Se sei nato negli anni ’90 sei nato negli anni di maggior splendore per l’Italia ma la tua pensione futura, purtroppo, non sarà affatto splendida. Vediamo a quanto ammonterà.
Le differenze generazionali si avvertono oggi in modo particolarmente evidente e prepotente. La cosiddetta “generazione Z” – i nati dal 1995 in poi – hanno un approccio alla vita e al lavoro molto differente rispetto alle generazioni precedenti. Ma, soprattutto, devono fare in conti con la precarietà e l’incertezza che sembrano essere diventate le uniche costanti.
L’unica certezza che, oggi, un giovane di 30-35 ma anche 40 anni può avere è che, rispetto ai suoi genitori e ai suoi nonni, andrà in pensione molto più tardi e con un assegno previdenziale parecchio più basso nella maggioranza dei casi. E se pensate che sia tutta colpa della Legge Fornero, sbagliate e anche di molto: soprattutto sbagliate di molti anni.
Perché ciò che ha cambiato per sempre il mondo delle pensioni è stata un’altra legge arrivata oltre 15 anni prima della Fornero: la legge Dini del 1995. La Legge Dini ha cambiato per sempre il modo con cui vengono calcolate le pensioni. Fino al 31 dicembre 1995 gli assegni previdenziali venivano calcolati con il sistema retributivo.
Dall’1 gennaio 1996 in avanti, invece, le pensioni vengono calcolate con il sistema contributivo che, per un lavoratore, è decisamente penalizzante anche se a ben vedere, se fossimo andati avanti con il sistema retributivo, le casse dell’Inps sarebbero già crollate. Ma a conti fatti, allora, chi è nato negli anni ’90, che pensione prenderà?
Pensioni: come vengono calcolate oggi
Chi è nato negli anni ’90 deve essere pronto ad una brutta stangata: andrà in pensione molto più tardi rispetto ai suoi genitori o nonni e con un assegno che, nella maggior parte dei casi, sarà più basso. Ma, di preciso, quanto più basso?
Come spiegato nel paragrafo precedente, la vera rivoluzione, sul fronte delle pensioni, è avvenuta con la legge Dini e non con la legge Fornero. Dal 1996 in avanti, infatti, le pensioni non vengono più calcolate con il sistema retributivo ma con il sistema contributivo. La differenza è enorme.
Il sistema retributivo teneva conto della media delle ultime retribuzioni di un lavoratore. Pertanto se una persona, negli ultimi anni, aveva uno stipendio, in media, di 2000 euro al mese, la sua pensione non sarebbe stata molto distante da tale cifra: un po’ più bassa ma non di molto.
Il sistema contributivo, invece, tiene conto solo dei contributi versati e dell’età a cui si va in pensione. Ogni lavoratore, ogni mese, versa una certa percentuale di contributi all’Inps – i dipendenti versano il 33%, i liberi professionisti, solitamente, il 25-26%- che si accumulano e a fine carriera vengono sommati e poi moltiplicati per un coefficiente di trasformazione che aumenta con l’aumentare dell’età anagrafica a cui una persona va in pensione.
Pertanto occorre avere molti anni di contributi, uscire dal lavoro ad un’età non troppo bassa ma occorre anche avere un buono stipendio in quanto il valore dei contributi dipende dal nostro stipendio. Per dirla in modo semplice: se io ogni mese verso il 33% di 1000 euro avrò un certo tipo di pensione; se verso ogni mese il 33% di 3000 la mia pensione sarà tutt’altra.
Leggi anche: Sei andato in pensione nel 2019? Non ti spetta più nulla: arriva la decisione della Corte Costituzionale
Pensioni: ecco quanto prenderai se sei nato negli anni ’90
Come abbiamo visto, dal 1996 in poi il mondo delle pensioni è stato rivoluzionato dalla Legge Dini che ha modificato in modo drastico il sistema di calcolo degli assegni previdenziali passando dal retributivo al contributivo. Ma il sistema contributivo, per funzionare, deve essere associato ad un costante aumento degli stipendi altrimenti va da sé che i giovani saranno fortemente penalizzati da questo sistema.
La legge Dini, infatti, fu fatta in un periodo storico in cui si dava per scontato che gli stipendi sarebbero aumentati progressivamente e le pensioni di conseguenza. Purtroppo la storia ha preso un corso diverso e, ad oggi, gli stipendi medi in Italia sono ancora fermi a 1300-1500 euro.
Non solo: gli stipendi italiani, oltre ad essere bassi, non crescono o, comunque, non in misura adeguata. L’OCSE ha posizionato l’Italia tra gli ultimi posti per la crescita dei salari medi. E stipendi bassi significa basso valore dei contributi il ché implica pensione misera. Ma quindi, a conti fatti, supponendo che l’età della pensione resti ferma a 67 anni – cosa improbabile ma, finché non ci sono modifiche ufficiali teniamo ferma questa età per la pensione di vecchiaia – un giovane nato negli anni ’90, dopo 30 anni di lavoro, che pensione avrà?
Leggi anche: Pensioni di marzo, altro che rivalutazione: gli assegni saranno ancora più bassi degli altri mesi
Tenendo conto che, attualmente, gli stipendi medi in Italia si aggirano intorno ai 1300-1500 euro al mese e supponendo che l’età pensionabile resti di 67 anni e prendendo come riferimento gli attuali coefficienti di trasformazione, chi è nato negli anni ’90 riceverà di pensione circa il 60% del suo stipendio. Pertanto se lo stipendio fosse di 1500 euro al mese, la pensione, dopo 30 anni di lavoro, sarà di circa 900 euro.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link