Con l’avvicinarsi della conclusione dell’anno, le analisi e le proiezioni si moltiplicano, generando una quantità di dati economici più elevata rispetto ad altri periodi. Queste proiezioni sono essenziali per prepararci a ciò che ci aspetta e, come è noto, un tocco di ottimismo può solo fare bene all’economia.
L’Istituto Nazionale di Statistica ha recentemente diffuso il report “Prospettive economiche per l’Italia 2024/2025”. La dichiarazione iniziale riflette un indispensabile ottimismo per affrontare il futuro: si prevede che il PIL del 2024 possa crescere dello 0,5%, mentre le stime per il 2025 parlano di un incremento dello 0,8%. Nonostante ciò, alcune agenzie di rating internazionali hanno espresso perplessità riguardo queste proiezioni. Sarà il primo trimestre a mostrare se le dinamiche economiche seguiranno quanto previsto.
Il bilancio di quest’anno si basa su un incremento delle esportazioni e un rialzo dei consumi, che hanno compensato una diminuzione degli investimenti. Nel prossimo anno, si prevede che consumi e investimenti, ovvero la domanda interna, siano stimolati dalla crescita occupazionale e dagli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), diventando i motori della crescita attesa.
Anche se i dati sono brevi, emerge che la crescita economica attuale si basa su fondamenta fragili e non offre una visione chiara di un rafforzamento futuro. L’interpretazione ottimistica dei dati si limita a sottolineare l’aumento del PIL, mettendo in evidenza che la crescita italiana supera quella di altre importanti economie europee, segno di un sistema economico apparentemente in salute. Anche il tasso di occupazione, che ha raggiunto un nuovo picco, mostra che la fase di crescita post-pandemica ha raggiunto obiettivi attesi da tempo.
La fragilità emerge dalla composizione dei dati. La crescita occupazionale si è concentrata principalmente nei servizi, e in particolare in quelli a intensa manodopera. Anche in altri settori, come l’edilizia, stimolata dal Superbonus, si è verificata una crescita, ma questa ha avuto un impatto negativo sulla spesa pubblica senza generare un aumento del reddito che compensasse il deficit creato.
L’aumento complessivo dell’occupazione ha portato a un incremento della massa salariale, che ha stimolato i consumi, compensando la perdita di valore reale dei salari a causa dell’inflazione. Sia i salari che l’inflazione hanno mostrato un andamento erratico. Il lavoro è cresciuto soprattutto in settori a basso salario, aumentando così il fenomeno del lavoro povero, ma la presenza di doppio stipendio ha aiutato a mantenere stabile il reddito familiare. L’aumento dei consumi è stato limitato poiché l’incremento dei prezzi è stato molto variabile, con rialzi significativi nei prezzi degli alimenti, nelle bollette energetiche e negli affitti nelle aree urbane.
Nel frattempo, abbiamo assistito a una contrazione degli investimenti nell’industria e nel settore manifatturiero. La conclusione del Superbonus ha anche frenato il settore edile. La crisi in settori chiave come l’automotive è ormai una notizia quotidiana.
Possiamo quindi affermare che i problemi lavorativi di giovani, donne e del Mezzogiorno rimangono irrisolti. Il 2% dei posti di lavoro disponibili rimane vacante a causa di inadeguatezze formative. La creazione di posti di lavoro ad alta qualifica è ancora scarsa, perpetuando così un’emigrazione forzata dovuta alla mancanza di offerte di lavoro adeguate. Avremmo bisogno di una crescita economica ben più robusta di quella attuale anche per affrontare il tema del debito pubblico da ripagare, ma il tipo di sviluppo basato su servizi di basso livello non può soddisfare questa esigenza fondamentale.
Se salari e inflazione hanno mostrato un andamento erratico, abbiamo purtroppo una variabile che ha mantenuto una costante discesa: la produttività. Questo termine, spesso visto negativamente in molte culture lavorative, è considerato sinonimo di sfruttamento del lavoratore, motivo per cui è scomparso dal dibattito su cosa fare. Tuttavia, dovrebbe essere centrale nella valutazione dell’impatto degli investimenti e delle riforme previste dal PNRR. Aumentare la produttività del sistema Italia è fondamentale per avere risorse da destinare ai beni comuni che dobbiamo proteggere, come la salute, la cultura, la sicurezza e un nuovo piano per l’edilizia abitativa.
Incentivare investimenti innovativi per industria e manifattura è essenziale per alleggerire il lavoro e per riconoscere aumenti salariali. Anche i servizi devono essere supportati in una fase di innovazione e investimenti tecnologici di ammodernamento.
Le decisioni del governo su questi temi, insieme al silenzio delle opposizioni, spiegano perché tanto le famiglie quanto le imprese siano pessimiste riguardo le prospettive economiche per l’anno prossimo.
Un cambiamento di direzione da parte dell’Europa sarà sicuramente utile per affrontare la crisi che si profila all’orizzonte. Tuttavia, dobbiamo anche iniziare da soli a focalizzarci su scelte, rivendicazioni e accordi che pongano al centro l’obiettivo di una nuova produttività, se vogliamo che il 2025 contribuisca a rafforzare l’economia del Paese e delle persone che vi lavorano.
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Tags: Inflazione, Superbonus
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