I leader delle Big tech si allineano a Trump: stupisce la semplicità dei cambi di casacca


Il potere moderno ha diverse forme: uno è quello più classico della politica, l’altro è più innovativo, ha il retrogusto del digitale e consente a una manciata di leader, chiamati Ceo, di decidere del destino di miliardi di utenti. Mai come oggi, guardando oltreoceano, l’intersezione tra governatori tradizionali e imperatori digitali si è infittita.

Fino a poco tempo fa l’amministrazione Biden poteva fare affidamento su un certo supporto da parte dell’industria tech. Oggi, lo scenario sembra ribaltarsi. I canali social che hanno per anni acconsentito alle pressioni del precedente governo americano ora volgono il loro sguardo verso il nuovo vento politico. Leader tecnologici da sempre in competizione appaiono incredibilmente allineati alla visione di Donald Trump.

Elon Musk è sempre stato un sostenitore del partito democratico fino a quando il ciuffo biondo Trump ha iniziato a sventolare, a sua detta, in direzione di una meritata libertà. Ha supportato la sua visione numerose volte soprattutto all’interno di arene digitali seguite in tutto il mondo come il video podcast di Joe Rogan, con quasi 20 milioni di iscritti solo su YouTube.

Musk è stato intervistato da Rogan nel 2021 per commentare in modo critico il modo in cui l’amministrazione Trump ha gestito il lockdown. È poi tornato un’altra volta nel 2023 per commentare, al contrario, i retroscena dell’acquisizione di X e i cosiddetti Twitter Files – una serie di documenti interni pubblicati da giornalisti indipendenti che rivelavano le pressioni del governo Biden sulla moderazione dei contenuti.

La scorsa settimana il Ceo di Tesla e SpaceX ha invece approfondito il suo nuovo ruolo nel Dipartimento per l’Efficienza Governativa (Doge), sottolineando come molte delle sue iniziative stiano portando alla luce inefficienze e sprechi nel governo federale. Come spesso accaduto in passato, Musk ha criticato i media tradizionali americani sostenendo che stiano allocando più energie ad attaccarlo che non a riconoscere tali sprechi.

Il formato video podcast conferma sempre di più come strumento privilegiato per la comunicazione politica e imprenditoriale. Rispetto alle interviste tradizionali, il podcast ha il vantaggio di essere più fluido, conversazionale, capace di creare un coinvolgimento che manca nei format più strutturati. Ed è anche il motivo per cui sempre più leader come Elon Musk, ma anche Mark Zuckerberg, scelgono di raccontarsi in questi spazi evitando il filtro delle testate giornalistiche.

Proprio il Ceo di Meta è stato intervistato a sua volta da Joe Rogan di recente, esattamente a gennaio del 2025. Ha ammesso che, durante l’amministrazione Biden, Facebook ha adottato politiche di censura su alcuni contenuti e profili. Una rivelazione curiosa, e un’inversione di marcia robusta, che suscita il lecito dubbio: Zuckerberg ha davvero subito queste pressioni, all’epoca, o le ha abbracciate con favore per poi cambiare casacca politica al momento giusto? Il dubbio permane.

Meta, a capo di Facebook, Instagram e WhatsApp, ha inoltre annunciato il trasferimento della propria sede legale dal Delaware al Texas, lo stesso Stato in cui risiede Musk e dove le politiche fiscali e regolatorie sono molto più favorevoli alle aziende. Infine, un altro segnale di avvicinamento strategico, è la decisione di sostituire il sistema di fact-checking con le community notes, un modello ispirato direttamente da X (ex Twitter).

A chiudere il cerchio è la recente svolta di Jeff Bezos, leader di Amazon ma anche del Washington Post, sul tema “libertà di parola”. Sebbene Bezos sia storico rivale di Musk nella corsa allo spazio con Blue Origin contro SpaceX, ha riorientato la linea editoriale del Washington Post, da sempre una delle testate più critiche nei confronti di Trump. Il cambiamento è stato così radicale da portare alle dimissioni del responsabile delle opinioni.

Ricapitolando, tre dei principali imperatori del mondo tech appaiono ufficialmente alla visione del nuovo presidente degli Usa. Il confine tra reale convinzione e convenienza temporanea è chiaramente labile, difficile da cogliere. Il coinvolgimento diretto di Elon Musk nel nuovo assetto governativo fa presupporre un ingaggio valoriale più concreto, specie se paragonato a quello di Mark Zuckerberg che pare essere semplicemente salito a bordo della nave Trump quando il vento tirava nella giusta direzione.

Rimane un fatto: la politica ha sempre più bisogno del supporto delle big tech. Non deve stupire, dato che la tecnologia domina oggi il mondo e l’economia che la sorregge impatta miliardi di persone – potenziali elettori. In passato la sinergia con la politica poteva arrivare da altri settori del business e oggi è il tech ad avere un ruolo fondamentale. A stupire, al massimo, è la semplicità con cui cambino le alleanze strategiche. Il 2024 si era aperto con il tech ancora schierato in larga parte con l’establishment liberal. Il 2025 sta già raccontando una storia diversa. Le cose cambiano in fretta ed è sempre più difficile determinare chi creda davvero in una causa. E chi la sostenga solo a tempo determinato.



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