Libano: un nuovo inizio  | ISPI

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“Oggi inizia una nuova fase nella storia del Libano”: lo ha detto Joseph Aoun, già capo dell’esercito libanese, subito dopo aver giurato come nuovo presidente del paese. La sua elezione mette fine a un vuoto di potere durato più di due anni e dopo che un fragile accordo di cessate il fuoco ha interrotto 14 mesi di combattimenti tra Israele e il gruppo armato Hezbollah, mentre il paese – già in preda a una profonda crisi economica e sociale – è in cerca di aiuti per la ricostruzione. La vittoria di Aoun, che si è assicurato 99 voti su 128, è avvenuta dopo innumerevoli tentativi da parte del parlamento, dove negli ultimi due anni Hezbollah aveva posto il veto a tutti i candidati, eccetto Suleiman Frangieh. Quest’ultimo si è si è ritirato mercoledì pomeriggio, dopo l’ennesima votazione andata a vuoto, appoggiando Aoun. Gli osservatori sono concordi nel definire la svolta un risultato dell’indebolimento del gruppo militante sciita, determinato dal conflitto con Israele che ne ha di fatto decapitato i vertici. Secondo Al Jazeera, anche se Aoun gode di ampio sostegno tra i politici libanesi, ad aver giocato in suo favore è stato il fatto che fosse benvisto sia dagli Stati Uniti che dall’Arabia Saudita, a lungo sponsor economico del paese. La pressione internazionale per un esito positivo delle votazioni presidenziali era aumentata, nel timore che il vuoto di leadership potesse far naufragare l’accordo di tregua con Israele: mancano infatti meno di tre settimane alla scadenza fissata dall’accordo per schierare truppe libanesi insieme alle forze di peacekeeping delle Nazioni Unite nel Libano meridionale. 

Cessate il fuoco, prima sfida? 

Nell’immediato futuro, il principale compito del generale sarà di riaffermare il ruolo dell’esercito nel Libano meridionale, dove da decenni è Hezbollah a mantenere l’ordine e il controllo del territorio. Parlando davanti al parlamento dopo la sua elezione, Aoun ha promesso di “confermare il diritto dello Stato a monopolizzare l’utilizzo delle armi” e “a controllare i confini del Paese”. Non sarà un’impresa facile: le forze armate libanesi, storicamente deboli, non sono mai riuscite a disarmare Hezbollah nonostante la risoluzione Onu 1701 del 2006 prevedesse che tutti i gruppi armati presenti nel paese deponessero le armi. Il gruppo sciita si è sempre rifiutato di smobilitare, portando come scusa il fatto che fosse l’unica forza in grado di proteggere il Libano da Israele. Ora, in base ai termini del cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah, firmato il 27 novembre , l’esercito sarà schierato nel Libano meridionale da cui tank e truppe israeliane dovranno invece ritirarsi entro 60 giorni. Anche per questo, la presenza di un capo di stato espressione delle forze armate del paese era considerata necessaria per garantire la continuazione dell’accordo di cessate il fuoco.  

Traghettare il paese fuori dalla spirale? 

Oltre a garantire il cessate il fuoco, Aoun dovrà nominare un primo ministro che guidi le riforme chieste dai creditori internazionali per alleviare la peggiore crisi economica della storia del Paese. Il Libano versava in una crisi profondissima già prima del conflitto con Israele, scatenato dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Dopo la lunga guerra civile, conclusasi nel 1990, il paese era passato da uno shock all’altro fino a quando, nel 2019, il default dello Stato, aggravato dalla pandemia di coronavirus, aveva fatto crollare la Sterlina libanese ed evaporare gli investimenti. Nell’agosto del 2020, poi, una devastante esplosione al porto di Beirut aveva ucciso più di 200 persone e causato miliardi di dollari di danni. Le banche libanesi – sbocciate dopo la guerra civile grazie alle rimesse dei libanesi all’estero e agli investimenti delle nazioni arabe – hanno accumulato miliardi di perdite e impongono limitazioni su prelievi e trasferimenti. Il settore turistico, già al collasso è stato definitivamente affossato da quando la guerra tra Israele e Hezbollah si è intensificata provocando oltre 4mila morti e 16mila feriti. Israele ha raso al suolo centinaia di edifici, terreni agricoli e attività produttive. Migliaia di persone hanno perso il lavoro e, secondo la Banca Mondiale, la guerra ha causato 8,5 miliardi di dollari di danni e ridotto quest’anno il Pil del Libano del 6,6%. 

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Tornare a guardare al futuro? 

Dopo due anni di vuoto politico, l’elezione del presidente è solo un primo passo per tentare di traghettare il Libano fuori dalle innumerevoli crisi economiche e politiche in cui è impantanato. Aoun, cristiano maronita come tutti i presidenti libanesi secondo il Patto nazionale del 1943 (mentre il primo ministro deve essere un musulmano sunnita e il presidente del parlamento un musulmano sciita) dovrà dare prova di acume politico e abilità negoziali mentre, ai confini del paese, c’è una Siria ancora in bilico, e la tregua con Israele appare fragile e incerta. Eredita un malessere economico radicato, negoziati bloccati con il Fondo monetario internazionale e la stessa classe politica che ha contribuito a orchestrare la crisi economica che oggi dovrebbe aiutare a risolvere. Ma può contare su un ampio sostegno internazionale e dei cittadini libanesi, stanchi di litigi e politiche opache, e consapevoli che solo riforme profonde potranno garantire la ripresa degli investimenti e un rilancio del paese che non duri lo spazio di un mattino. L’accordo di cessate il fuoco di 60 giorni con Israele termina alla fine di questo mese. Lo spettro di una nuova guerra è ancora all’orizzonte. Il Libano ha bisogno di un presidente e di un governo in grado di negoziare la fase successiva.   

Il commento 

Di Luigi Toninelli, ISPI MENA Centre 

“Perché Joseph Aoun non è stato eletto prima? La risposta sta negli intricati processi politici del Libano, che richiedono un delicato equilibrio tra consenso interno ed esterno. Per ottenere l’accesso al Palazzo Baabda, un candidato deve destreggiarsi tra tre livelli di negoziazione. Innanzitutto, è necessaria una negoziazione intra-cristiana. Poiché la presidenza è tradizionalmente riservata a un cristiano maronita, è impensabile eleggere un presidente senza il sostegno di uno dei principali partiti cristiani, che vedono la presidenza come la loro massima rappresentanza politica. In secondo luogo, è necessario un consenso intra-libanese più ampio, che coinvolga tutte le principali fazioni politiche e settarie per garantire l’equilibrio confessionale. In terzo luogo, l’allineamento internazionale è fondamentale, poiché la presidenza del Libano è soggetta all’approvazione di attori regionali e globali con interessi nel paese. Per questo motivo, il principio guida resta il consenso, facilitato non solo dall’indebolimento di Hezbollah ma anche dalla caduta di Assad in Siria, data la lunga ingerenza di Damasco nelle dinamiche politiche libanesi”.



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