La Biblioteca del lavoro: Jean-Louis Cianni


di Francesca Dallatana Parma, 9 marzo 2025 –

La disoccupazione è una specie di morte. Siamo il lavoro che facciamo.  In realtà siamo molto altro e molto di più del lavoro che facciamo. Ma chi ci guarda da fuori tende a fare coincidere identità e lavoro. Quindi, la disoccupazione è una sorta di morte sociale. Perché si scompare dallo schermo. Si esce da un gruppo per rimanere soli.

Jean-Luis Cianni affida a tredici colte e brillanti meditazioni la sua “Filosofia per disoccupati. La consolazione dei problemi del lavoro da Socrate a Schopenhauer”, dato alle stampe da Rizzoli. La prefazione è di Guglielmo Epifani.

La parte colta è la terapia. La parte narrativa è la cronaca del licenziamento e della solitudine successiva.

Il disoccupato ha un tratto comune con il mobbizzato. Viene spesso considerato esagerato oppure tendente alla paranoia. Il pensiero comune gli accredita la responsabilità del licenziamento. Come capita alle vittime di mobbing e di bossing.

La morte sociale

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Anche le aziende si innamorano.

Quando succede allentano i legami sociali esterni del lavoratore non funzionali al ruolo e gradualmente si impossessano di quelli ritenuti adeguati. Pretendono fedeltà. Non accettano l’ariosità delle posizioni. Si dicono democratiche. Lo sono sulla carta. Nei fatti impongono allineamento. Quasi fossero un’istituzione totale mascherata da organizzazione.  L’allineamento è l’ipocrisia necessaria che consente di stare sufficientemente dentro ai ruoli per garantire il corretto funzionamento della catena di lavoro del gruppo. L’allineamento ha un range: comprende la figura grottesca dello yesmen acritico e si spinge fino al lavoratore che non può permettersi di perdere la tutela economica e lucidamente decide di resistere. Fra questi due poli estremi si pone l’allineamento costruttivo. Allineamento ed entusiasmo sono il carburante di un gruppo di lavoro. Insieme alla competenza che non sempre è centrale nei processi organizzativi. Lavorare intensamente in un gruppo di lavoro di entusiasti riempie la vita e imprime velocità al tempo.

Anche le aziende tradiscono.

E io, il direttore della comunicazione, in questo valzer amoroso ero quello che dava voce e immagine alla nostra azienda donna. Ero nel cuore del meccanismo affettivo, là dove prendeva vita il fantasma, nel punto di fusione in cui si manifestava il suo dannoso potere. Alimentavo il fuoco, gli davo massima ampiezza, lo facevo brillare. L’amore ha solo un tempo. Un giorno gli svizzeri sono arrivati, hanno razionalizzato, raffreddato, rimesso in moto la compagnia, riempito le casse mentre intanto ci strappavano il cuore. Ecco la verità che mi saltava agli occhi in quella notte d’insonnia: ero stato innamorato e poi ero stato tradito. Pagato per farlo, ma comunque tradito.”: questo è il personaggio del libro, l’io narrante.

Dimissioni indotte di un direttore della comunicazione per una compagnia aerea. E’ il fatto della prima delle meditazioni. Setting: un grande albergo nel sud della Francia.

Mare fuori, agitazione dentro.

Il lavoratore ha preparato l’incontro con il numero due del grande gruppo che ha comprato la compagnia aerea. Ha quarantanove anni, il mutuo per la casa ancora per quindici anni, moglie con lavoro part time e tre figli. Non può permettersi di sbagliare. Descrive il suo impegno professionale, parla con equilibrio. Durante la ristrutturazione aziendale si è comportato correttamente. Ha lavorato in modo serio. Gli piace lavorare. Il numero due addenta una grande fetta di pane spalmata di marmellata. Lo guarda freddo. “Se ne vuole andare, allora?”. Una voce da dentro prende coraggio e sibila “.” Quarantanove anni di età e neanche un giorno di disoccupazione. Il lavoratore si fida di se stesso. Ha sempre trovato lavoro. Conosce il lavoro. E’ competente. Ma il mercato del lavoro che trova fuori è diverso da quello dell’inizio della sua carriera. Lui è diventato più vecchio.

L’ageismo è diventata una forma di discriminazione prepotente. Con gli annunci che descrivono mansioni per professionisti senior si cercano lavoratori con tre, cinque anni di esperienza nella mansione. Quarantanove anni sono troppi.

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Il senso di liberazione dal disagio della resistenza alle pressioni e al mobbing strisciante si spegne come una candela al vento, a licenziamento consumato. E presto inizia il lutto per il lavoro. Il lavoro è il codice di riferimento, conservato anche nella condizione di disoccupazione. Mentre il tempo che passa lo svuota di senso. “Lasciato a me stesso, è tutta un’altra vita. Alle otto e mezza comincia il primo round, il più delicato. E’ come se la disoccupazione mi avesse disattivato. Ho la sensazione di non servire più a niente o a nessuno. Da solo, ormai sono in comunicazione – e ancora non è buona – soltanto con me stesso.”

Il disoccupato si sente sempre quello là, cioè: il lavoratore che era prima del licenziamento.

Patologie e dipendenze.

