“La città è diventata un parco giochi per turisti a cui piace bere il caffè in cialda e mangiare pessime fritture”, recita uno dei primi commenti al post che, dal profilo Instagram di Report, annuncia uno dei temi della puntata di domenica 15 dicembre 2024. Una di quelle particolarmente divisive, c’è da scommetterci. Per la quarta volta, la trasmissione di Rai 3 si interroga sulla cultura del caffè nel nostro Paese, e in particolare sullo stato dell’arte a Napoli. A cinque anni dall’ultimo sopralluogo nella città (auto)eletta come sua capitale, il giornalista Bernardo Iovene è tornato a vedere come stanno le cose. Non benissimo, a giudicare dai filmati che fanno trapelare qualche anticipazione, tra tazzine di plastica, macchinette un po’ sgangherate, le già citate cialde e prezzi insensatamente bassi, un diffuso problema di igiene, tazzine con miscele di robusta che fanno più cremina che caffè, materia prima scadente e gestita malissimo.
Abbiamo chiesto a Andrej Godina, dottore di ricerca in Scienza, Tecnologia ed Economia nell’Industria del Caffè, assaggiatore professionista, consulente e trainer autorizzato — nonché colui al quale Report si è rivolta per un parere autorevole — di raccontarci le principali criticità per le quali no, le nostre tazzine non sono affatto le migliori del mondo.
La formazione generalmente scarsa, o nulla, dei baristi italiani
Come abbiamo più volte raccontato, anche nel nostro Paese (pur con svariati anni di ritardo) ci sono via via più torrefattori e baristi consapevoli rispetto al caffè di qualità e alle sue filiere. “Generalmente, però”, dice Godina, “chi sta dietro al bancone non sa nulla della materia prima che maneggia”. Per chiarire l’importanza del ruolo, lo paragona non tanto al sommelier per il vino — “che deve conoscere quello che c’è dentro la bottiglia, ma ha di fronte una bevanda già pronta” — quanto all’enologo, “che decide i passi che portano dalla materia prima al prodotto finito”.
Per servire un ‘semplice’ espresso, è richiesta infatti la conoscenza di una macchina semi-automatica, oltre che saper regolare la macinatura, impostare il dosaggio, pressare il caffè e scegliere il tempo di erogazione. Poi regolare la temperatura dell’acqua e possibilmente anche il ‘tipo’. È fondamentale altresì “manutenere e pulire correttamente l’attrezzatura. Perché non tutti sanno”, aggiunge, “che il caffè tostato contiene il 10% di oli vegetali che si appiccicano su tutte le superfici con cui entrano in contatto”. Una macchina non ben pulita, dunque, non solo rovina un caffè potenzialmente buono, ma fa sì che gli accumuli, sottoposti al calore, irrancidiscano e tendano a bruciacchiarsi. Salutare? Non proprio.
Tutti i colori della tostatura: però il nero no
Uno dei temi più caldi della puntata di Report riguarderà la tostatura scura, scurissima, prediletta dalla maggior parte dei bar cittadini. “Non esiste un profilo ideale e assoluto per tostare il caffè”, precisa Godina, “proprio come non esiste un’unica tecnica di fermentazione per il vino”. Ogni torrefattore, in base ai chicchi scelti e al flavore desiderato (un termine tecnico che indica l’insieme delle percezioni sensoriali del caffè in tazza, ovvero aroma, gusto e sensazione tattile), decide come e ‘quanto’ tostare. “Per il metodo di estrazione a filtro, molto in uso in Nord Europa, sono più adatte tostature chiare”, mentre per l’espresso nostrano è corretto ‘calcare un po’ la mano’. “Per un motivo tecnico, ovvero che l’erogazione è molto corta e, dal punto di vista fisico, bisogna rendere il chicco più friabile e poroso. Questo si ottiene ‘cuocendolo’ di più”.
È inoltre un dato di fatto che una grossa parte dei consumatori italiani gradisca le note aromatiche tipiche delle tostature più forti, come cacao amaro, liquirizia e spezie: “Proprio quelle che sprigiona un procedimento così”. Però attenzione, scuro non significa ‘nero’. “Tutto ciò che è nero è bruciato. E i chicchi neri sì, quelli devono essere attaccati”, conferma l’esperto. Ma quindi che senso ha, per un produttore, rovinare di fatto i propri chicchi? “L’unica spiegazione è la volontà di mascherare un problema di materia prima, probabilmente difettata già all’origine”.
Il prezzo bassissimo del caffè? Un danno per tutti
A Napoli, come in altre città, si trovano ancora tazzine a 1€. Quando i baristi cercano di alzare i prezzi, arrivano le immancabili levate di scudi (come abbiamo raccontato). “Basta fare i conti per capire che uno scontrino del genere è sottocosto”, con il gestore che non rientra banalmente nei costi, tra stipendi dei baristi, utenze, ammortamento della macchina e tutte le voci di spesa che ricadono sul fatturato del caffè.
“È evidente che una proposta del genere non possa essere di qualità”; tutt’al più servire da prodotto civetta per attrarre i clienti e spingerli a consumare altro. Proprio come le offerte speciali nei grandi centri commerciali. “Il problema”, secondo Godina, “è che una politica del genere svilisce il valore del prodotto e rinforza l’idea, nell’immaginario collettivo, del caffè come bene di consumo da pagare pochissimo”. A chi fa bene tutto questo? Aspettiamo di vedere il resto su Report, e ce lo chiediamo.
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