“Ri-Armare l’Europa”. Un gioco pericoloso, quasi suicida


Niente come la guerra taglia via il chiacchiericcio e costringe a essere chiari. Sei favorevole o contrario? Voti i “crediti di guerra” – come fecero nel 1914 i partiti socialdemocratici della Seconda Internazionale – oppure no? Vai in piazza per chiedere di prolungare la guerra o per dire basta subito?

Come ormai sanno tutti, Ursula von der Leyen ha varato il suo piano “ReArm Europe” da 800 miliardi perché «qualcosa di fondamentale è cambiato. I nostri valori europei, la democrazia, la libertà, lo stato di diritto sono minacciati. Vediamo che la sovranità, ma anche gli impegni ferrei, sono messi in discussione. Tutto è diventato transazionale. Il ritmo del cambiamento è accelerato e l’azione necessaria deve essere audace e determinata».

Una matassa di falsi e menzogne di cui si occupa magistralmente “Anonima Maltese”, mentre qui proviamo a dar conto di quel che sta succedendo.

Sorvoliamo momentaneamente anche sulla curiosa contraddizione per cui ci si vorrebbe riarmare per “difendere la democrazia” ma, per farlo, si aggirano le istituzioni democratiche e si procede “autocraticamente” (il “piano” non verrà votato né dall’inutile Parlamento europeo e neanche dai 27 Parlamenti nazionali). Tradotto: ci riarmiamo a nome di chi?

E’ chiaro peraltro che questi 800 miliardi sono in buona parte un gioco delle tre carte, perché in realtà – a parte una quota messa insieme con nuovo debito emesso sia dall’Unione Europea che dai singoli Stati nazionali – in buona parte si tratta dello spostamento di cifre stanziate per i “fondi di coesione” europei. Ossia gli strumenti finanziari creati per “ridurre le disparità economiche, sociali e territoriali tra gli Stati membri e le regioni dell’UE”, con l’obiettivo dipromuovere uno sviluppo armonioso e sostenibile, rafforzando la coesione economica, sociale e territoriale all’interno dell’Unione”.

In pratica, con il Rearm Europe si autorizzeranno i singoli Stati a prendere quei fondi e – invece di spenderli per la costruzione di infrastrutture migliori, parchi eolici o solari, modernizzazione di sistemi idrici e fognari, formazione professionale per disoccupati o giovani – impiegarli per comprare armamenti.

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale

 

Un gioco infame, ma tutto sommato semplice, come ogni trucco di bilancio.

I problemi veri cominciano però quando si passa dal “trovare i soldi” (a far debiti si fa prestissimo) al cosa fare. “Ri-Armarsi” significa mettere armi nuove e vecchie in mano a militari pronti a combattere. E di solito questo è possibile all’interno di uno Stato – di qualsiasi dimensione e regime – dove l’unicità del comando politico assicura che che l’esercito si muova per conseguire gli obiettivi fissati dal governo.

Primo problema. Non c’è un esercito “europeo”, ma solo eserciti nazionali. Formare una forza armata inter-statuale è più complicato (e pericoloso, a medio termine) che affidare a un Commissario il controllo delle politiche di bilancio di vari paesi. Gli eserciti esistenti hanno armi differenti, in parte prodotte da imprese nazionali sotto un attento controllo pubblico (in Italia Leonardo, ecc), in parte acquistate dall’alleato tecnologicamente più avanzato (gli Stati Uniti).

Soprattutto, gli armamenti convenzionali sono importanti, ma non decisivi. La vera “deterrenza” rispetto a possibili nemici esterni è data dal possesso di armi nucleari. E nell’Unione Europea solo la Francia ne dispone. Ma non sono molte (290), né di ultimo tipo.

Macron si è fatto lo stesso e immediatamente “galletto atomico”, dichiarandosi disponibile a sostituire eventualmente l’”ombrello americano” con il suo piccolo parasole. Ma per ora solo dalla Polonia è arrivato qualche segnale di interesse.

Anche aggiungendo le 225 testate britanniche – extra UE, comunque – si avrebbe una dotazione certo inquietante (515 bombe), ma infinitamente meno di quella russa (6.000), che peraltro può oggi contare su missili ipersonici non intercettabili e che nessun altro per il momento ha.

Già così si vede che il “comando politico” effettivo su quello militare possibile è piuttosto sghimbescio (un paese UE e uno extra-Ue), mentre il resto dell’Unione dovrebbe seguire. Sarà anche per questo che Friedrich Merz, neo cancelliere eletto ma ancora non insediato, ha aperto più di un portone all’ipotesi che la Germania possa dotarsi prima o poi di armi nucleari.

