Il voler apparire compatti a tutti i costi è un ostacolo alla funzione sociale del calcio, come nel caso dei giubbotti LGTBIQ+ rifiutati dal Manchester United
(From L) This handout photo made available by the German Football Association (DFB) shows Germany’s midfielder Lukas Podolski posing beside an Mercedes-Benz SLS AMG E-CELL with the autographs of the EURO 2012 German national team players in the courtyard of their team hotel on June 7, 2012 in Gdansk, Poland.
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L’auto di lusso per i calciatori è un modo per farsi accettare dallo spogliatoio (El Paìs)
El Paìs pubblica un’interessante analisi – impensabile leggerla in Italia – sui significati e le conseguenze della compattezza dello spogliatoio, sull’esigenza che i calciatori hanno di apparire sempre uniti all’esterno. L’articolo è di Galder Reguera.
L’articolo comincia così:
Mi sono sempre chiesto perché i calciatori (giovani, molti single, la maggior parte senza figli) guidino macchine così sproporzionatamente grandi.
Era qualcosa che non capivo, fino a quando uno di loro, un giovane top player mi ha proposto la teoria che l’automobile per i calciatori è una sorta di rito di passaggio. Ha spiegato che quando uno arriva in uno spogliatoio, o ha un nuovo e più importante ruolo nella squadra, si sente obbligato a rispettare una serie di tradizioni e codici nel processo di appartenenza al gruppo e di consolidamento del suo status. L’auto enorme o stravagante e l’ostentazione del lusso sarebbero parte di questo processo. Se uno va in bicicletta o con la sua vecchia utilitaria, mostrerebbe solo una distanza, una separazione, definendosi diverso dagli altri. La grande macchina nel campus della squadra di calcio sarebbe, quindi, qualcosa come la cravatta sul consiglio di amministrazione o la sigaretta sulle labbra dell’adolescente ribelle.
Scrive El Paìs:
L’esempio della macchina mi aiuta a mostrare perché a volte il modo in cui funzionano gli spogliatoi è la causa della stagnazione del mondo del calcio in termini di valori (il cambiamento climatico sarebbe uno di questi) e costa così tanto modificarlo.
Scrive della notizia del rifiuto dello spogliatoio del Manchester United di indossare la giubba in sostegno del movimento LGTBIQ+ prima di una partita. Tutto perché il loro compagno di squadra Noussair Mazraoui si è rifiutato di farlo per le sue convinzioni religiose. Ricorda la dichiarazione del club in difesa del giocatore e della decisione della squadra.
Scrive El Paìs:
La dichiarazione dello United, un club con un fatturato di 700 milioni di euro l’anno, sostiene e cerca di giustificare la decisione di uno spogliatoio che è a sua volta il risultato della somma del capriccio di un singolo giocatore sommato al codice interno non scritto che la squadra deve sempre mostrarsi unita verso l’esterno.
Reguera scrive che questa solidarietà con il gruppo diventa un’arma a doppio taglio.
I codici che promuovono la coesione, la lealtà al gruppo e l’appartenenza funzionano anche come barriere al cambiamento sociale. Se il calcio vuole essere più di un semplice spettacolo, se vuole continuare ad essere il gioco delle persone e abbracciare i valori di inclusione, diversità e sostenibilità, dovrà cambiare molto le sue dinamiche, compresa la forza dello spogliatoio come nucleo di resistenza ai cambiamenti sociali. E c’è una vera sfida: trovare un modo per rompere con l’inerzia senza rompere con lo spirito di squadra.
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