Gli interessi di Musk in Cina

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di Daniela Binello

Quando all’uomo più ricco al mondo, Elon Musk, chiedete della Cina lui risponde così: la Cina spacca. Insomma Musk non fa mistero del suo grande amore per quel Paese.
E’ in Cina del resto che si concentrano molti dei suoi interessi legati alla Tesla. Ricordiamo infatti che nel gennaio 2019 venne inaugurata a Shanghai la Gigafactory 3, il primo stabilimento produttivo fuori dai confini americani delle famose innovative auto elettriche di Tesla e dei loro componenti.
Trascorsi ormai cinque anni, il rapporto win-win resiste su basi solide e soddisfa gli interessi di Musk così come quelli di Pechino. Musk rappresenta infatti la svolta giovane e green del Dragone. Più chiaro di così.
Cosa succederà dopo il 20 gennaio del 2025 quando con l’insediamento di Donald Trump come 47mo presidente americano eletto diventerà attivo anche l’incarico assegnato a Musk, ovvero quello di capo del Dipartimento per l’efficienza governativa americana?
Sappiamo che Trump intende ostacolare l’interferenza cinese in varie aree del mondo e innanzitutto il suo espansionismo commerciale negli Stati Uniti e nelle nazioni del presunto vicinato, come perfino la danese Groenlandia. The Donald, in nome del protezionismo e dell’America First, vorrà quindi rafforzare la prosperità americana, imponendo i superdazi alle importazioni di prodotti stranieri e cinesi in particolare.
Musk in Cina però ha un suo giro d’affari che va oltre le automobili elettriche della Tesla. Quest’anno ad esempio partirà anche la produzione di Megapack, che sono sistemi innovativi per lo stoccaggio di enormi quantità di energia pulita.
Tesla Megapack, nello specifico, è una soluzione modulare fatta di container zeppi di batterie, i quali possono essere integrati in grande numero per fornire energia elettrica nelle emergenze. Ad esempio in caso di disastri naturali che distruggano parte della rete elettrica, oppure per accelerare l’uso delle energie rinnovabili nelle città (comprese le strutture di ricarica per le batterie dei veicoli elettrici).
Siccome le aziende di Musk in Cina godono pure dei sussidi erogati dal governo cinese ai produttori locali, si può dire a buon titolo che Elon Musk, con la sua poliedricità e capacità imprenditoriale, ha trovato in Cina una sorta di “cittadinanza onoraria” ben ricompensata. Si pensi innanzitutto all’enorme potenzialità del mercato interno cinese, oltre che alle esportazioni.
A questo punto ricordiamo che uno degli ultimi provvedimenti del presidente uscente Joe Biden per evitare lo shutdown federale (paralisi di bilancio) ha dovuto essere emendato in extremis proprio per la contrarietà manifestata pubblicamente da Musk sui limiti agli investimenti americani in Cina nel settore dei semiconduttori e dell’intelligenza artificiale. Biden ha quindi dovuto contenere (leggi pure rimuovere) i limiti originariamente annunciati.
Steve Bannon, ex stratega della vittoria di Trump nel 2016, dichiaratosi ostile a Musk, si è infuriato di brutto e ha insinuato pubblicamente che il Pcc (Partito comunista cinese) sia il soggetto pagatore di Elon Musk. In una recente intervista al Corriere della Sera, Bannon ha persino dichiarato che lo farà cacciare prima dell’insediamento di Donald Trump. Ma la cosa, fra i due, sembra diventata una crociata personale dello stesso vecchio Bannon e tutto lascia già indovinare chi sarà “cacciato” per primo dallo stesso Trump.
C’è poi un altro personaggio che non vede di buon occhio Musk. E’ Marco Rubio, di origini sarde, ma soprattutto prossimo capo del Dipartimento di Stato americano. Rubio, che dovrebbe mettere in atto la politica anti Cina di Trump, in passato aveva accusato Elon Musk di avere aiutato il Pcc a nascondere il lavoro forzato degli uiguri nello Xinijang per aprire le concessionarie della Tesla in quella provincia.
Pechino, che qualche anno fa ha accolto a braccia aperte il giovane tycoon sudafricano con cittadinanza canadese, naturalizzato statunitense, dispensandogli ampie concessioni industriali in Cina, ha deciso tuttavia di non affidarsi alle costellazioni di satelliti a bassa orbita offerte da Starlink (Space X).
Per difendere la sua sovranità nazionale e la sicurezza nelle comunicazioni, il principale sistema cinese satellitare si chiama Jilin-1 (della Chang Guang Satellite Technology). Organi di stampa segnatamente filocinesi dichiarano a questo proposito che recentemente la Cina ha raggiunto un importante traguardo, che la pone davanti a Starlink in termini di record di velocità del segnale, via laser, dal satellite alla terra.
Come sempre, su un argomento strategico e tanto delicato come questo, la Cina ha le idee chiare e molto da insegnare a noi europei, tanto per fare un nome a caso.

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