I beni confiscati? Il rapporto di Libera ci dice che in Sicilia crescono


Un compleanno celebrato raccontando un mosaico di realtà che sino a qualche anno fa era nascosto, sconosciuto ai più, quello dei beni confiscati alla mafia, ma che in questi 29 anni è diventato patrimonio restituito e gestito, anche non sempre in maniera così facile rispetto alle aspettative iniziali, dalle comunità.

Era il 7 marzo 1996 quando la legge 109 introduceva il tema della gestione e destinazione dei beni sequestrati o confiscati alla mafia e, alla vigilia di questo anniversario, con “Raccontiamo il bene” arriva la fotografia che Libera scatta a tutto il Paese rispetto al riutilizzo sociale di questo importante tesoro del quale il Paese non ha ancora reale contezza.

In tutto  1132 i  soggetti della società civile organizzata che in Italia gestiscono beni confiscati, più di 600 associazioni di diversa tipologia, oltre 30 scuole di ogni ordine e grado che usano gli spazi confiscati come strumento didattico e che incidono nel tessuto territoriale e costruiscono economia positiva.

Se scendiamo, però, in Sicilia, regione che detiene la maggior parte dei beni confiscati alla criminalità organizzata, troviamo 297 realtà sociali – 12 in più rispetto al 2024 –  che gestiscono beni in 63 Comuni. Di queste, 168 sono associazioni di varia natura, 54 sono cooperative sociali, mentre in tre casi si tratta di consorzi di cooperative. Non mancano, tra gli altri soggetti gestori del Terzo settore, realtà del mondo religioso, quali diocesi, parrocchie e Caritas (39), gruppi scout (9),  mentre 21 sono istituti scolastici di diverso ordine e grado. Mancano, nel censimento di Libera, i beni immobili riutilizzati direttamente per finalità istituzionali da parte delle amministrazioni statali e locali.

I dati dellAgenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, elaborati da Libera, ci dicono che al 24 febbraio 2025, in Sicilia ci sono in tutto 6.437 beni immobili (particelle catastali) destinati, mentre sono 8.206 sono quelli in attesa di essere destinati. Dal punto di vista delle aziende, invece, sono 451 le destinate, mentre 884 quelle ancora in gestione.

«Questo rapporto ci dice che sicuramente c’è tantissimo da fare sulla gestione dei beni confiscati», spiega Carmelo Pollichino, referente di Libera Palermo, «così come che è stato importantissimo il lavoro portato avanti in tema di confisca. Ora, però,abbiamo davanti la grande sfida che è quella che attiene al riutilizzo sociale dei beni. Il senso di questo rapporto è dare conto dell’enorme bene fatto in questi 29 anni. C’è anche da dire che bisogna fare le giuste distinzioni, perché, quando ci sono beni non utilizzati, è anche a causa del fatto che, magari, sono eccessivamente parcellizzati, quindi non riescono a essere messi in funzione per un corretto riutilizzo sociale. Ci sono, poi, casi di piccoli Comuni, aree dove manca per esempio una rete associativa, mancano le cooperative. Quel 297, allora, diventa un numero grande perchè vuol dire che si è stati capaci, nonostante le difficoltà, di mettere in campo un’attività che abbia un impatto sociale. E poi dobbiamo pensare al fatto che il bene confiscato non è pensato da un punto di vista commerciale o di servizi sociali, deve essere riadattato, quindi, quando questo riesce, vuol dire che lo sforzo è stato enorme da parte di tanti soggetti».

Ma se volessimo capire, al di là dei dati, che stagione stanno vivendo i beni confiscati in Sicilia?

«Quando, circa 30 anni fa, è cominciata questa avventura, nessuno si aspettava questi risultati», afferma Vittorio Avveduto, co-referente regionale di Libera in Sicilia, insieme a Tiziana Tracuzzi e Chiara Natoli. «È chiaro che il lavoro da fare è ancora tantissimo perché i beni confiscati non utilizzati, i tantissimi che rimangono parcheggiati, sono tanti. Come, poi, lo stesso Luigi Ciotti ha ripetuto sino a pochi giorni fa anche nei suoi incontri con le comunità siciliane, quella della vendita dei beni confiscati non è una soluzione definitiva, ma da considerare solo in extremis, perchè sono simbolicamente molto forti nella lotta contro le mafie. Dobbiamo, quindi, insistere, facendo memoria del lavoro fatto sino a oggi. Tante le esperienze da portare come modello. Per esempio, sul fronte orientale della Sicilia, abbiamo beni che vengono utilizzati in maniera eccellente, come quelli gestiti dalla cooperativa “Beppe Montana”, che dà lavoro e crea circuiti positivi nell’ambito dei percorsi di Libera. I campi di lavoro che portiamo avanti insieme sono sempre affollatissimi soprattutto dai giovani. Ci sono anche esempi di beni confiscati di enorme valore, per esempio il Comune di Pozzallo ne ha messo uno a disposizione di un servizio comunale, diventato centro diurno per bambini portatori di handicap. È la dimostrazione che ci sono diversi modi perchè il bene possa essere utilizzato a fini sociali. Abbiamo anche il Comune di Ragusa che si è impegnato a sistemare, grazie ai fondi del Pnrr, delle abitazioni per darle a persone e famiglie senza un tetto sulla testa. Il lavoro di mappatura che facciamo è un lavoro appunto importante, ma per stimolare le istituzioni, fare capire alla società quello che si può fare con impegno e cura per il nostro territorio e le nostre comunità».

vita a sudvita a sud

Un percorso importante, quello che sta dietro a “Raccontiamo il bene”, che vede Libera impegnata a monitorare i beni, pur non gestendone lei stessa. La gestione, da parte dell’associazione fondata da don Luigi Ciotti, infatti riguarda un marchio che si chiama “Libera Terra”, utilizzato al momento da nove cooperative in tutta Italia. Cinque quelle in Sicilia: Beppe Montana, a Lentini (Sr); Placido Rizzotto e Pio La Torre, a San Giuseppe Jato (Pa); Rosario Livatino, a Naro (Ag); Rita Atria, a Castelvetrano (Tp).

«Come Libera Terra», sottolinea Franceso Citarda, presidente del Consorzio Libera Terra Mediterraneo, «siamo orgogliosi del fatto che, dalla nascita della prima cooperativa, si sia arrivati ad avere un patrimonio diffuso rispetto a quello che si intendeva all’inizio rispetto a questa materia. Ognuno con la propria specificità contribuisce a quello che è un obiettivo comune, cioè dimostrare che l’utilizzo sociale dei beni confiscati è un modo concreto per sradicare le mafie dai territori, creando alternative concrete».

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