Culle vuote e fuga dei giovani, l’inesorabile spopolamento delle Marche


Ugo Bellesi

di Ugo Bellesi

Tra i tanti problemi che attanagliano la nostra società, uno dei più gravi è costituito dalla denatalità che ha investito l’Italia e quindi anche le Marche. In appena cinque anni le nascite nella nostra regione sono diminuite del 16%. Anche nell’anno in corso è ottimistico pensare che si possano avere almeno 8.000 nascite. E pensare che nel periodo compreso tra il 2007 e il 2010 le nascite ogni anno hanno oscillato tra 14.000 e 14.600 ma in soli 15 anni nelle Marche sono diminuite del 45%

Nel 2023 sono nati nelle Marche 8.797 bambini di cui solo il 54,2% da genitori coniugati. Invece i nati da genitori stranieri erano il 14%. Una famiglia su due ha solo un bambino. L’età media dei genitori è di oltre i 30 anni.. Le cause di questo fenomeno della denatalità vanno ricercate nelle difficoltà economiche (gli stipendi medi italiani sono di 33.800 euro l’anno, rispetto ai 41.000 in Francia e i 55.000 in Germania), nello scarso sostegno alla genitorialità (la Francia ha combattuto la denatalità sovvenzionando le famiglie con figli da 6 e fino a 18 anni di età con questi contributi: 416,40 euro per figli tra 6 e 10 anni, 439,38 euro tra 11 e 14 anni, 454,60 euro tra 15 e 18 anni) ma anche nei cambiamenti culturali e nelle esigenze personali oltre che nella paura del futuro. C’è anche la necessità per i giovani di ottenere, prima di sposarsi, una posizione professionale soddisfacente, con la conseguenza che i figli si fanno più tardi. E l’orologio biologico non consente alla donna di andare oltre una certa età. Infatti l’età media della donna alla nascita del primo figlio in Italia risulta di 31,7 anni (cioè quattro anni in più rispetto ai 28 anni del 1995). Quali sono le conseguenze della denatalità? Innanzitutto il rischio della tenuta del sistema pensionistico, sanitario e assistenziale. In base ai calcoli dell’Inps servirebbero almeno tra le 500 e le 600mila nascite l’anno, cioè due figli per ogni donna. Lo squilibrio demografico, con la progressiva riduzione della popolazione tra i 15 e i 49 anni (questa l’età dei potenziali genitori) minaccia la nostra economia.

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Messi in luce i problemi provocati dalla denatalità affrontiamo i problemi dei nostri giovani alla ricerca di un posto di lavoro adeguato alla loro preparazione. Secondo Eurostat la media europea di chi, tra i 20 e i 34 anni (in possesso di un diploma di istruzione secondaria superiore, oppure di una laurea o di un master universitario), ha già ottenuto un posto di lavoro è pari all’83,5% mentre il dato nazionale arriva appena al 67,5%. Nel 2022 i giovani italiani che hanno abbandonato la scuola sono stati 465.000 pari all’11,5% della popolazione compresa tra 18 e 24 anni. Nelle Marche, sempre nel 2022, i giovani tra 18 e 24 anni che hanno lasciato gli studi sono stati 6.000 (il 5,8%). Dal 2011 al 2024 sono oltre 30.000 i giovani tra i 18 e i 39 anni che si sono trasferiti all’estero. Tra l’altro si è riscontrato che abbiamo un basso numero di diplomati e laureati soprattutto in materie scientifiche. Da oggi al 2040 si calcola che il numero di persone in età lavorativa diminuirà di 5,4 milioni di unità, malgrado un afflusso netto dall’estero di 170.000 immigrati all’anno. Si tratta – secondo Bankitalia – di un fenomeno che provocherà un “calo prospettico” del Pil del 13% con un taglio del 9% pro capite. Ciò in considerazione del fatto che in Italia avremo un’occupazione sempre più sbilanciata verso le professioni meno qualificate.

