«Nella decisione elementi preoccupanti. Si torna indietro nella lotta per le donne»

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Ministra Roccella, secondo la Corte di assise di Modena, Salvatore Montefusco avrebbe agito spinto da motivi che sono «umanamente comprensibili» e per questo la sua condotta va sanzionata con una pena minore. Possono esistere motivi «umanamente comprensibili» alla base di un doppio femminicidio?

«Guardi, non ne faccio una questione di entità della pena. Quello che preoccupa, e non poco, è il ragionamento che sembra esserci a monte. Ovviamente dovremo leggere il testo della sentenza per intero, ma dagli stralci emerge che secondo i giudici l’uccisione delle due donne sarebbe stata “indotta” dalle problematiche familiari, e che questo, come lei ha evidenziato, sarebbe un motivo “umanamente comprensibile”. Si stabilisce insomma un rapporto di causa-effetto tra determinate dinamiche e l’uccisione di esseri umani, e questo nesso causale sarebbe in qualche modo una “scusante”».

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La Corte, nelle motivazioni, ha scritto anche che Montefusco, «arrivato incensurato a 70 anni, non avrebbe mai perpetrato delitti di così rilevante gravità se non spinto dalle nefaste dinamiche familiari che si erano col tempo innescate». Che conseguenze può avere una motivazione del genere?

«Decisamente gravi. Nella lotta contro i femminicidi in primo luogo, ma anche sull’intero ordinamento. Un conto sono le valutazioni processuali rimesse alla giurisdizione, che non sono in discussione. Se le vicende giudiziarie non fossero attraversate da tanti fattori non servirebbero le indagini e i processi, l’accusa e la difesa: basterebbe un algoritmo. Altra cosa è proporre argomentazioni così pericolose. Ripeto, la sentenza andrà letta per intero, ma se quanto emerso finora verrà confermato, significherebbe dire che quello che viene definito il “movente” di un’uccisione ne diventa una “causa”, e questa causa può essere addirittura “umanamente comprensibile”. Sul terreno della violenza contro le donne, che ha una sua specificità che è importante riconoscere, qualcosa di devastante; ma anche sul piano più generale, una “comprensione” assai rischiosa».

Si può creare un pericoloso precedente per casi simili che potrebbero presentarsi in futuro?

«Se un ragionamento del genere dovesse affermarsi nella giurisprudenza sarebbe un grave danno. Ma questa vicenda conferma che abbiamo fatto bene a spingere sul fronte della formazione degli operatori che a vario titolo entrano in contatto con la violenza contro le donne: magistratura, forze dell’ordine, servizi sociali, operatori sanitari. La legge che il governo ha varato nel suo primo anno, e che è stata approvata dal Parlamento all’unanimità, prevede delle linee guida uniformi che rendano riconoscibile ciò che c’è prima di un femminicidio, che introducano concetti, definizioni e consapevolezze condivise. Le esperte dell’osservatorio contro la violenza hanno prodotto a novembre un libro bianco molto importante dal quale questi orientamenti saranno tratti. Avevamo in programma di promuoverne la diffusione presso la Scuola superiore della magistratura, che peraltro è presieduta da una donna, la presidente emerita della Consulta Silvana Sciarra. Dopo il caso di Modena questa esigenza di formazione specifica appare ancora più necessaria e urgente».

Qualcuno potrebbe pensare, dopo aver letto la sentenza, che gli uomini possano essere legittimati a “eliminare il problema” se vivono una situazione conflittuale?

«Quando si parla di violenza contro le donne, tutti siamo concordi nel dire che la repressione è importante, ma che ci vuole anche un cambiamento culturale, una nuova comune consapevolezza. Quest’anno sono 50 anni dal massacro del Circeo. All’epoca i processi per stupro diventavano processi sui comportamenti delle vittime, se la ragazza era illibata, se aveva la minigonna. Oggi i casi di violenza diventano analisi dei conflitti familiari, come se questi potessero essere una giustificazione, come se le donne avessero la responsabilità della pace domestica. Ma le vicende che si concludono con un femminicidio non sono conflitti: si chiamano violenza maschile contro le donne. E tutti dovrebbero riconoscerlo. A cominciare dalla magistratura».

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