Dopo la legge di bilancio, l’economia italiana è finita nel dimenticatoio. Ma questo non ha cancellato una serie di problemi, dall’andamento della produzione industriale alle previsioni di crescita del Pil. Davanti a un esecutivo che continua a minimizzare i dati ricordando solo il trend di crescita, vale la pena fare un esame più attento
Dopo l’approvazione della legge di Bilancio la scena della politica italiana è stata dominata dall’attività diplomatica del governo che, assieme ai nostri servizi di sicurezza, ha ottenuto la non facile liberazione di Cecilia Sala dalle carceri iraniane.
Dalla fine di dicembre l’economia italiana è così andata nel dimenticatoio, ma questo non ha cancellato problemi evidenziati da dati preoccupanti come l’andamento della produzione industriale che, secondo l’Istat, presenta un calo per il diciottesimo mese consecutivo, o le previsioni di crescita del Pil per il 2024 e 2025 che Bankitalia, Ocse e Istat stimano in misura inferiore a quella prevista dal governo. Anche le esportazioni nel secondo trimestre 2024 sono rimaste pressoché stazionarie rispetto al mese precedente.
Il governo tende a minimizzare questi numeri e a ricordare solo che l’Italia ha presentato negli ultimi anni un trend di crescita superiore a quello di molti altri paesi europei e che ci sono le premesse per riprendere una via di crescita soddisfacente. Vale allora la pena di fare un esame più attento sulle reali condizioni della nostra economia.
Stop alla crescita
Gli ultimi dati affidabili ci dicono che la crescita si è fermata da tempo e non abbiamo più il vantaggio che avevamo sull’Europa. Per una valutazione più precisa dobbiamo considerare la congiuntura nazionale e internazionale, la politica di bilancio e lo stato del Pnrr.
La congiuntura interna ci presenta una diminuzione degli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto e il rallentamento del settore delle costruzioni anche per la fine del Superbonus. Sono confermati il continuo calo della produzione industriale e la stazionarietà delle esportazioni. Positivo è invece l’aumento dei consumi nell’ultimo trimestre grazie anche al minor effetto dell’inflazione.
In questo contesto si inserisce la manovra di bilancio che non prevede investimenti sufficienti a stimolare la crescita e che si basa su una politica fiscale restrittiva. Una manovra, come dice il governo, «idonea a non scassare i conti».
Forse per questo la legge di Bilancio ha ricevuto l’approvazione di alcuni organismi europei. Ma si tratta di una manovra di bilancio con il virus di mille emendamenti e regali improduttivi a destra. Una manovra che ignora i gravi problemi del lavoro precario e insiste nel favorire la crescita della sanità privata a scapito di quella pubblica, a cui si doveva invece assegnare il miliardo e mezzo stanziato per il Ponte sullo Stretto che non si farà mai.
Effetto Pnrr
A proposito di Pnrr, che rappresenta il maggior motore di crescita del nostro paese, dobbiamo registrare che fino a ottobre sono stati spesi solo 17 miliardi invece di 40. C’è quindi un serio ritardo negli investimenti previsti dal piano entro il 2026, ma anche nelle riforme che il piano prevede.
Secondo l’Istat, la crescita del Pil italiano sarà dello 0,5 per cento nel 2024 e dello 0,8 per cento nel 2025, quindi una crescita modesta che comunque tiene conto del contributo del Pnrr la cui realizzazione nei tempi previsti appare poco probabile. Si può dire dunque che questi dati indicano un’economia in fase di stagnazione. Una economia che “galleggia”, come dice il Censis nel suo 58º Rapporto sulla situazione sociale del Paese, un immobilismo economico e sociale dove in 20 anni i redditi reali sono calati del 7 per cento.
A questo quadro preoccupante va aggiunta qualche considerazione sul contesto internazionale. Anche nel resto del mondo sono previsti modesti tassi di crescita, compresi quelli di Usa e Cina. In particolare nella Ue si prevede una crescita del Pil pari allo 0,7 per cento nel 2024 e 2025 e dello 0,9 nel 2026.
Ma quello che più preoccupa è il clima di incertezza sulla politica economica che faranno la nuova Commissione Ue e l’amministrazione Usa dopo l’insediamento di Donald Trump. Se gli Stati Uniti imponessero nuovi dazi doganali, come annunciato dal presidente eletto, le nostre esportazioni potrebbero essere seriamente danneggiate.
Limiti strutturali
Restano poi i limiti strutturali di sempre, come quello di un sistema industriale che ha poche grandi imprese che sono quelle che investono in ricerca e sviluppo. Dai dati Ocse ed Eurostat appare che l’Italia è il paese europeo con i minori investimenti in R&S.
Nel 2022, in percentuale del Pil, lo stato italiano ha investito l’1,4 per cento, contro il 2,2 per cento della media Ue, il 3 per cento della Germania e il 3,6 per cento degli Stati Uniti. Nello stesso anno i privati italiani hanno investito lo 0,4 per cento, contro l’1,5 per cento della media Ue e il 3,3 per cento degli Stati Uniti.
A questo si aggiunge il fatto che negli ultimi anni gli investimenti europei sono stati indirizzati alla cosiddetta middle high technology (ad esempio nel settore auto), mentre negli Stati Uniti si è investito nella high technology, ponendo così le imprese europee in una posizione di inferiorità rispetto alle imprese americane.
Che fare?
Davanti al quadro delineato in queste poche righe, cosa dovrebbe fare un governo che abbia come obiettivo il benessere dei cittadini? Dovrebbe innanzitutto stanziare consistenti investimenti nella formazione scolastica e professionale, nella ricerca, nell’high tecnology e nella sanità, perché anche la buona salute dei cittadini aumenta il Pil.
Le risorse per questi investimenti andrebbero cercate attraverso una normativa fiscale che semplicemente rispetti la Costituzione e non preveda condoni di sorta, oltre a combattere seriamente l’evasione. Un sistema di governo che è esattamente l’opposto di quello che sta facendo il nostro attuale governo.
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