Igli Tare, il direttore sportivo


Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Neanche il più illuminato dei direttori sportivi ha indovinato tutti gli acquisti e le cessioni della carriera, frontiera impossibile anche solo da immaginare per chi è costretto a lavorare nello sport del demonio, con partite che possono cambiare rotta ed epilogo anche nella maniera più immeritata.

Fino a una ventina d’anni fa, il DS era una figura seminascosta, raramente con un profilo mediatico: uomini che lavoravano nell’ombra. Li aveva raccontati, meravigliosamente, Pupi Avati, all’interno di un film uscito nel 1987 e scritto con Italo Cucci, Ultimo Minuto: «Io non so quando è nata mia figlia, ma so esattamente che il 23 dicembre 1976 abbiamo fatto 2-2 con l’Udinese», urla a un certo punto del film Walter Ferroni, il protagonista, interpretato da Ugo Tognazzi.

Sono professionisti il cui ruolo all’interno di una struttura societaria va spesso oltre il singolo acquisto o la cessione fatta al momento giusto: un ideale collante tra il vertice supremo del club e la squadra, l’uomo in grado di alzare la voce quando serve e riportare ordine, persino più di un allenatore. Sono dunque numerosi i particolari dai quali si giudica, o si dovrebbe giudicare, l’operato di un direttore sportivo. Ma sono particolari nascosti, riservati agli addetti ai lavori, a quelle notizie che filtrano di soppiatto, come una tubatura che perde: prima che arrivi a dare cenni della sua presenza, rischia di passare molto, troppo tempo. Non ci resta che analizzare la superficie, provare a mettere sulla bilancia i pro e i contro di quel che è manifesto, intuire gusti e preferenze. E allora, dato che il Milan pare abbia messo Igli Tare nella rosa di nomi possibili per ricoprire il ruolo di prossimo direttore sportivo, cosa è lecito aspettarsi da un profilo indubbiamente particolare, persino difficile da valutare per via della sua unica esperienza in un club?

Tare è un dirigente complesso da analizzare perché complesso è stato il contesto in cui ha lavorato. Divenuto ufficialmente direttore sportivo della Lazio solamente nell’aprile del 2009, era in realtà operativo già dall’estate precedente nelle vesti di coordinatore dell’area tecnica: un arco temporale necessario per conseguire la qualifica di DS e poter ricoprire il ruolo a tutti gli effetti. Il suo regno è durato 15 anni: un’enormità per qualsiasi dirigente, praticamente senza possibili paragoni in Italia con l’unica eccezione recente dell’epopea di Giovanni Sartori al Chievo.

Nel ciclo di Tare alla Lazio, si sono succeduti, in maniera più o meno rocambolesca, sei allenatori, lasciando fuori dal calcolo Delio Rossi che appartiene alla stagione iniziale: Davide Ballardini, scelta rivelatasi disastrosa e tamponata con l’arrivo del totem Edy Reja ad annata in corso; Vladimir Petkovic, forse l’azzardo più grande della sua avventura; Stefano Pioli, Simone Inzaghi e Maurizio Sarri. In mezzo, teoricamente, anche Marcelo Bielsa, ma quella è decisamente un’altra storia.

Nel momento in cui ha percepito che la Lazio potesse diventare più ambiziosa rispetto a quella dei suoi primi anni, ha sempre scelto tecnici dalla forte impronta offensiva. Con queste parole, per esempio, presentava Petkovic, arrivato a Roma senza che nessuno lo conoscesse davvero: «Abbiamo valutato la situazione, volevamo dare continuità al nostro progetto. La possibilità va data a gente che ha caratteristiche importanti per questa piazza come Petkovic. Ho avuto modo di conoscere il mister ai tempi in cui seguivo Lulic: propone un calcio offensivo con idee chiare e giocatori ben messi in campo, con un gioco che rispecchia la nostra filosofia. Ritengo il suo arrivo una scelta coraggiosa della società, un allenatore dalle idee chiare che offre un calcio propositivo dal quale sono rimasto impressionato».

