«Diciotti, il governo risarcisca i migranti». Meloni: decisione frustrante




Il presidio organizzato dalla rete Antirazzista catanese per chiedere che vengano fatti scendere i migranti dalla nave Diciotti a Catania, il 21 agosto 2018 – ANSA

Si riapre il caso Diciotti. La Cassazione, sezioni unite civili, il massimo livello della giustizia, ha accolto il ricorso di un migrante eritreo che era a bordo della nave della Guardia costiera che su ordine del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, dal 16 agosto al 25 agosto 2018, nei primi quattro giorni non fu autorizzata ad attraccare in un porto italiano e nei successivi sei giorni, una volta permesso l’attracco nel porto di Catania, non ottenne il consenso allo sbarco sulla terra ferma.

Per la Cassazione invece dovevano sbarcare subito e quindi il danno per i migranti c’è stato, e deve essere risarcito, diversamente da quanto deciso un anno fa dalla Corte d’appello di Roma.

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Dunque, come scrive nell’ordinanza depositata ieri, «cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione».

Molte le affermazioni importanti della Cassazione nel motivare la propria decisione. «L’obbligo del soccorso in mare – scrive con estrema chiarezza la Corte – corrisponde ad una antica regola di carattere consuetudinario, rappresenta il fondamento delle principali convenzioni internazionali, oltre che del diritto marittimo italiano e costituisce un preciso dovere tutti i soggetti, pubblici o privati, che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo esistente in qualsiasi zona di mare in cui si verifichi tale necessità; come tale esso deve considerarsi prevalente su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare». Quindi, «le Convenzioni internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito, costituiscono, dunque, un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli artt. 10, 11 e 117 della Costituzione, non possono costituire oggetto di deroga sulla base di scelte e valutazioni discrezionali dell’autorità politica, poiché assumono, in base al principio “pacta sunt servanda”, un rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna».

Affermazione di grande attualità, come per la nota vicenda dei centri in Albania, sui quali si è in attesa della decisione della Corte Ue.

Entrando nel merito della vicenda della Diciotti, i giudici ricordano che «le operazioni di soccorso erano state di fatto assunte sotto la responsabilità di una autorità SAR italiana, la quale era tenuta in base alle norme convenzionali a portarle a termine, organizzando lo sbarco, nel più breve tempo ragionevolmente possibile».

Invece, denuncia la Corte, «non può dubitarsi che la mancata tempestiva indicazione del POS (Place of Safety, ndr), unitamente alla decisione di non far scendere i 177 migranti per cinque giorni sebbene la nave fosse già ormeggiata nel porto di Catania, costituisca una chiara violazione della normativa internazionale».

Dunque si è trattato di «arbitrarietà del trattenimento dei migranti». E quindi un danno. I giudici respingono la tesi del Governo che si sia trattato di un atto politico e quindi «sottratto al sindacato giurisdizionale». «La nozione di atto politico ha carattere eccezionale, perché altrimenti si svuoterebbe di contenuto la garanzia della tutela giurisdizionale». Per questo, «l’impugnabilità dell’atto è la regola: una regola orientata ad offrire al cittadino una concreta protezione della propria sfera soggettiva individuale contro le molteplici espressioni di potere in cui si concreta l’azione della pubblica amministrazione». Dunque «non è soggetto a controllo giurisdizionale solo un numero estremamente ristretto di atti in cui si realizzano scelte di specifico rilievo costituzionale e politico».

E questo spiega anche il diritto del giudice ad intervenire. «Per statuto costituzionale, il giudice non può essere chiamato a fare politica in luogo degli organi di rappresentanza. Lo preclude il principio ordinamentale della separazione tra i poteri». Ma, aggiunge la Corte con una riflessione anch’essa attualissima, «il giudice, quale che sia il plesso di appartenenza, è non solo rispettoso degli ambiti di attribuzione dei poteri, ma anche, sempre per statuto costituzionale, garante della legalità, e quindi non arretra là dove gli spazi della discrezionalità politica siano circoscritti da vincoli posti da norme che segnano i confini o indirizzano l’esercizio dell’azione di governo». E tra tali vincoli «rilievo primario ha certamente il rispetto e la salvaguardia dei diritti inviolabili della persona. L’azione del Governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati».