Come si vede, il “riarmo europeo” sta già partendo, ma ognuno per conto suo e secondo progetti diversi. Il sedicente laburista Starmer vuole reintrodurre le leva obbligatoria, il polacco “europeista” Tusk anche (ma sotto forma di “addestramento annuale” di tutta la popolazione), l’Italia neofascista medita di aumentare gli effettivi, ecc.

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Per tutti c’è però il limite dell’invecchiamento della popolazione, che non genera più “carne da cannone” in grandi quantità. E chiedere agli immigrati farlo al nostro posto, mentre li scarichiamo in mare o da qualsiasi altra parte, non sembra molto realistico…

Secoli di guerre infra-europee, interrotti appena 80 anni fa solo grazie al vassallaggio imposto dagli Stati Uniti, stanno lì a ricordare che senza unità politica – non bastano una moneta unica e trattati-capestro – gli eserciti possono diventare facilmente e di nuovo delle “variabili” da mettere sul tavolo quando le cose non vanno troppo bene.

Secondo problema. La guerra moderna tra potenze grosso modo “simmetriche” (con dotazioni equivalenti) – come quella in atto da tre anni in Ucraina tra Nato e Russia) – necessita di una copertura satellitare tale da garantire non solo la conoscenza della posizione e dei movimenti del “nemico”, ma anche la possibilità di guidare sui bersagli qualsiasi tipo di armi aeree (caccia, droni, missili, ecc).

Qui palesemente “l’Europa” è scoperta. L’unica rete affidabile di proprietà occidentale è in questo momento la Starlink di Elon Musk, oltre che della parte controllata dal Pentagono. Ossia di un privato che è anche – da un mese e mezzo – un quasi-ministro nel governo Trump. Un tizio che proprio in queste ore va ricordando come, senza la sua rete, la capacità militare di Kiev avrebbe retto pochi giorni, invece di tre anni.

Tesi “oggettivamente” condivisa da tutto l’apparato mediatico e politico – che andava gridando al “tradimento” quando Trump ha “sospeso” la condivisione dei dati di intelligence e satellitare con Kiev – confermando così quel che era stato negato per tre anni: la Nato, l’”Occidente collettivo” (e dunque anche l’Italia) è pienamente coinvolto nel conflitto, anche sul piano militare. L’informazione è un’arma, anche più dei cannoni, ormai…

Oltre trent’anni di neoliberismo trionfante – dalla caduta del Muro in poi – non hanno posto “fine alla Storia”, ma hanno creato una situazione mai vista prima. Nell’Occidente capitalistico “il privato” ha svuotato i poteri dello Stato, non solo sul piano economico (costringendolo a rinunciare a qualsiasi forma di “intervento pubblico” dissonante con i propri interessi), ma anche su quello strategico (satelliti, missili, ecc).

E sarà pur vero che la rete satellitare di Starlink, una volta firmato il contratto di “servizio” con un qualsiasi Stato, genera un traffico di dati sotto il pieno controllo dell’”affittuario” (gli Stati Uniti, in primo luogo), ma la proprietà e il controllo hardware (se non altro per effettuare la manutenzione) restano saldamente in mani private.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Insomma: chi si affida a Starlink viene tenuto per le palle. Un po’ come con gli F35, gli avveniristici – ma delicatissimi – caccia statunitensi che restano “bloccabili” in qualsiasi momento dal Pentagono, anche se venduti (e pagati profumatamente) a paesi “alleati”.

Domandone: quale cavolo di “autonomia strategica” può avere un insieme di 27 paesi con obiettivi spesso divergenti che deve affidarsi – per ancora parecchio tempo – a una rete satellitare privata e alla copertura nucleare di un “alleato riluttante”?

Nessuna, certo. E questo, paradossalmente, potrebbe persino tranquillizzare, perché un accrocco del genere difficilmente potrà prendere “decisioni irrevocabili”, far scoccare “l’ora del destino” e altri sinonimi di una dichiarazione di guerra potenzialmente mondiale. Un accrocco comunque pericoloso per i piccoli paesi della sponda africana o mediorientale, certo, ma non un detonatore per la notte nucleare.

A meno di non voler essere così scemi da provare ad inviare davvero “truppe di peacekeeping” in Ucraina…

Ma dotare riccamente di armi un accrocco molto instabile, con pesi specifici (economici, politici, militari, ecc) diversi e interessi spesso divergenti, è un modo di giocare con il fuoco. In fondo, ci vuole un attimo a passare dalla cancellazione del diritto di veto individuale per ogni paese all’”ingerenza democratica” nella politica interna altrui…

– © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

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