“C’è ideologia su costi nucleare. Ddl non contrasta con referendum”. Parla Guzzetta


“Il problema dei costi del nucleare è tecnico ed economico. Mi sembra ci sia molta ideologia”, spiega il professor Guzzetta, il padre del ddl nucleare

Il Governo ha mosso i primi passi per sfatare il tabù del ritorno del nucleare in Italia, ma c’è ancora strada da fare. Uno dei nodi principali riguarda i costi di questa tecnologia. “Il problema dei costi è tecnico ed economico. Mi sembra ci sia molta ideologia”, spiega il professor Giovanni Guzzetta, “padre” del ddl nucleare a Energia Oltre. Il professore smentisce anche la presunta incompatibilità tra i risultati dell’ultimo referendum sul nucleare e la nuova norma.

Può spiegarci perché il ddl nucleare non è in conflitto con il referendum? Negli ultimi giorni sulla stampa specialistica è circolata la notizia che il nucleare promosso dal governo è lo stesso bocciato dal referendum del 2011. L’esempio preso è NUWARD, alcuni giornali sottolineano però che si tratterebbe di un progetto di nuovo reattore basato però su tecnologia convenzionale, reattori ad acqua pressurizzata: la stessa tecnologia bocciata dal referendum del 2011. Cosa ne pensa a riguardo?

Sui limiti giuridici agli interventi del legislatore su materia che è stata oggetto di abrogazione referendaria, la dottrina e la giurisprudenza costituzionale sono intervenute più volte, perché si tratta di trovare un equilibrio tra due esigenze: quella di rispettare la volontà popolare che si esprime in un determinato momento storico e quella di non ingessare indefinitamente le scelte del legislatore futuro. Assolutizzare il valore “bloccante” di un referendum significherebbe infatti attribuire un’efficacia superiore alla legge ordinaria, con la conseguenza che si potrebbe tornare su quelle scelte solo con un intervento mediante legge costituzionale. Il che sarebbe uno stravolgimento del sistema delle fondi del diritto quale delineato dalla nostra Costituzione. E’ questo il motivo per il quale la giurisprudenza della Corte ha trovato un punto di equilibrio nella sent. 199/2012 là dove ha affermato che il vincolo discendente dall’abrogazione referendaria cade nel momento in cui si verifichi un “mutamento del quadro politico” o “delle circostanze di fatto”. Ritengo assai difficile poter dimostra che dal 2011 a oggi non vi sia stato, in questa materia, alcun mutamento del quadro politico e delle circostanze di fatto.

Un nodo importante riguarda i costi delle nuove tecnologie basate sul nucleare. È il prossimo ostacolo da superare per il ritorno del nucleare in Italia? Come superarlo?

Il problema dei costi prima che giuridico è tecnico ed economico. E mi sembra che ci sia molta ideologia sull’argomento. Non spetta a me compiere valutazioni in questa materia. Spetta infatti al decisore politico svolgere gli approfondimenti e assumere le informazioni che ritenga più attendibili. Anche perché il problema non è solo di costruire dei modelli di analisi che rendano comparabili le valutazioni sulle varie fonti di energia, ma anche stabilire su chi graveranno questi costi. Nel contesto della disciplina europea dei mercati energetici, non dovrebbe essere lo tato a investire ma soggetti privati che se ne assumono il rischio, seppure possa intervenire con varie forme di supporto se serve a raggiungere obiettivi di interesse generale come la decarbonizazione. Quindi in ultima analisi quando avremo le norme spetterà agli operatori del settore scegliere se e quanto investire nel nucleare, assumendosene il rischio è facendosi carico di eventuali perdite che non possono certo scaricarsi sulla collettività. Tra l’altro, trattandosi, nel caso delle fonti energetiche, di un mercato molto sussidiato, è evidente che, per ognuna di esse, esistono “vested interests” che puntano a massimizzare i propri vantaggi di posizione. Infine, la questione dipende da scelte che non sono solo economiche, perché si intersecano con i vincoli legati all’una o dell’altra tecnologia e con il peso che si vuol dare a valori “non patrimoniali” come la lotta la cambiamento climatico o quello della sicurezza energetica, in un contesto geo-politico che può condizionare ogni segmento della filiera della produzione energetica. Quanto e come siamo disposti a spendere implica dunque molte valutazioni di “opportunità”, e dunque politiche, in questo campo. Valutazioni che non spetta al giurista compiere.

