Nuovi farmaci: le approvazioni accelerate in Europa non decollano e il valore terapeutico aggiunto non è scontato


Il programma di approvazione accelerata dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha appena compiuto vent’anni (2004). Rispetto ai 7-13 mesi che di norma intercorrono tra la presentazione di un dossier e il parere positivo da parte del Comitato per i farmaci a uso umano (Chmp) nell’ambito di una procedura centralizzata, questo consente di ridurre i tempi fino a 150 giorni.

A patto di trovarsi di fronte – potenzialmente – a una innovazione terapeutica di grande interesse per la salute pubblica. Uno scenario che non è però così frequente, a leggere le conclusioni di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori italiani e pubblicato sul British journal of pharmacology.

L’impatto (ridotto) delle approvazioni accelerate sui nuovi farmaci lanciati in Europa

L’analisi, limitata al periodo 2019-2021, ha svelato che sono stati appena 12 (di cui la metà ammessi al programma Prime) su 164 i farmaci che hanno ricevuto un via libera dall’Ema nel triennio a valle di un iter accelerato.

Il tutto a fronte di 51 candidature avanzate, trenta domande effettivamente esaminate (di cui 18 poi riportate a una valutazione standard nel corso della procedura, per obiezioni di qualità o cliniche) e sette approvazioni incomplete (quattro condizionali e tre eccezionali). A seguire, le valutazioni di health technology assessment (Hta) compiute da tre agenzie regolatorie nazionali (in Italia, Francia e Germania) non hanno sempre confermato il valore clinico aggiunto della nuova opzione terapeutica.

Segno che, per dirla con gli autori del lavoro, si è di fronte a un tasso di fallimento che evidenzia come “la definizione di medicinale di interesse per la salute pubblica non è percepita allo stesso modo dalle aziende e dall’Ema”. Questo è stato dimostrato dal fatto che in 21 casi su 51 la richiesta di approvazione accelerata è stata respinta, “perché il Chmp non ha ritenuto che il medicinale soddisfacesse tale requisito”.

C’è però anche un’altra ipotesi, che potrebbe giustificare in parte questo contrasto. “Dato l’impatto positivo del percorso accelerato sui tempi di approvazione, le aziende possono essere tentate a richiedere una valutazione di questo tipo anche in situazioni accompagnate da una bassa probabilità di accoglimento”.

Come funziona il programma dell’Agenzia europea dei medicinali

La valutazione accelerata riduce i tempi necessari al Chmp per esaminare una domanda di autorizzazione all’immissione in commercio (Aic). Se la procedura centralizzata può richiedere fino a 210 giorni, nell’altro caso possono bastarne anche 150 per giungere a ottenere una Aic. Qual è l’iter da seguire?

Almeno due o tre mesi prima della presentazione del dossier, la richiesta di una valutazione in tempi più rapidi deve essere posta dall’azienda titolare del farmaco in questione: indicando il bisogno clinico in questione, l’impatto che può determinare il nuovo farmaco e la forza delle evidenze che ne giustificherebbero un interesse per la salute pubblica.

Tocca poi all’Ema – attraverso il Chmp – decretare o meno l’ammissione al programma. Due i criteri di esame: il potenziale del nuovo principio attivo per la salute pubblica e il valore dell’innovazione terapeutica (qui maggiori informazioni).

L’accesso al programma Prime – lanciato dall’ente regolatore nel 2016 per supportare lo sviluppo di medicinali che possono coprire gli unmet need dei pazienti che non hanno altre opzioni di trattamento – garantisce alle aziende l’opportunità di vedere valutato un proprio prodotto idoneo alla valutazione accelerata già durante la fase di sviluppo clinico.

Come funziona il programma dell’Agenzia europea dei medicinali

Tornando allo studio, i ricercatori hanno indagato tre aspetti: quali caratteristiche aumentino le probabilità che un farmaco si veda riconosciuto l’accesso al programma di approvazione accelerata, quanto pesi questa indicazione rispetto alle priorità con cui gli organismi di valutazione di Hta portano avanti la propria attività, con quale frequenza venga rilevato un valore terapeutico aggiunto (rispetto ai farmaci già disponibili) nei principi attivi che si apprestano ad approdare sul mercato al termine di un iter accelerato.

Tra i farmaci candidati e ammessi alla valutazione accelerata tra il 2019 e il 2021, il primato se lo sono aggiudicate le terapie destinate alle malattie dell’apparato digerente: seguite dagli antinfettivi, dai farmaci oncoematologici (soprattutto per il mieloma multiplo e i linfomi) e dagli immunomodulanti (anche se in questi ultimi due casi meno della metà dei dossier hanno completato con successo la valutazione).

