di Alessandro Maran
Il presidente argentino Javier Milei, un economista autodefinitosi “anarco-capitalista”, ha tagliato i bilanci e persegue un programma radicale per rimodellare il governo dell’Argentina e le sue prospettive finanziarie da tempo incerte. Gli elettori argentini sembrano concedergli un ampio margine di manovra per apportare questi cambiamenti, il che ha incuriosito i conservatori di tutto il mondo.
Nell’ultimo numero del New Yorker, Jon Lee Anderson osserva che i tagli al bilancio hanno danneggiato i più bisognosi, dato che alcuni programmi sociali sono stati ridimensionati. Ma Milei gode anche del sostegno delle baraccopoli del paese. – Il movimento peronista e le sue vestigia (e la sinistra dello stato pesante, ipertrofico) è ormai screditato agli occhi di molti, e c’è voglia di un cambiamento radicale e di una scossa fiscale, se ciò può curare l’iperinflazione e rimettere in sesto il paese (un tempo ricco). La speranza di stabilità è una forza potente.
Un rivenditore di liquori in una baraccopoli argentina dice a Anderson che «Milei ha parlato schiettamente e sapevo che il suo messaggio sarebbe andato lontano» nei quartieri poveri. «Eppure – prosegue Anderson – l’entusiasmo ideologico potrebbe non sostenere molti argentini per un lungo periodo di dolorosi cambiamenti. Milei ha licenziato finora circa trentamila dipendenti pubblici, quasi un decimo della forza lavoro federale (…) Ci sono state enormi riduzioni nei finanziamenti per l’assistenza sanitaria e la ricerca scientifica. Gran parte del settore dell’istruzione è stato svuotato; tra le altre cose, Milei ha tagliato gli adeguamenti all’inflazione per le università, lasciando molti campus nell’impossibilità di pagare luci e riscaldamento. Una dozzina di ministeri sono stati sciolti o declassati e privati dei finanziamenti. Il dipartimento dei lavori pubblici è stato congelato; si stima che da allora siano stati licenziati duecentomila operai edili, abbandonando gli edifici a metà. Ci sono stati tagli radicali negli aiuti ai bambini poveri. Mentre l’inflazione è scesa a meno del tre percento, il tasso di povertà è cresciuto di circa undici punti, al cinquantatré percento» (https://www.newyorker.com/…/javier-milei-wages-war-on…).
«“Chi cerca rimedi economici ai problemi economici va sulla strada sbagliata”, ha detto Luigi Einaudi. Un percorso che “non può che portare al precipizio”. “Il problema economico”, ha osservato, “è l’aspetto e la conseguenza di un problema spirituale e morale più ampio”», scrive Loris Zanatta su LA NACION. «Nessun paese meglio dell’Argentina si adatta a questa frase: tutti sembrano convinti che abbia un problema economico che necessita di una soluzione economica» e «nessuno più di Milei cerca soluzioni economiche ai problemi economici esacerbando il “problema spirituale e morale più ampio”. Succede a diversi economisti: sopravvalutano il potere organizzativo dell’economia», scrive. Eppure «la storia è più complicata: l’equilibrio macroeconomico è necessario, ma non è sufficiente a garantire pace e prosperità. Governare tuonando provoca instabilità, seminare odio significa raccogliere violenza, facendo quadrare i conti Milei munge la mucca, facendo il tirannello prende a calci il secchio del latte».
Secondo Zanatta «il fenomeno Milei è meno inedito di quanto si creda, fa parte del problema più che della soluzione. Si crede il nuovo re di una nuova fede, il capo di un altro “movimento nazionale” fondato su un’altra “fede della patria”, con il suo decalogo, i suoi eroi e i suoi riti plebiscitari. Se guardassimo alla “cultura” più che alla “struttura”, alle istituzioni piuttosto che alle ideologie economiche, tutti vedremmo il re nudo: il mileismo, come il peronismo, incarna un’idea illiberale di democrazia. A giudicare dalla sua popolarità, si direbbe che è la preferita dalla maggior parte degli argentini. Ma questo è esattamente il precipizio» (https://www.lanacion.com.ar/…/el-problema-espiritual…/).
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