Il lutto per la perdita del ruolo sociale condiziona il corpo. Un ambiente di lavoro malato fa ammalare corpo e mente. Così come la disoccupazione imposta dal licenziamento oppure dalle dimissioni inferte da situazioni lavorative inquinate. I sintomi somigliano a quelli vissuti dalle vittime di mobbing. Disturbo da stress post traumatico. Quando arriva il licenziamento la corda della resistenza umana ha raggiunto la tensione massima. Spesso è al limite della rottura. Qualche volta irrimediabilmente rotta.

Depressione, insonnia, problemi dermatologici, il cuore: la psiche, la pelle, l’apparato cardio vascolare. Sono alcuni degli effetti del lutto da lavoro.

Alcolismo, tabagismo, violenza contro se stessi. Incuria. A scoppio ritardato, nel silenzio della fase successiva al licenziamento vengono a galla gli effetti del burn out sedato sotto la coltre della resistenza estrema che ha permesso la posizione eretta fino all’ultimo giorno di lavoro.

E il disoccupato si ammala. In realtà i malesseri c’erano anche prima, durante la corsa dentro la gabbia dell’organizzazione. Silenziati e in attesa che la nube tossica del disagio si dissolva. Invece si è trasformata in uno dei peggiori estremi: l’espulsione dal lavoro.

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Gli effetti nefasti della disoccupazione condizionano la vita familiare. Rendono più acute e taglienti le asperità. Contribuiscono a confinare ulteriormente il disoccupato nella bolla di solitudine, una prigione psicologica dalla quale è difficile affrancarsi.

Scompare il gruppo sociale di riferimento quotidiano ci si ritrova in casa. “Mi sono anche dovuto abituare a vivere in casa. Reinvestire uno spazio che avevo sfiorato solo al di fuori dei giorni e delle ore di lavoro. Essere disoccupati significa anche abitare in un luogo dove non si dovrebbe essere.”

Nel corso del Novecento e ancora oggi il lavoro continua ad essere uno dei setting sociali più importanti.

Per l’alto livello di allineamento e fidelizzazione richiesti anche il lavoro diventa una dipendenza. E si diventa workaholic. “Vagabondaggio e nudità. Solitudine. Tutti questi stati si cristallizzano in me sotto forma di un freddo polare che spesso mi invade. E’ il freddo della mancanza, il freddo del tossicodipendente privato delle sue sostanze. Conosco questa sensazione. Da molti mesi ho smesso di fumare. Quando mi assale la voglia, ho subito freddo. Stessa cosa per il lavoro: anche quello era una droga. Mi devo disintossicare.

Il lavoro ha richiesto la sottomissione del corpo. E ora si ripresentano i sintomi fisico-chimici dell’astinenza.

Basta sigarette. Corro. Misuro fino a che punto avevo malmenato, costretto dimenticato il mio corpo in tutti questi anni. Stress, insonnia, pasti interminabili, tabagismo, posizione seduta. La funzione sociale si nutre del corpo. La sua soppressione anche.”

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La terapia del dolore.

Non sono palliative le cure per gli effetti della disoccupazione. Per essere efficaci devono respirare a pieno ritmo il ritrovato talento e il pensiero e tutto ciò che vibra nel profondo. Non sempre il lavoro sa esprimerlo. Non sempre lo può fare.

Quella notte mi sono alzato e ho camminato per casa senza fare rumore per non svegliare gli altri. Scorgevo la mia ombra nelle vetrate. Meditavo sulla prossimità ambigua del dolore e del piacere, su questi slittamenti dal lavoro al desiderio.”

Desiderio, vibrazione intellettuale profonda dagli immediati effetti fisici benefici.

Alzati e cammina. E’ la terapia d’urto da applicare all’astenia da disoccupazione. Che porta con sé un sentimento di morte. Per certi versi è un’esperienza di morte, fa notare l’autore a più riprese. “Ti fa avvertire una violenza sorda, la volontà di eliminazione che si nasconde nel lavoro moderno. Infatti l’ideologia neoliberale dominante riduce il lavoro a una realtà relazionale conflittuale.“ La verità finale è: sei in oppure sei out. E ancora: sei allineato con il numero uno dell’azienda oppure sei fuori.

Alzati a cammina quando la morte sciabola sul lavoro e ti cinge di solitudine.

Uno dei miei vecchi cugini mi ha raccontato che quando il lager di Treblinka venne liberato i soldati sovietici incitavano lui, che non pesava più di quarantacinque chili, e i sui compagni affamati ad alzarsi per non morire.”

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Il mio rialzarmi da disoccupato è, certo, più modesto ma prende ispirazione da questa potenza illimitata che nega la posizione distesa.”

La terapia è un esercizio intellettuale che ripercorre punti di svolta e tratti salienti del pensiero di diversi maestri del pensiero filosofico. L’autore riporta i messaggi esistenziali dei filosofi nel day after del licenziamento. E’ una corsa rigenerante verso una rinascita personale e sociale. E’ la ricerca di una relazione nuova con il mondo intorno. Analisi, piano d’azione interiorizzato, consapevolezza e respiro a pieni polmoni con la testa fuori dal bordo dell’acqua.

Non è facile, ma rinascere è possibile. Consapevolezza e cultura insieme hanno il potere di accendere la miccia della rinascita.

Il libro propone una immersione nelle acque profonde della sofferenza e contestualmente indica il cielo alto. E’ una calamita capace di attrarre verso il riscatto del futuro ciò che ha rischiato di diventare un relitto arenato su un fondale dimenticato.

Jean-Luis Cianni, Filosofia per disoccupati, Rizzoli, Milano, 2007

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