L’escalation di De Luca: citazioni e invettive feroci, il re dei cacicchi va all’ultima sfida

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di
Roberto Gressi

Il governatore della Campania che vuole il terzo mandato. Nel Pci era «Pol Pot». Gli attacchi a Schlein e Meloni

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Cacicco: chi cumula sopra di sé l’intero potere di una tribù o di un villaggio. Dài, che lo vedete da soli che la definizione a Vincenzo De Luca gli va stretta. Al massimo potrebbe essere il Gran visir di tutti i cacicchi, ma pure qui mica ci siamo, che mai accetterebbe di fare il primo ministro di un sultano.

 Perché per lui Giorgia Meloni è una «stracciarola» quando non è una «str…». E Elena Schlein, che lui si rifiuta di chiamarla Elly, è una via di mezzo tra Lotta continua e lo Zecchino d’oro, e che alla metà del prezzo la vestirebbe meglio di quanto faccia la sua armocromista, Enrica Chicchio, o, dice lui, cacchio che sia. Perché Delucon de’ Deluconi glielo ha chiesto a Lorenzo Guerini: «Ma tu che vuoi fare? Vuoi sconfiggere la Russia? Allora sei pazzo». 




















































E se l’è attaccata alle spalle l’effige di Karol Wojtyla, per recitare con lui, in difesa del terzo mandato: «Non abbiate paura, degli elettori e pure di me, e aprite il cuore alla speranza». E poi Bacone, perché «la stupidità non è un argomento». E Parmenide, secondo cui «l’essere è e non può non essere, e il non essere non è e non può essere».

Troppe iperboli da liceale al Torquato Tasso? E allora ecco Eraclito, con «il carattere è il demone dell’uomo», cioè il suo destino. E la tesi su Antonio Gramsci, contro il «Cadornismo», la tentazione, cioè di scaricare sui sottoposti le proprie responsabilità. E pazienza se, per Massimo Cacciari, non è che un populista di sinistra. Ai tempi del Pci lo chiamavano il Professore, per le sue citazioni, ma anche Pol Pot, perché con i suoi oppositori, fossero anche compagni di partito, non aveva pietà

E ancora, per difetto, il florilegio delle sue invettive: somaro, sciacallo, pinguino, cretino, idiota, imbecille, farabutto, sfessato, Neanderthal, pistolino, chiancarelle (forse uno pesante che dà di matto), chiattona, portaseccia, mezzapippa, che ha la faccia come un fondoschiena usurato, chierichetto. Ironia, dice Vincenzo, «perché è l’ironia che ci fa simili a Dio».

Dopo l’impugnativa della legge fatta in casa che gli permetterebbe di candidarsi ancora come presidente della Campania, la premier diventa «Melona», ultimo piccolo sfregio di una disfida feroce, ad un tratto mitigata pure dal tentativo un po’ ingenuo del governatore di fare pace sostenendo che il più volte bersagliato Raffaele Fitto aveva tutto il diritto di fare il commissario europeo. Ma con Giorgia, seppure all’opposto, un po’ si somigliano: pure lei non fa prigionieri

Lui, Vincenzo, aveva menato per primo, che chi mena per primo mena due volte: il suo è un governo Badoglio, fatto di farabutti, imbecilli e provocatori, parlo con lei e un po’ sente e un po’ no, perché non capisce. Finora a Palazzo Chigi ha vinto al massimo una bambolina, come al luna park. Affabulatore, Vincenzo, che il Vittorio Gassman dei tempi d’oro gli spiccia casa. Non che, quando c’è da mettersi l’elmetto, Giorgia si faccia pregare. Si siede nel salotto di Bruno Vespa ed elenca: «Festa del fagiolo e delle patata, rassegna della zampogna, festa del caciocavallo podolico, sagra dello scazzatiello e del cicatiello: ci può essere un modo migliore per usare i soldi?».

Non che con Elly vada meglio, che pure lei mai gli ha concesso una briciola sulla possibilità di fare il governatore a vita. Intanto Vincenzo ha scritto un libro dal titolo: Nonostante il Pd. Poi le ha detto che lui, nella sola Campania, ha preso quasi tre volte quello che lei ha raggranellato alle primarie. E ancora, che il 90% della sua segreteria non rappresenta un accidente di niente, e che i dem ospitano tutto ciò che è contro natura, contro ragione e contro decenza, e che delle tre cittadinanze, svizzera, statunitense e italiana, che la segretaria accumula, lui terrebbe solo l’ultima, che usa un linguaggio da iperuranio, il campo largo pare il camposanto e i dirigenti del suo partito sono anime morte, e che andassero al diavolo, lui non deve chiedere il permesso a loro.

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Certo, è innegabile, uno che combatte in campo aperto, seppure con le stimmate dell’autocrate, contro la presidente del Consiglio e contro la segretaria del suo partito, il suo fascino ce l’ha. Se lo è conquistato sul campo nei giorni della pandemia, quando i meme lo dipingevano come Delucator-Terminator dei senza mascherine, sceriffo con tanto di stella, Robocop, Io sono leggenda, perfino con il cappellino e il tailleur della regina Elisabetta. «Quando vedo quei vecchi, cinghialoni della mia età, che corrono sputacchiando con la tuta alle caviglie e un’altra sopra alla zuava, a fare footing, vorrei arrestarli a vista». E poi il lanciafiamme contro le feste di laurea, e la polizia da dotare di fruste di bambù come a Singapore. E i ministri, tutti a fare videoconferenze, bollati come «teste di tablet».

Ora l’ultima sfida, che per De Luca non ha alternative. O «dopo di me il diluvio». O il brocardo che recita: «Quod principi placuit, legis habet vigorem». Ciò che piace al principe, è legge. A garanzia del popolo, s’intende, insegnava Ulpiano..

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11 gennaio 2025

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