Arbitro Ferrieri Caputi: ‘Insulti sessisti alle donne? È dura ma non bisogna mollare’


8 marzo 2025. Mentre le principali piazze italiane si riempivano di donne e uomini per manifestare contro violenza di genere e patriarcato, nel trevigiano, durante una partita di basket, la madre di uno dei giocatori urlava all’arbitra di turno 18enne, che dirigeva una partita di serie D di pallacanestro: “Cosa ci fai qui l’8 marzo? Vai a fare la prostituta, vai a casa”. La giovanissima direttrice di gara è scoppiata a piangere e la partita è stata sospesa. Pochi giorni prima a Roma, sul campo di calcio dell’Achillea Talenti, un’altra arbitra di 16 anni è stata insultata dal padre di uno dei calciatori ospiti: “Questa è femmina, non capisce un c…o” si sente in un video finito sui social. “Poi dice che uno è sessista, ma come fa una femmina… non s’è mai vista…”.  

E invece di “femmine” fischiare in campo se ne vedono sempre di più. Secondi i dati dell’AIA (Associazione Italiana Arbitri) gli arbitri totali in italia sono 33.170, di cui 2.388 donne, pari al 7,2% dell’organico. Mentre dieci anni fa toccavano il 5%. Un trend positivo, ma la figura dell’arbitra è costantemente bersagliata da attacchi maschilisti. E di offese e insulti sessisti in campo ne sa qualcosa Maria Sole Ferrieri Caputi, 34 anni, che nel 2022 ha scritto un pagina della storia del calcio italiano, diventando la prima donna ad arbitrare una squadra di serie A. “Purtroppo questi episodi non mi stupiscono. Queste forme di violenza verbale ci sono sempre state e sono all’ordine del giorno. Nel corso della nostra attività le abbiamo subite tutte, e succede ancora oggi. Sia dagli spalti, che attraverso i social”, dice l’abitra livornese a Sky TG24. “Ma quello che dispiace ancora di più è che questi insulti provengano da due figure genitoriali, coloro che invece dovrebbero essere attivamente coinvolte per combattere discriminazioni e stereotipi di genere”.  




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Maria Sole Ferrieri Caputi è la prima donna ad arbitrare in Serie A

Condanniamo abbastanza gli insulti sessisti come quelli raccontati dalla cronaca egli ultimi giorni?
Non so se è abbastanza. Va benissimo dire alle ragazze di non lasciarsi abbattere, però bisogna anche essere consapevoli che non si può sempre giustificare tutto. E un’offesa rivolta a una ragazzina di 16 anni può fare ancora più male. Non bisogna né normalizzare né sminuire episodi come questi, che sono lo specchio di un male comune molto più ampio, che ha radici culturale profonde.
 

Negli anni ti sarai sentita rivolgere anche tu frasi sessiste e insulti. Cosa ti dicevano?
Tre le più folkloristiche vai a lavare i piatti”, “vai a cucinare”, “vai a fare pattinaggio artistico”. Poi ovviamente mi urlavano “tr..a”, “pu….a”. E insulti a sfondo sessuale. Devo dire a fare la differenza è anche il contesto un cui avviene.
 

Ricordi un caso in particolare che hai vissuto?
Durante una partita, nel primo anno in cui arbitravo, addirittura un allenatore iniziò a offendermi in campo in modo davvero sguaiato. Avevo 17 anni. Nei primi minuti sono rimasta ferma perché non potevo credere che fosse lui, non mi sembrava possibile. Quando poi ho realizzato ho avuto la lucidità e la forza di mandarlo fuori. 
 

Come è finita?
Una volta terminata la gara lui è venuto a cercarmi arrabbiatissimo, di nuovo con un atteggiamento molto aggressivo. Tu provi a spiegare, ma loro ti urlano in faccia. All’epoca per fortuna avevo a fianco una persona della mia sezione, un uomo più strutturato e adulto, che lo ha mandato via. Quell’episodio è stato davvero brutto, mi ha ferito. Se oggi mi ricapitasse saprei come agire. Ma a 17 anni è tosta. Sei sola, su un campo di terra battuta, al freddo, senza un assistente. Dopo episodi del genere non è strano pensare di smettere.

 

Hai iniziato a 16 anni, ora ne hai 35. In questi 18 anni quanto sono cambiate le cose? C’è stata un’evoluzione?
In un certo senso sì. Il primo aspetto da sottolineare è che negli anni sono salita di categoria, e più sali di categoria più subire episodi di discriminazione è raro. Certo, può arrivare qualche insulto dalla curva dello stadio ma per quando riguarda il contesto, tra dirigenti e calciatori c’è molto più rispetto. E poi il cambiamento che ho notato personalmente in questi 18 anni è la percezione delle persone che lavorano all’esterno. Dalla stampa ai commentatori sportivi… C’è più attenzione.
 

A proposito, va bene chiamarti “arbitra”?
Scegli tu. Quella linguistica per me non rappresenta una questione centrale.

 

Oggi lavori a livelli molto alti. Percepisci ancora un ambiente sessista, magari meno manifesto?
Non particolarmente. L’importante è prendere bene le decisioni, poi magari un po’ di diffidenza verso le donne rimane…
 

Oggi le donne arbitro rappresentano il 7,2% dell’organico. Dieci anni fa erano il 5%. Si avanza, anche se lentamente?
Sicuramente il fatto che negli ultimi anni ci sia stato un incremento numerico è un segnale positivo. Anche il calcio femminile è cresciuto: vedendolo più spesso anche in tv è più facile che le ragazzine si appassionino al pallone e possano pensare un domani diventare arbitra. Sicuramente vedere alcune di noi lavorare in un certo tipo di categorie normalizza la presenza delle donne nel calcio. 
 

Il supporto è importante?
Molto. Anche l’AIA negli ultimi anni ha fatto tanto per seguire le ragazze. Perché non è solo un tema di accesso, ma anche di quante poi restano in questo mondo. Io da giovanissima avevo iniziato con alcune mie amiche, ma smisero tutte dopo due o tre mesi. Se la ragazzina alla seconda partita riceve insulti sessisti ed è lasciata sola è normale che possa pensare “ma chi me lo fa fare”. Invece deve vedere che quell’insulto viene immediatamente stigmatizzato.
 

Che consiglio daresti quindi a una ragazza che vuole diventare arbitra?
Se questa attività le piace il mio consiglio è quello di continuare, di non lasciarsi scoraggiare da qualche stupido sugli spalti.  




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