri familiari. Per anni hanno infatti corrisposto interessi fino al 177% e sono stati oggetto di minacce e varie forme di intimidazione. Oggi grazie all’attività svolta, oltre a svincolarsi da questa schiavitù, potranno avviare un percorso verso l’accesso al Fondi previsto per le vittime di usura”.

L’imponente apparato di intercettazioni telefoniche e ambientali anche con l’uso di micro-telecamere ha mostrato come alcune conversazioni compromettenti venivano scritte su fogli. Significativa anche la mimica, come quando si sfregavano indice e pollice per indicare le somme da pagare. Per le attività tecniche sono stati spesi 79mila euro. Sempre dalle intercettazioni emerge che i prestiti o le mazzette che le vittime pagavano venivano indicato ‘in codice’ come noleggi di automezzi e macchinari, auto di lusso, leasing o forniture, con martellanti richieste di restituzione: “Guarda che è scaduto il noleggio”, “Buonasera, caro. Mercoledì vengono a ritirare il furgone…”, “Allora il furgone mi è arrivato, se vuoi oggi pomeriggio te lo posso dare”. Se il “mezzo” non veniva consegnato, le ripercussioni avrebbero potuto essere molto gravi anche per i familiari del debitore.



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