la premier punta ancora sulla Nato per la difesa comune. E sullo scudo nucleare c’è lo stop alla Francia


Capisce le ragioni di Emmanuel Macron sullo scudo nucleare, la spinta per una deterrenza europea a guida francese. Soprattutto, apprezza l’attivismo che si fa strada in Europa, in un momento in cui le certezze sugli assetti geopolitici sembrano assottigliarsi, o meglio farsi friabili. Ma, ragiona Giorgia Meloni, certe fughe in avanti rischiano di essere controproducenti. Di più: sarebbe un errore aprire ora il dibattito sull’atomo. In questo modo, infatti, si darebbe per scontato un arretramento degli Stati Uniti che non è affatto assodato, ma che soprattutto non è auspicabile. Ecco perché la premier boccia l’accelerazione di Parigi ventilata mercoledì sera dal presidente francese in un discorso alla Nazione. Un errore, ragiona coi suoi, che rischia di allontanare ancor più Usa e Europa, in una fase in cui le due sponde dell’Atlantico sembrano divise da ben più di un oceano. Distanze che la presidente del Consiglio punta ad accorciare, pontiera tra Bruxelles e Washington.
Non solo Donald Trump. I contatti che la premier Giorgia Meloni sta tenendo in queste ore sul dossier ucraino sono tanti e continui, al netto delle note ufficiali di Palazzo Chigi. Con Volodymyr Zelensky la presidente del Consiglio si sente costantemente, l’ultima chiamata risale a una manciata di ore fa. Meloni sente tutti, il telefono bolle mentre sull’Ucraina continuano a piovere bombe. La preoccupazione è palpabile, per quel che accade sul terreno ma anche per l’escalation dei toni e le distanze siderali che si registrano. E se il dinamismo europeo è una nota di merito, il timore sotto traccia è che certe posizioni finiscano per accelerare la crisi. Ecco perché l’Italia frena, non solo sull’invio di truppe europee al fronte, ma anche sulla possibilità di mettere l’Unione europea sotto lo scudo nucleare francese. Ne doit point se faire. Per Roma non s’ha da fare. Se il dossier dovesse finire sul tavolo del summit di martedì a Parigi fra i generali della “coalizione dei volenterosi”, il capo di Stato maggiore della Difesa italiana, Luciano Portolano, non mancherà di avanzare i dubbi dell’Italia. Anche se, viene ribadito ancora una volta, il numero uno delle forze armate volerà in Francia solo in veste di «osservatore», visto che Roma ha le idee chiare sul no all’invio di truppe europee in Ucraina, un niet ribadito anche dalla premier a margine de lavori del vertice di Bruxelles. La stella polare per la presidente del Consiglio resta sempre la stessa: «evitare qualsiasi frattura nell’Occidente perché una divisione ci renderebbe drammaticamente più deboli».

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IL DIALOGO CON URSULA 

Martedì Meloni vedrà il primo ministro danese Mette Frederiksen, l’indomani quello dei Paesi Bassi, Dick Schoof. C’è poi il filodiretto con la presidente Ursula von der Leyen sempre attivo, in ore delicatissime per un’Europa lasciata ai margini dagli States e al lavoro per ritrovare una nuova centralità. Intanto la diplomazia italiana continua a lavorare sulla visita alla Casa Bianca, che al momento non è ancora in agenda ma potrebbe essere fissata già per fine mese. Meloni punta tutte le sue fiches sul “lodo italiano”, che passa dall’estensione dell’articolo 5 della Nato all’Ucraina. La proposta mira a far scattare la clausola di mutua assistenza militare dei Paesi Nato anche a Kiev, in caso di aggressione. Meloni non ne avrebbe ancora parlato con Trump, ma a parte il placet dell’Ucraina avrebbe raccolto favore anche al Consiglio europeo straordinario di giovedì scorso, dove la premier ne ha parlato al tavolo dei 27. «You’re a strategic thinker», le parole dell’uscente Olaf Scholz dirette alla presidente del Consiglio. Che già lavora all’asse con il suo successore, il conservatore Friedrich Merz ‘mente’ dell’inversione a U della Germania sul debito pubblico: anche con lui sarebbero in corso contatti, con una visita che già si profila all’orizzonte, subito dopo l’insediamento del neo cancelliere al Bundeskanzleramt. Il fatto che nessuno abbia contrastato l’idea di un ombrello Nato allargato all’Ucraina fa ben sperare, soprattutto perché le altre proposte sul tavolo appaiono divisive. 

Uno spiraglio c’è, o quanto meno Meloni lo vede. Estendere le garanzie dell’articolo 5 della Nato, proposta che vedrebbe d’accordo anche il Segretario generale Mark Rutte, «metterebbe Putin nelle condizioni di fare sul serio – ragiona Meloni coi suoi – di non poter violare i patti. Perché se Trump crede che il numero uno del Cremlino manterrà la parola probabilmente ha ragione di farlo, ma tra 4 anni, quando il tycoon non sarà più alla Casa Bianca, Putin potrà sentirsi legittimato a violarli. E la Storia chiederà conto a Trump dell’intesa siglata con il Cremlino». Ora c’è solo da convincere The Donald. Impresa non semplice.

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