Cecilia Sala, il racconto della detenzione

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«Sono confusa e felicissima, mi devo riabituare, devo riposare, questa notte non ho dormito per l’eccitazione e la gioia. Quella precedente per l’angoscia, sto bene, sono molto contenta».

Così Cecilia Sala, la giornalista rientrata ieri dall’Iran dov’era detenuta nel carcere di Evin, ha raccontato i suoi giorni di detenzione rispondendo alle domande di Mario Calabresi in una puntata speciale del podcast su Choramedia.

Nella lunga intervista Sala – scoppiando anche in lacrime in alcuni momenti – racconta l’arresto in hotel, l’arrivo in carcere, la solitudine della vita in cella, la paura e la speranza della liberazione, arrivata a sorpresa mercoledì 8 gennaio.

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«Non mi è stato spiegato perché io sia finita in una cella di isolamento nel carcere di Evin. Questa storia comincia col fatto che l’Iran è il Paese nel quale più volevo tornare, dove ci sono le persone a cui più mi sono affezionata. Si cerca di avere uno scudo dalla sofferenza degli altri che accumuli e qualche volta volta delle fonti che incontri per lavoro diventano amici, persone che vuoi sapere come stanno e l’Iran è uno di questi posti».

L’arresto: «Sarei rientrata in Italia il giorno dopo, ma hanno bussato alla porta della mia camera d’albergo. Pensavo fossero signore delle pulizie, ho detto che stavo lavorando e non ho aperto. Ma hanno insistito, così ho aperto e mi hanno portata via. In quel momento speravo potesse essere una cosa rapida, ma dalle prime domande che mi hanno fatto ho capito che non sarebbe stato breve». Cecilia Sala aveva letto dell’arresto in Italia di Abedini: «Ho pensato subito che potessero avere l’intenzione di usarmi per quello. Avevo chiara questa ipotesi e pensavo fosse uno scambio molto difficile».

Le accuse: «Mi hanno interrogata quasi tutti i giorni, nelle prime due settimane tutti i giorni. Ho preso anche in considerazione l’ipotesi di essere accusata di reati come pubblicità contro la Repubblica Islamica, o molto più gravi. Ma le accuse non sono mai state circostanziate, mi hanno detto che ero accusata di tante cose illecite compiute in tanti luoghi diversi». 

Si è rimproverata, Cecilia Sala, mentre era in cella: «Prima di partire avevo preso in considerazione il rischio di essere arrestata ed è una cosa che mi sono rimproverata molto una volta dentro. Prima di partire ho chiesto consigli a tantissime persone, ma il nuovo governo aveva dimostrato una piccola apertura, concedendo visti anche ad altri giornalisti stranieri. C’erano Cnn, Paris Match». 

La detenzione: «Mai pensato che mi avrebbero liberata così presto. Nella tua testa, quando non hai nulla da fare non ti stanchi, non hai sonno, non dormi, un’ora ti sembra una settimana. La cosa che più volevo era un libro qualcosa che mi potesse portare fuori, in una storia che non fosse la mia». La cosa più difficile è stata passare il tempo: «Contavo i giorni, mi contavo le dita, leggevo gli ingredienti del pane».

Senza lenti, ha proseguito la giornalista, «non vedo e non mi hanno dato gli occhiali se non negli ultimi giorni perché sono considerati pericolosi, puoi spaccare il vetro e usarlo per tagliarti. Non ho potuto scrivere, avere una penna, per lo stesso motivo, perché si può trasformare in un’arma. Io ho chiesto il Corano perché pensavo fosse l’unico libro in inglese che potessero avere in un carcere di massima sicurezza della Repubblica islamica e non mi è stato dato per molti giorni. Avevo delle coperte ma non cuscini o materassi. La mia fortuna è che io considero la cucina persiana favolosa, mangiavo molto riso, nel riso c’erano delle lenticchie, della carne, il problema non è stato mangiare ma dormire».

Ha riso due volte, Cecilia Sala, in carcere: «La prima volta che ho visto il cielo e poi quando c’era un uccellino che faceva un verso buffo. Il silenzio è il nemico in quel contesto e in quelle due occasioni ho riso e mi sono sentita bene. Mi sono concentrata su quell’attimo di gioia, ho pianto di gioia».

«La mia incolumità – ha detto inoltre Sala – non è mai stata minacciata, ma nella mia testa ho pensato che mi avrebbero potuto uccidere. È una cosa che sogni, sei poco lucida perché non dormi».

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La liberazione: «Me lo ha detto una guardia alle 9 di mattina di ieri. Dal carcere sono andata direttamente in aeroporto e lì ho incontrato il primo italiano». Se tornerà in Iran? «Non credo, ma l’idea di quel Paese per me non cambia, continuerò ad amarlo nella sua complessità».

Infine, un pensiero a chi nel carcere di Evin ci è rimasto e ci resterà a lungo: «Ci sono persone in carcere da molto tempo in Iran. Uno dei momenti più complicati è stato pensare a come avrei detto che mi avrebbero liberata a Farzanè, la donna con cui sono stata insieme in cella negli ultimi giorni e che sarebbe rimasta lì. C’è il senso di colpa dei fortunati nella condizione in cui mi trovo adesso. Sono quindi grata alle persone che per mestiere si prendono cura di chi è nelle condizioni in cui ero io e sono sottoposti a incarcerazioni molto più lunghe».

(Unioneonline/L)

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