L’Ue, che sulle armi è molto dipendente dall’America, si divide sul “Buy european”


Parigi insiste su una preferenza comunitaria per le armi prodotte nell’Unione. Berlino vuole più flessibilità, senza escludere Regno Unito e Stati Uniti. Serve velocità, ma l’accordo sui 150 miliardi di prestiti di Safe traballa


Bruxelles. Ursula von der Leyen non ha ancora presentato la proposta formale per “Safe”, lo strumento da 150 miliardi di euro di prestiti da fornire agli stati membri per finanziare il riarmo dell’Unione europea. Ma il piano, che serve ad accelerare l’acquisto di armi, le forniture all’Ucraina e il rafforzamento dell’industria della difesa europea di fronte al disimpegno dell’Amministrazione Trump rischia di essere compromesso dallo scontro tra i governi sul “Buy european”. I paesi europei della Nato sono fortemente dipendenti dalle importazioni dagli Stati Uniti. Secondo una ricerca dell’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (Sipri), gli Stati Uniti contano per il 64 per cento delle importazioni di armi nei paesi Nato. La Francia insiste perché lo strumento Safe contenga una preferenza comunitaria affinché i fondi finiscano ad armi prodotte nell’Ue, ma la Germania e altri paesi si oppongono in nome dell’urgenza

 

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Il “Buy european” nella difesa va ben oltre il tradizionale conflitto tra protezionisti e liberali. Gli eventi degli ultimi dieci giorni hanno dimostrato le potenziali conseguenze per l’Europa di un’Amministrazione Trump pronta a usare tutte le leve a sua disposizione come strumento di pressione e ricatto. La decisione improvvisa di sospendere le forniture di armi (comprese le componenti per gli aerei F-16) e la condivisione di informazioni di intelligence (incluse quelle per individuare in anticipo gli attacchi con missili e droni) mette in dubbio l’affidabilità degli Stati Uniti come fornitore militare. Lo stesso vale per le minacce di Elon Musk di tagliare Starlink all’Ucraina. Le implicazioni toccano gli acquirenti europei di armi americane. Sono la maggioranza degli Stati membri della Nato, principalmente per ragioni di interoperabilità e fedeltà al principale azionista dell’Alleanza atlantica. “Gli americani possono schiacciare un bottone e disattivare gli F-35 che hanno venduto ai paesi europei”, spiega al Foglio una fonte europea

Le stime sulla dipendenza di armi dagli Stati Uniti variano e spesso non tengono conto degli acquisti dai produttori nazionali. Ieri il Sipri ha pubblicato uno studio secondo cui gli Stati Uniti hanno fornito il 64 per cento delle armi importate nei paesi Nato tra il 2020 e il 2024. Negli anni segnati dalla guerra della Russia contro l’Ucraina le importazioni di armi sono raddoppiate rispetto al periodo 2015-2019. “Di fronte a una Russia sempre più bellicosa e a relazioni transatlantiche tese durante la prima presidenza Trump, gli Stati europei membri della Nato hanno adottato misure per ridurre la loro dipendenza alle importazioni di armi e rafforzare l’industria europea dell’armamento”, ha spiegato Pieter Wezeman, ricercatore del Sipri. “Ma la relazione transatlantica sull’approvvigionamento in armi ha radici profonde”. Nel periodo 2020-24, il Regno Unito ha importato l’86 per cento di armi dagli Stati Uniti, i Paesi Bassi il 97, l’Italia il 94, la Polonia il 45. Il caso polacco illustra la dipendenza da fornitori extra europei. Il secondo fornitore è la Corea del sud con il 42 per cento delle importazioni. 

A promuovere da tempo il “Buy european” è la Francia. L’inaffidabilità di Trump ha offerto a Parigi un argomento in più. Emmanuel Macron si aspetta che la Germania abbandoni alcuni progetti sviluppati con capacità americane – come lo scudo missilistico European Sky Shield Initiative basato sui Patriot – per passare a progetti esclusivamente europei. La Germania come la Polonia vuole invece tenere aperto lo strumento Sure (“Security Action For Europe”) a produttori basati in Europa (Regno Unito, Norvegia, Turchia e Svizzera), ma anche negli Stati Uniti. Ursula von der Leyen sembra propendere per l’approccio aperto. I 150 miliardi di prestiti “devono finanziare gli acquisti dai produttori europei”, ha detto la presidente della Commissione, sottolineando che lo strumento Safe è di politica industriale e serve a sostenere l’industria degli armamenti dell’Ue (il bilancio comunitario non può finanziare direttamente gli acquisti di armi).

Tuttavia – ha aggiunto von der Leyen – è necessario “fare squadra con altri paesi che la pensano allo stesso modo come il Regno Unito, la Norvegia o il Canada”, senza mettersi a “reinventare la ruota”. Il commissario all’Economia, Valdis Dombrovskis, ieri ha spiegato che la Commissione cercherà di perseguire un doppio binario: “La necessità urgente di colmare alcune lacune di capacità” (l’argomento contro al “Buy european”) e “l’obiettivo di rafforzare lo sviluppo dell’industria della difesa dell’Ue” (l’argomento a favore del “Buy european”). Con il deterioramento della situazione in Ucraina la priorità deve essere “la velocità”, spiega un’altra fonte europea. Ma meno ci sarà “Buy european”, più lunghi rischiano di essere i negoziati per trovare un accordo sui 150 miliardi di prestiti di Safe

 





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