VENEZIA – Cinque, anzi sei anni di lavoro tra le bellezze artistiche di Venezia. E chi non ci metterebbe una firma? Aprire cantieri, raccogliere storie, vicende, avere a che fare con esperti restauratori, innamorarsi della città («Sono di origine bergamasca, la mia famiglia viene da lì. Poi ci siamo spostati su Milano. I miei nonni stavano a Venezia. Ora in Laguna metterò su casa pure io»). Insomma un ottimo biglietto da visita, soprattutto per un architetto («Lo dico sommessamente, per un professionista Venezia è un sogno»). Lui è Luca Bombassei, architetto e designer di fama, che dopo aver trascorso un lustro alla guida della Venice International Foundation, uno dei preziosi Comitati, fondatore da Franca Coin, che si lavora della salvaguardia della città e che raccolgono fondi a livello nazionale e internazionale per la sua salvezza, ha deciso di passare il testimone di “presidente”.
Architetto, un lavoro prezioso. Un po’ sotto i riflettori e un po’ no.
«Ho iniziato a lavorare per la Fondazione Venezia (Vif) sei anni fa. Prima come consigliere e poi mi hanno scelto come presidente. I primi mesi dell’incarico non sono stati facili. Come tutti ci siamo trovati travolti dal Covid, ma nonostante le difficoltà abbiamo approfittato del tempo per elaborare idee, costruire progetti di tutela del patrimonio monumentale grazie anche alle competenze nel mondo dell’arte, prendendo spunto anche dalla mia collezione di opere».
Da quanti “pezzi” è composta?
«Sinceramente non glielo so dire. Ci sono parecchie opere. Ammetto che non riesco ad esporle tutte. E poi come architetto ho un sacco di chiodi in parete e cambio spesso i quadri esposti…».
L’attività della Fondazione Venezia: da dove cominciamo?
«Il fiore all’occhiello è stata la mostra di uno dei più grandi artisti italiani contemporanei: Francesco Vezzoli. Abbiamo allestito una sua esposizione al Museo Correr in Piazza San Marco. Ci siamo divertiti a solleticare i visitatori con una serie di giochi di rimando apprezzati da tanti».
Quale è stato uno dei momenti più difficili della sua gestione?
«Beh, poco dopo esser diventato presidente del Vif è scoppiato il Covid. E se è stato drammatico per quello che sappiamo, dall’altro, grazie anche a Franca Coin, abbiamo rinsaldato il legame all’interno della fondazione. Abbiamo iniziato a ragionare secondo un nuovo approccio, riconosciuto anche dal Financial Times»
Cosa hai fatto?
«Tra “aqua granda” nel novembre 2019 e poi il Covid nel biennio 2020-21 nel periodo più tosto, Venezia aveva bisogno di trovare nuovi sostegni. Ed è questo quello che abbiamo fatto: pur continuando la nostra “mission” della salvaguardia, abbiamo voluto fare qualcosa di concreto sostenendo con una specie di borsa di studio molti studenti del Conservatorio Benedetto Marcello, uno degli istituti che più ha sofferto in quel frangente».
Un’operazione di solidarietà collettiva non comune.
«Esatto. E c’erano da sostenere anche quelli che ho definito gli “Angeli dell’Aqua Granda”. Ma non ci siamo fermati a quello».
Oltre la solidarietà anche la tutela.
«Certamente. Ad esempio l’operazione di riordino, riqualificazione e restauro della celebre Quadreria di Palazzo Ducale approfittando dalle capacità dei nostri artigiani locali. Persone preziose».
Non sarà stato facile trovarle con facilità
«Avevamo dei cuoi sbalzati da risistemare che, oggettivamente, rappresentavano un problema. Dopo qualche ricerca abbiamo scoperto che in città c’è un’unica esperta di lavorazione del cuoio sbalzato. E ci siamo chiesti: e dopo di lei…? Serve professionalità, cultura, capacità. E così abbiamo fatto con tutti i musei con i quali abbiamo lavorato: oltre al Correr, il Fortuny, i musei civici nel complesso, Palazzo Ducale. Infine tra le aree monumentali ce n’è una che sicuramente rimarrà a lungo nella memoria: il giardino ritrovato accanto alla Chiesa del Redentore alla Giudecca, grazie alla collaborazione tra noi e la Venice Gardens Foundation».
Insomma Venezia l’ha conquistata in tutti i modi.
«Non la abbandonerò, anzi ho scelto di restare qui. Di lavorare qui, dove come architetto vi sono spunti a non finire. Qui ci si mette in gioco proprio per l’eterogeneità degli stili».
Cosa servirebbe a questa città?
«Più collaborazione tra pubblico e privato. Occorrerebbe ascoltare di più l’altro. Qui c’è una realtà privata di valore, che lavora con il cuore, e che andrebbe valorizzata. Più si collabora tra istituzioni, più diamo una chance a questa città».
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