L’ex arrestato Jason Rezaian: «Rischia di stare in carcere a lungo. Lì dentro usano torture mentali per spezzarti»

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dalla nostra corrispondente da New York Viviana Mazza

Il giornalista iraniano-americano era il capo dell’ufficio di Teheran del Washington Post

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Quella di Cecilia Sala «rischia di essere una detenzione lunga», dice al Corriere Jason Rezaian. Parla per esperienza. Rezaian, giornalista iraniano-americano, era il capo dell’ufficio di Teheran del Washington Post. Nel 2014 fu arrestato con l’accusa di spionaggio e «propaganda contro il sistema» insieme alla moglie: lei fu rilasciata dopo due mesi e mezzo, lui processato, condannato e liberato dopo un anno e mezzo grazie a uno scambio di prigionieri con gli Stati Uniti e lo sblocco di fondi iraniani congelati. Oggi è direttore delle iniziative per la libertà di stampa del Washington Post. 

Negli ultimi giorni si è attivato per contattare giornalisti italiani e il nostro governo, cercando di aiutare attraverso la sua esperienza. «L’unica cosa che mi aiutava quand’ero in isolamento a Evin come Cecilia, era l’idea che a un certo punto sarebbe finita. Ti senti in Purgatorio, potresti essere destinato a restare là per un minuto o per sempre, i tuoi carcerieri ti dicono che potrebbero ucciderti, trattenerti in eterno o liberarti la notte stessa: una tortura mentale per spezzarti. Ogni minuto in più là dentro è un vero abuso, non solo un crimine: noi lo consideriamo un atto di terrore. Per la legge americana prendere qualcuno in ostaggio è un atto di terrore e tenerlo in isolamento per più di 15 giorni è tortura: quando ne scrivete o quando un governo deve affrontare il problema e riportare una persona a casa, vi esorterei a vederla non come una questione consolare, ma un crimine perpetrato contro uno dei vostri cittadini».




















































Perché si aspetta che la detenzione duri a lungo?

«I casi precedenti in Iran, Russia, Venezuela, Cina, seguono uno schema molto simile e sfortunatamente non si risolvono solitamente in un giorno o una settimana, la diplomazia può richiedere molto tempo. Ci sono cose che le due parti vogliono, molteplici attori coinvolti in entrambi i governi: è la dura realtà».

Quanto è probabile che venga processata prima che si arrivi a un accordo per liberarla?

«Non voglio speculare sui tempi, ma questa è stata la traiettoria per molti casi».

Ci furono polemiche e reazioni negative per il prezzo pagato dagli Stati Uniti per il vostro rilascio?

«Sì, ci furono, ma ci fu anche molto appoggio come nel caso di altri americani rilasciati dall’Iran o Brittney Griner dalla Russia. Quel che abbiamo capito è che non dobbiamo vederla come una questione politica, ma come una questione nazionale: un altro Paese ci attacca attraverso abusi nei confronti di uno dei nostri concittadini. Conta o no la cittadinanza?. Conta o no essere cittadino italiano? Se conta, bisogna fare tutto il possibile per riportarla a casa. Se questo sia o meno nell’interesse della legge e dello stato di diritto, è un’altra questione. L’Italia, l’America, la Gran Bretagna, l’Ue, l’Australia e il Canada dovrebbero lavorare insieme per combattere questo tipo di situazioni in futuro. Ma dopo l’ultimo rilascio di ostaggi — Gershkovich, Kurmasheva, Kara-Muza ad agosto — non c’è stata una reazione così negativa, perché ci sono stati così tanti casi negli ultimi anni in America e la gente ha capito che non è un tema da usare per giochi politici ma da affrontare in modo pratico, cercando di porvi fine».

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Lei fu liberato alla fine della presidenza Obama, il 16 gennaio 2016, 4 giorni prima dell’insediamento di Trump. Le pare possibile un accordo per Sala negli ultimi 20 giorni di Biden?

«Penso che sia possibile se gli Usa lasciano cadere la richiesta di estradizione e le accuse (contro Mohammad Abedini, ndr). Non so se l’Italia l’ha chiesto o lo vuole, ma se il governo Usa lo facesse, cambierebbe l’equazione».

Per il partito democratico avrebbe un prezzo politico alto. Non sembra che il dipartimento di Giustizia sia pronto a farlo.

«È una questione di efficienza delle democrazie. Il dipartimento di Giustizia prende tempo su queste cose. Io fui rilasciato alla fine dell’amministrazione Obama e poi Trump da candidato usò i dettagli del mio rilascio per attaccare i Democratici: la questione venne fuori in tutti e tre i dibattiti tra Trump e Hillary Clinton. Ma va detto pure che Trump ha ottimi precedenti nel riportare gli americani a casa, e così Biden. Spero che la seconda amministrazione Trump ci metta ancora più energia, perché è diventato un problema ancora più grave».

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30 dicembre 2024 ( modifica il 30 dicembre 2024 | 22:00)

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