E’ atteso per giovedì 12 dicembre il verdetto della Cassazione che stabilirà l’esistenza di un clan di mafia a Scanzano Jonico. La procura generale di Potenza ha chiesto un nuovo processo di secondo grado
POTENZA – Sarà la Cassazione a decidere, giovedì, sull’esistenza o meno di un clan mafioso di base a Scanzano Jonico. Dopo oltre 10 anni segnati da una lunga scia di incendi in buona parte rimasti senza un colpevole, vari episodi allarmanti, indagini a tutto campo della Direzione distrettuale antimafia, scontri tra procure e processi con epiloghi contrastanti. Fino allo scioglimento dell’amministrazione comunale per rischio di infiltrazioni.
Di fronte ai giudici della Suprema Corte compariranno i difensori dell’ex carabiniere Gerardo Schettino e i suoi presunti sodali, che a giugno del 2022 erano stati condannati dal Tribunale di Matera per una serie di reati, inclusa l’associazione a delinquere di stampo mafioso, ma a novembre dell’anno scorso si sono visti “abbuonare” dalla Corte d’appello di Potenza proprio quest’ultimo reato. Vanificando buona parte del lavoro dell’Antimafia lucana per provare l’esistenza anche nel metapontino, una volta per tutte, di qualcosa in più di gruppi di spacciatori in lotta per conquistare quote di mercato. Specie dopo le inchieste che da Taranto e dalla Calabria sono approdate proprio nel litorale ionico lucano. Ricostruendo le relazioni intrattenute, talvolta addirittura alla pari, tra esponenti delle più note organizzazioni criminali e i loro referenti in Basilicata.
I difensori di Schettino e gli altri puntano a ottenere, come minimo, un ulteriore sconto di pena dopo quello concesso dalla Corte d’appello di Potenza.
LO SCIOGLIMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI SCANZANO
Ai giudici di piazza Cavour, però, si sono rivolti anche il procuratore generale di Potenza, Armaldo D’Alterio, e l’allora pm Antimafia Annagloria Piccininni chiedendo un nuovo processo d’appello per rivalutare l’esistenza di un’associazione mafiosa guidata dall’ex carabiniere.
I due procuratori hanno evidenziato, in particolare, la mancata considerazione da parte della Corte d’appello di Potenza proprio dello scioglimento dell’amministrazione comunale di Scanzano Jonico deciso a dicembre del 2019. Ma anche la mancata considerazione di tutta una serie di elementi che deporrebbero per l’esistenza di un clima di intimidazione attorno al presunto clan.
I due pm hanno provato a confutare anche un altro pilastro della tesi della Corte d’appello di Potenza sull’inesistenza di clan mafioso guidato da Schettino. Ovvero le intercettazioni effettuate dall’Antimafia in Calabria in cui si sentono alcuni presunti esponenti della ‘ndrangheta definire Schettino «un infame» per i suoi trascorsi nell’Arma dei carabinieri, e ordinare l’«isolamento» di Scanzano.
LA MANCATA CONSIDERAZIONE DELLE DICHIARAZIONI DEL PENTITO
Secondo D’Alterio e Piccininni, infatti, si sarebbe trattato soltanto di espressioni di astio dovute a forniture di droga non pagate. Nessun “disconoscimento” criminale, insomma. Anzi.
«Nella sentenza, oggi impugnata, nella parte relativa al reato di associazione di stampo mafioso – proseguono i due procuratori – risulta totalmente disattesa la valutazione critica della prova in ordine all’esistenza di riti di affiliazione come dato connotato di indubbia decisività ai fini della valutazione quale indice sintomatico della sussistenza del reato associativo di stampo mafioso».
Altra questione sollevata riguarda la condanna definitiva già inflitta come operativo del clan mafioso Schettino a un suo presunto appartenente diventato collaboratore di giustizia, Mateusz Jacob Wilk. Quindi la mancata considerazione, in Appello, delle dichiarazioni del pentito.
Quanto al clima di intimidazione attorno al clan, che per i giudici di secondo grado sarebbe inesistente, D’Alterio e Piccininni hanno fatto riferimento, tra l’altro, alla testimonianza di un altro pentito, l’ex boss di Montescaglioso Giuseppe D’Elia.
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