giovani-lavoroCon la fuga all’estero di tanti nostri laureati perderemo competenze e conoscenze che sono il cardine non solo del progresso economico ma anche e soprattutto di quello civile. Quali le motivazioni che spingono i giovani ad andare all’estero? Molti di essi perchè si rendono conto che l’Italia spesso non offre spazi di crescita professionale adeguati alla loro preparazione e quindi non c’è neppure l’inquadramento economico necessario. Il 67,7% degli occupati in Italia lamenta che sono troppe le ore di lavoro. Questo problema lo sollevano il 65,5% dei giovani, il 66,9% degli adulti e il 69,6% degli over 50. Vogliono lavorare lo stretto necessario rifiutando anche gli straordinari. Questo perché hanno valori ed altre attività ritenute più importanti. Ha queste idee il 54,2% dei giovani, il 50,2% degli adulti e il 52,6% degli anziani. La maggioranza dei lavoratori ritiene gli stipendi inadeguati alle loro ambizioni. E’ per questo che si va spesso alla ricerca di una migliore sistemazione lavorarativa. Il 67% di occupati con meno di 60 anni quando si dimette trova nuovo lavoro entro tre mesi. Non tutti i giovani però vanno all’estero.

Un maceratese di 27 anni con laurea triennale e un master di secondo livello, ha trovato lavoro a tempo indeterminato in un’impresa di Milano con contratto di apprendistato. Dopo due scatti ha ottenuto uno stipendio di circa 1.500 euro al mese utili soltanto per l’affitto, i due pasti quotidiani e la metropolitana. Da qui la necessità di ricorrere al contributo dei genitori. Per lo stesso lavoro e in un’analoga azienda, ma ad Anversa, lo stipendio è di circa 2.400 euro ma con alcuni benefit per la sistemazione e i trasporti. Si trova meglio chi va a Berlino ma un po’ peggio chi finisce a Barcellona. C’è comunque da evidenziare che il fenomeno di trasferirsi all’estero non è solo italiano ma riguarda anche la Germania e l’Olanda. Tuttavia in questi due paesi la fuga dei giovani è compensata dall’arrivo di altri laureati molto preparati provenienti da altre nazioni europee. Fenomeno questo molto più raro per l’Italia. Le motivazioni per cui i laureati italiani preferiscono andare all’estero sono state spiegate molto bene dal prof. Donato Iacobucci, docente di economia all’Università Politecnica delle Marche, in un articolo in cui tra l’altro ha scritto: “Il livello retributivo non è il fattore preminente. Altri assumono un’importanza simile o maggiore rispetto alla retribuzione: il maggior grado di autonomia e di responsabilità, le possibilità di apprendimento e di crescita, le più rapide possibilità di carriera, un maggior riconoscimento del merito e delle capacità. Evidentemente alcuni dei nostri giovani più brillanti e intraprendenti non hanno voglia di attendere i tempi biblici che sono tipicamente necessari al nostro paese per programmare e mettere in atto innovazioni e cambiamenti”.

La denatalità e la fuga dei giovani verso l’estero (ma anche verso l’Italia del nord) provocano due problemi: lo spopolamento e l’invecchiamento. La popolazione delle Marche, che nel dicembre 2023 risultava pari a 1.484.298, in dieci anni è diminuita del 4,2% (la media nazionale è pari a -1,8%). Le proiezioni dell’Istat sul calo demografico delle Marche ci dicono che tra venti anni saranno scomparsi 104mila residenti (-7%). Mentre tra 50 anni si prevede una decrescita di 370mila abitanti (- 25%). Per quanto riguarda l’Italia, tra venti anni la popolazione potrebbe ridursi di tre milioni di individui, cioè -5%. Invece tra 50 anni gli italiani si ridurranno di oltre 8,6 milioni (-20%). Non meno grave è l’indice di invecchiamento che si calcola in base al rapporto percentuale tra popolazione attiva (over 65) e giovani di età tra 0 e 14 anni. Tra il 2012 e il 2023 questo indice è salito da 171,6 a 218,8 (cioè +27%) mentre la media italiana è di 193,1.





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