Durante la conferenza stampa di presentazione del ddl, il ministro Pichetto Fratin ha parlato di una “disciplina organica dell’intero ciclo di vita dell’energia nucleare». Può dirci di più riguardo cosa prevederà e quando dovrebbe vedere la luce?

L’attuale disciplina sul nucleare, in Italia, oltre a essere condizionata dai vuoti determinatisi a seguito del referendum è anche molto frammentata, oltre a essere dipendente dalla ingente normativa europea e internazionale. Il processo avviato con il ddl sul nucleare, sulla base della scelta politica di fondo di riattivare la politica nucleare, impone anche un’esigenza di riordino, adeguamento e razionalizzazione cui il disegno mira.
Il “riferimento all’intero ciclo di vita” del nucleare si inserisce in questa logica. L’obiettivo è avere un quadro regolatorio che consideri complessivamente tutte le fasi della produzione nucleare, dalla ricerca e sperimentazione fino allo smaltimento definitivo. Anche perché, nella prospettiva di un’economia circolare, ogni fase è intrinsecamente legata all’altra e con reciproche influenze.

Il nucleare potrebbe diventare una energia game changer nella lotta al cambiamento climatico? In caso affermativo, come e quanto è lontano questo futuro?

Dal punto di vista del raggiungimento degli obiettivi Net Zero, sicuramente, trattandosi, insieme all’idroelettrico, dell’energia in assoluto più “pulita”. Sui tempi, Ancora una volta la valutazione non è competenza del giurista, ma dei tecnici del settore e degli analisti di scenario. È evidente però che, nei settori fondamentali dello sviluppo, e quello energetico è sicuramente uno dei più cruciali, l’errore che non bisogna compiere è quello dell’approccio congiunturale. Approccio pericoloso perché di corto respiro ed esposto alla variabilità delle congiunture, appunto. Anche la valutazione sui tempi, dunque, va misurata rispetto all’esigenza di compiere scelte durevoli e stabili nel medio e lungo periodo. Dare soluzioni stabili a questioni complesse non è semplice. Si pensi alle politiche che si propongono di fronteggiare gli andamenti demografici. Tornando al nucleare, mi pare che sia diffusa la convinzione che cambiamenti significativi siano immaginabili nei prossimi 10-20 anni. Può sembrare tanto, se si guarda con gli occhi dell’emergenza, ma ci si dovrebbe forse domandare se la situazione di emergenza in cui siamo non sia anche frutto di quelle politiche congiunturali. Forse sarebbe il caso di aggiornare l’approccio, per non passare di emergenza in emergenza. Del resto ci sarà un motivo se ovunque nel mondo il dibattito sul nucleare si è riacceso negli ultimi anni e se la stessa Unione europea ha fatto passi in quella direzione, sia con l’introduzione del nucleare nella famosa tassonomia delle fonti sostenibili che, di recente, nel Net-Zero Industry Act finalizzato a rafforzare l’ecosistema europeo di produzione delle tecnologie a zero emissioni nette.

Quale modello dobbiamo seguire per l’Autorità sulla sicurezza nucleare? Il modello francese può essere d’esempio o si punterà su altro?

Mi pare un po’ presto per dirlo. La delega legislativa non è uno strumento che impone al governo che adotterà i decreti legislativi uno spartito già scritto. All’interno dei principi e criteri direttivi ci sono molte scelte politiche da compiere. Tra queste anche quella del modello di Autorità che si vorrà disciplinare.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link