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Sono stati anche anni di infiniti tira e molla con molti di questi allenatori: da Reja, che in almeno un paio di circostanze avrebbe rassegnato le proprie dimissioni, salvo poi scendere a più miti consigli, a Sarri, che secondo la leggenda avrebbe ingaggiato uno scontro vero e proprio con il direttore sportivo, arrivando anche a incidere sulla decisione, presa da Claudio Lotito, di non prolungare il rapporto contrattuale con il dirigente nell’estate del 2023. Ironia della sorte, la parentesi laziale di Sarri si sarebbe interrotta proprio nel corso della stagione successiva, anche a causa di un mercato, operato dal nuovo DS Fabiani, a lungo sbertucciato in pubblica piazza da Sarri stesso: «Chiedevo il giocatore A, dovevo scegliere tra C e D». Un rapporto difficile confermato da Lotito in prima persona: «Le incomprensioni c’erano state tra Sarri e Igli, integralista il primo, rigido il secondo. Sono dovuto intervenire tre volte. La prima ho menato la squadra, poi quando Sarri stava scricchiolando ho chiarito alcune cose, infine ho detto a Igli che avrebbe dovuto usare la vaselina».

Viene dunque da chiedersi in che modo Tare andrebbe a incastonarsi in una società come il Milan, profondamente lontana dalla Lazio anche solo per struttura: per 15 anni, è stata la Lazio di Lotito e Tare e quasi nessun altro, una catena di comando cortissima. In rossonero, con chi andrebbe a interfacciarsi? Chi rimarrà dopo questo sfacelo, chi se ne andrà? Quale sarà il ruolo di Zlatan Ibrahimovic, solo teoricamente corpo slegato dalla dirigenza rossonera eppure presentissimo, almeno visivamente, nelle faccende e nelle dinamiche del Diavolo? Bisogna vedere anche come cambieranno queste dinamiche in futuro visto che, a quanto si legge, il ruolo di Furlani dovrebbe ingrandirsi proprio a scapito di quello di Ibra.

L’altro gigantesco punto interrogativo riguarda la possibilità di operare quasi senza limiti di budget. Chi in questi giorni sta provando a delineare il potenziale Milan del futuro, lo sta facendo senza considerare che soltanto in pochissime occasioni Tare ha avuto a disposizione somme rilevanti, frutto degli introiti derivanti dalla Champions League o dal miraggio della stessa: col senno di poi, due mercati abbastanza fuori fuoco. Nell’estate 2015, prima del preliminare con il Bayer Leverkusen, a Pioli era stato consegnato un solo rinforzo (l’olandese Hoedt) nel cuore di una difesa in cui già si mormorava delle pessime condizioni fisiche di de Vrij, che avrebbe poi saltato l’intera stagione, e nessuna alternativa di peso per Miro Klose (Matri arrivò a preliminare già perso), con le aggiunte dell’allora oggetto misterioso Patric e delle scommesse Ravel Morrison e Ricardo Kishna. Era stato, però, anche il mercato in cui era arrivato quello che, tralasciando un monumento come il già citato Klose, è stato con ogni probabilità il giocatore più forte dell’era Lotito, Sergej Milinkovic-Savic. Nel 2020, con la fase a gironi garantita, Tare aveva speso oltre 40 milioni per il terzetto composto da Akpa-Akpro, Fares e Muriqi: in maniera abbastanza ironica, inoltre, l’unico difensore regalato a Inzaghi in quella sessione era stato ancora una volta Hoedt. È dunque tutta da verificare la tenuta di Tare alla guida di una realtà del livello economico del Milan.

Di sicuro, l’albanese ha una discreta abilità nel riconoscere il talento: se il colpo più ricordato in aggiunta a quello di Milinkovic-Savic è l’arrivo a Roma di Luis Alberto, che merita un’analisi a parte, a Tare bisogna sicuramente attribuire la capacità di aver portato in biancoceleste, con grande senso del tempo, Hernanes, Stefan de Vrij e Felipe Anderson, acquisti conclusi a prezzo tutto sommato contenuto (13 milioni il primo, 8,5 milioni il secondo e il terzo). Nel caso del centrale olandese, Tare ebbe anche l’abilità di chiudere il discorso prima del Mondiale che avrebbe poi visto de Vrij assoluto protagonista.