È proprio il caso della Diciotti perché «va certamente escluso che il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare protratto per dieci giorni possa considerarsi quale atto politico sottratto al controllo giurisdizionale. Non lo è perché non rappresenta un atto libero nel fine, come tale riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici concernenti la costituzione, la salvaguardia o il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione». Dunque non si è di fronte «ad un atto che attiene alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali». Piuttosto «si è in presenza di un atto che esprime una funzione amministrativa da svolgere, sia pure in attuazione di un indirizzo politico, al fine di contemperare gli interessi in gioco e che proprio per questo si innesta su una regolamentazione che a vari livelli, internazionale e nazionale, ne segna i confini. Le motivazioni politiche alla base della condotta non ne snaturano la qualificazione, non rendono, cioè, politico un atto che è, e resta, ontologicamente amministrativo».

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Affermazioni che smontano le tesi del Governo che in questo, come nel caso della Open Arms, ha sempre definito le proprie decisioni come “atti politici”. Non è così, dicono le sezioni unite della Cassazione che, infine, ritengono che la causa civile non si debba fermare se quella penale è stata bloccata dalla mancata autorizzazione a procedere da parte del Parlamento nei confronti di Salvini. «Se principio cardine di uno Stato costituzionale di diritto è la giustiziabilità di ogni atto lesivo dei diritti fondamentali della persona, ancorché posto in essere dal Governo e motivato da ragioni politiche, la sottrazione dell’agire politico a tale sindacato non può che costituirne l’eccezione, come tale soggetta a interpretazione tassativa e riferibile, dunque, solo alla responsabilità penale».

Insomma, il danno c’è stato, lo si può giudicare quindi tocca nuovamente alla Corte d’appello ovviamente tenendo conto dei chiari “paletti” posti dalla Cassazione.

I commenti di Meloni, Tajani e Salvini

«Non credo siano queste le decisioni che avvicinano i cittadini alle istituzioni e confesso che dover spendere soldi per questo, quando non abbiamo abbastanza risorse per fare tutto quello che sarebbe giusto fare, è molto frustrante». Lo afferma sui social la premier Giorgia Meloni, commentando la sentenza con cui la Cassazione ha accolto il ricorso di un gruppo di migranti a cui, dal 16 al 25 agosto del 2018, dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, fu impedito di sbarcare dalla nave Diciotti.

«Non so cosa rispondere, credo che il dovere del governo è di difendere i confini nazionali, ma se tutti gli immigrati irregolari chiedessero un risarcimento così facciamo fallire le casse dello Stato. È una sentenza che non condivido, non ne condivido le basi giuridiche». Così il ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia Antonio Tajani a una domanda sulla decisione della Cassazione sul risarcimento chiesto al governo per i migranti trattenuti sulla nave Diciotti.

«Sentenza della Cassazione sulla Diciotti? Ennesima vergogna. Chiedere dopo anni che siano i cittadini italiani a pagare per la difesa dei confini, di cui ero orgogliosamente protagonista, è indegno. Paghino i giudici e accolgano i clandestini, se ci tengono tanto». Lo afferma sui social il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini.

La replica della presidente Cassano e Carbone (Csm)

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«Le decisioni della Corte di Cassazione, al pari di quelle degli altri giudici, possono essere oggetto di critica. Sono invece inaccettabili gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto». Lo afferma la prima presidente della Corte Margherita Cassano, dopo le polemiche in seguito alla sentenza sulla Diciotti.

«Questa è una visione di una giustizia a buffet…in pochi mesi siamo passati dall’attacco violento ai singoli magistrati, all’attacco alla magistratura e oggi vediamo un attacco alla giurisdizione. Questo clima non aiuta. Chi cerca lo scontro così non vuol bene al Paese». Lo dichiara, con una nota, il consigliere laico del Csm, eletto in quota Iv, Ernesto Carbone. «Meloni che parla di principio risarcitorio opinabile – osserva ancora Carbone -. Salvini che dice ennesima invasione di campo. Non so che studi abbiano fatto il premier e il ministro dei Trasporti, consiglierei però la prossima volta prima di commentare una sentenza delle sezioni unite della Cassazione di confrontarsi con qualcuno. Basterebbe uno studente di giurisprudenza».





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