Oltre il caos globale, l’orizzonte delle costituzioni

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Il Novecento ha attraversato tre diverse globalizzazioni. La prima, definita alla conferenza di Yalta tra i futuri vincitori del conflitto mondiale, ha preteso di assoggettare gli assetti costituzionali territoriali alle logiche assorbenti del bipolarismo: da un lato l’occidente capitalistico, garante delle libertà individuali; dall’altro il comunismo, garante dei diritti dei lavoratori. Al fondo si era di fronte a due mistificazioni – libertà da un lato e diritti dei lavoratori dall’altro – che però hanno governato per anni il mondo, plasmando i rispettivi sistemi economici improntati al libero mercato ovvero alla pianificazione statalista. Credenze che hanno prodotto testi di valore costituzionale ispirati alle diverse ideologie manifestate.

Tutto questo è finito con il crollo del muro. Nel periodo successivo abbiamo assistito al tentativo di imporre un’altra regola di governo politico del mondo. Ci ha provato quella che si autorappresentava come l’unica potenza mondiale rimasta. Anche questa un’illusione, che ha cercato di produrre un sistema imperiale, con principi costituzionali piegati alle logiche politiche ed economiche dominanti. Così si sono fatte le guerre per esportare il proprio modello di democrazia – l’unico ritenuto possibile – conquistando territori e mercati, in nome dei diritti umani.

È DURATA POCO questa seconda globalizzazione. Quando infatti la retorica dell’esportazione della democrazia si è dovuta scontrare con le dure vicende della storia si è mostrata tutta la sua fragilità. La drammatica vicenda dell’Afghanistan è esemplare: la dimostrazione di come l’Occidente può imporre un suo dominio territoriale e le sue leggi con l’uso della forza, ma poi quando gli eserciti se ne vanno pure i “nostri” diritti umani svaniscono, mentre le povere donne afgane rimangono lì, lasciate sole con i talebani.

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Terminati questi due tentativi di governo del mondo – il bipolarismo prima e il tentativo imperiale poi – ora la situazione sembra essere precipitata nel caos. Scomparsi i vecchi equilibri e non nati i nuovi, rimane ignota la prospettiva tanto politica quanto economica del mondo, offuscato l’orizzonte costituzionale. Sembra che gli Stati non abbiano alcuna visione se non quella bellica: l’obiettivo è la vittoria sul campo e l’annientamento del nemico. Ma chi può pensare che la vittoria militare di una delle parti (dei russi, degli ucraini, degli israeliani, dei fondamentalisti islamici) risolverebbe il problema della instabilità di quei territori, in grado di produrre un nuovo equilibrio internazionale? Nessun nuovo equilibrio si potrà raggiungere aumentando le spese militari, allargando la Nato, aggravando le tensioni internazionali, confidando sulla forza. Se è questo il progetto che la politica riesce a definire per il nostro futuro c’è da tremare per le sorti dell’umanità.

MEGLIO FERMARSI un attimo per ripensare. A che cosa? Magari alle ragioni della pace e della giustizia tra i popoli. Quei principi che sono stati scritti non soltanto nella nostra Costituzione, ma anche nella Carta dell’Onu, a lungo disattesi e che oggi vengono calpestati. Si potrebbe così giungere a ritenere che i nuovi equilibri internazionali potrebbero essere ritrovati facendo fare un passo indietro alla politica e all’economia e un passo avanti ai diritti costituzionali. Ridare un significato al ripudio della guerra, ma anche pensare a come garantire i diritti delle persone concrete ovunque esse risiedano. Tornare al costituzionalismo, dove già c’è tutto scritto.

Ma come far valere anche sul piano politico un orizzonte fondato sul rispetto dei diritti costituzionali? Dal punto di vista dell’organizzazione dei poteri globali attraverso l’accettazione di un assetto multipolare. La convivenza dei popoli diversi, senza più il dominio di uno o di pochi. È questo un futuro possibile, ma per nulla certo.

Ben consapevole delle difficoltà materiali, geopolitiche e culturali, mi limito qui a evidenziare due condizioni che a me sembrano essenziali per fare assumere una centralità al diritto costituzionale nei nuovi processi di globalizzazione. La prima è che dovremmo cominciare a prendere molto sul serio la prospettiva di un costituzionalismo multipolare, che sappia rispettare quel che Amartya Sen ha chiamato le libertà degli altri. L’universalismo dei diritti in che rapporto si pone con la localizzazione delle culture e le diverse tradizioni costituzionali? Non è una questione a cui è facile rispondere, ma forse è ormai diventata una domanda ineludibile. Anche perché è strettamente collegata alla seconda condizione che ritengo essenziale per dare una possibilità all’affermazione di un diritto costituzionale globale.

NON SI PUÒ CREDERE che i diritti costituzionali si possano affermare per virtù proprie, confidare su ragioni esclusivamente etiche o sulla buona volontà dei governi e dei poteri. Un costituzionalismo globale concesso (octroyée) non è quello che si pone a garanzia dei diritti, semmai al servizio dei poteri. Per avere invece un costituzionalismo che sappia tenere assieme le ragioni dei diritti con quelle dei poteri c’è bisogno di un popolo consapevole che sappia far valere un proprio progetto di società (mondiale e multipolare). In grado di affermare quel che Stefano Rodotà ha chiamato un costituzionalismo dei bisogni, collegato strettamente alla materialità dei diritti – ma anche dei doveri di solidarietà – delle persone concrete. È questa la via per un costituzionalismo democratico sovranazionale che aspiri ad operare nelle varie parti del pianeta.

Se è vero che gli Stati stanno in marcia e ci stanno spingendo verso il grande caos, anche grandi moltitudini sono in marcia, spesso camminando tra le macerie, alla ricerca di quel diritto ad avere diritti, che dovrebbe essere garantito ad ogni individuo e che si pone a fondamento della dignità delle persone. Se queste moltitudini, sino ad ora disordinate, riuscissero a comprendere che in fondo la storia la fanno le persone e non gli Stati, essi potrebbero anche cominciare a pensare a come organizzarsi per affermare i propri diritti. In tempi di confusione è questo uno scenario non scontato, ma che pure è necessario auspicare, perché altrimenti non riusciremo a trovare alcun nuovo equilibrio e saremo costretti ad affidarci alle sole distruttive dinamiche di potenza e a quelle cieche dell’economia. Questo è il futuro difficile del costituzionalismo.



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