Tutti i prodotti ai quali è stata concessa l’ammissione alla valutazione accelerata. “I biologici e le terapie avanzate avevano una maggiore probabilità di essere ammessi al programma rispetto alle piccole molecole: così come i farmaci orfani rispetto a quelli non tali”, afferma Armando Genazzani, presidente della Società italiana di farmacologia (Sif) e coordinatore dello studio.

L’approvazione accelerata non è garanzia di innovazione terapeutica

In una fase successiva, i ricercatori hanno registrato come i trenta farmaci a cui era stata inizialmente concessa la valutazione accelerata siano stati studiati sul piano dell’Hta da tre agenzie regolatorie nazionali: quella italiana (Aifa), quella francese (Haute autorité de Santé) e quella tedesca (Gemeinsamer Bundesausschuss).

Incrociando la valutazione fornita in merito al valore terapeutico aggiunto con la scelta di misurare efficacia e sicurezza di un nuovo farmaco attraverso un iter accelerato, i ricercatori sono giunti alla conclusione che non esiste una correlazione diretta tra i due indicatori. La scelta di analizzare le peculiarità di un farmaco in tempi più brevi, in sostanza, non è sempre garanzia di un prodotto di maggiore efficacia rispetto a eventuali alternative terapeutiche già disponibili.

Quanto ai tempi necessari a deliberare o meno la rimborsabilità dei farmaci in questione, l’Agenzia italiana è stata più veloce rispetto a quelle francese e tedesca: 82 giorni, rispetto ai 143 e 216 dei colleghi d’Oltrealpe. Nonostante le frequenti rimostranze sia della comunità scientifica sia del mondo dell’industria, questo dato conferma come spesso i nuovi farmaci arrivino ai pazienti italiani prima di quanto accada in quasi tutto il resto d’Europa.

Tutto ciò al netto dei vari aspetti – le strategie di ingresso sul mercato delle singole aziende e il modus operandi delle agenzie nazionali – che possono condizionare l’effettiva disponibilità di una terapia in ogni Paese.

Come coniugare innovazione, tempestività e sostenibilità economica?

Diverse analisi – pubblicate su riviste quali Nature e The Lancet oncology: con focus in particolare sui farmaci oncologici – hanno già segnalato come numerose terapie approvate in questo modo negli Stati Uniti non abbiano confermato nel tempo un beneficio per i pazienti tale da richiedere una procedura destinata (per sua natura) a premiare l’innovazione terapeutica o la risposta a un bisogno di salute insoddisfatto e diffuso nella popolazione. A riprova di ciò, anche i 31 ritiri dal mercato disposti dalla Food and drug administration (Fda) nella sola area dell’oncoematologia.

Sull’altro piatto della bilancia ci sono però gli interessi delle industrie: significativi, se un’indagine pubblicata su Nature ha quantificato in un milione al giorno il valore generato dall’ingresso sul mercato statunitense di nuovi farmaci approvati attraverso l’iter accelerato.

Ora le conclusioni di questo lavoro sono destinate a riaprire un dibattito – tra aziende ed enti regolatori – anche in Europa. L’attenzione sul tema è già alta anche nel Vecchio Continente, a partire dalle terapie anticancro: spesso protagoniste dei confronti tesi a trovare una sintesi tra innovazione terapeutica e sostenibilità economica.

“Se vogliamo che sul mercato arrivino terapie efficaci e sicure, dobbiamo rimuovere l’assunto che i fisiologici tempi di valutazione siano inutili o eccessivi – aggiunge Genazzani, ordinario di farmacologia all’Università di Torino –. Questa analisi conferma che è possibile ridurre i tempi per alcuni farmaci, a patto però di trovare una definizione di innovazione terapeutica condivisa tra il regolatore e le agenzie di Hta”.

Nel 2024 appena tre i farmaci approvati con iter accelerato

A differenza di quanto accaduto negli Stati Uniti, però, in Europa c’è molta più cautela nel dare il via libera a un farmaco valutato attraverso un percorso accelerato. Negli ultimi 11 anni, su oltre settecento pareri positivi forniti dal Chmp, sono stati 53 i nuovi principi attivi vagliati in questa maniera.

Sul dato annuo complessivo, il rapporto più alto è stato registrato nel 2016: con sette terapie su 81 a ricevere l’Aic al culmine di un iter accelerato.

Nel 2024, nonostante il boom di Aic rilasciate dall’Ema, sono stati tre i farmaci che hanno ricevuto un parere positivo a valle di questo percorso: l’antibiotico aztreonam/avibactam di Pfizer (per le infezioni complicate del tratto addominale e urinario e delle polmoniti nosocomiali da Gram negativi), l’anticorpo monoclonale sipavibart di AstraZeneca (profilassi di Covid-19 negli immunocompromessi) e il vaccino Ixchiq di Valneva (Chikungunya).



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