Sul fronte Luis Alberto, diventa difficile capire dove siano i meriti di Tare e quelli di Simone Inzaghi: a riprendere le cronache dell’epoca, lo spagnolo arrivava alla Lazio come teorico erede di Antonio Candreva, ceduto all’Inter dopo anni da esterno offensivo, ruolo in cui fece registrare le sue prime, scialbe presenze in biancoceleste, quando Inzaghi ancora utilizzava il 4-3-3. L’esordio da titolare in campionato, maturato dopo metà stagione, l’aveva visto largo a sinistra in un tridente con Immobile al centro e Cristiano Lombardi a destra. E allora, con un allenatore diverso da Inzaghi, capace di modellare la squadra attorno allo spagnolo prima come trequartista/seconda punta nel 3-5-2 e poi come mezz’ala, come sarebbe andata? E rimane un velo di dubbio persino su Ciro Immobile, con i maligni che spesso ricordano il tempo speso, nel corso di quell’estate, all’inseguimento di Enner Valencia, prima di puntare, forse su imbeccata proprio di Inzaghi, sull’attaccante all’epoca in uscita dal Siviglia.

Non è poi mancata la “pesca a strascico” con esiti quasi sempre deludenti: da Eliseu a Garrido, da Alfaro a Pereirinha, dal “Coco” Perea («Vedendolo ogni giorno a Formello mi ricorda il Cavani dei primi due anni a Palermo») a Kakuta. E poi tanti difensori centrali sbagliati tutti allo stesso modo, alzando solamente l’asticella dell’esborso: Novaretti, Mauricio, Wallace, Vavro. La ricerca agognata e fallita dell’erede di Lulic a sinistra: Jordan Lukaku, Durmisi, Jony, il già accennato Fares. Paradossalmente, il meglio lo ha dato nel mercato interno, esplorato con poca frequenza ma con discreta precisione: i puntelli Biava e Floccari nel gennaio più difficile, quello della stagione 2009/10, con la squadra in lotta per non retrocedere; e poi i vari Marchetti, Candreva, Parolo, Basta, Acerbi, Lazzari, Zaccagni, Provedel. L’ultimo guizzo da talent scout purissimo è stato Mario Gila, destinato con ogni probabilità a essere la prossima grande plusvalenza del club.

Di sicuro, Tare per il Milan vorrebbe dire tornare ad avere una figura dirigenziale di polso, riconoscibile, in grado di prendere decisioni e di assumersene le responsabilità, anche a costo di far imbestialire la piazza. È già capitato a Roma in occasione delle trattative sfumate, alcune delle quali eclatanti: David Silva («Ho grande rispetto per il giocatore, ma non per l’uomo»), Giroud («Era nostro, il Chelsea si mise di traverso»), Burak Yilmaz («Ci siamo trovati di fronte alle richieste dell’agente e abbiamo cercato nonostante tutto fino all’ultimo di portarlo alla Lazio, ma non è stato possibile»), Nilmar, Keisuke Honda e tanti altri.

Una lunga intervista con Alessandro Alciato, concessa al canale ufficiale della Serie A.

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Tare ha le sue connessioni con determinati procuratori, ai tempi della Lazio ha operato molto da vicino con Kezman e persino Jorge Mendes, figura provvidenziale per risolvere il pasticciaccio brutto che si era creato con Keita Balde nell’agosto 2017, con il Monaco che versò più di 30 milioni per l’attaccante, reduce dalla migliore stagione della sua carriera ma destinato ad andare in scadenza di contratto nell’estate del 2018, e la Lazio che si impegnò con il doppio, costosissimo acquisto, dei giovani Pedro Neto e Bruno Jordao (finiti entrambi al Wolverhampton due anni più tardi) oltre all’arrivo, in prestito, di Nani dal Valencia.

Pregi e difetti, dunque, abbastanza riconoscibili. Vedremo come si applicheranno al Milan, se si applicheranno. Quelli che sono affascinati dalla prospettiva devono sapere che una possibilità si era già aperta qualche anno fa. Ne aveva parlato lo stesso Tare in un’intervista del 2020: «La mia infanzia è legata al Milan di Sacchi, quando sono stato contattato due stagioni fa dai rossoneri è stato difficile dire di no». Un segno del destino?





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