Una diffusa dottrina, che per molti anni ha condizionato la politica in Europa, quella secondo cui per allargare il consenso elettorale ma non solo conviene muovere verso il centro, è finita nella pattumiera della storia.
A crederci era stata soprattutto la sinistra che di compromesso in compromesso, di conversione in conversione, aveva finito per identificarsi con una forma particolarmente ipocrita di liberismo travestito da ragionevole strumento interclassista del bene comune. Degli effetti distruttivi di questo abbaglio il declino delle socialdemocrazie europee è testimone impermeabile a qualunque smentita.
A destra del centro, invece, la favolosa virtù del moderatismo non ha mai preso piede, se non occasionalmente in alcune opportunistiche fasi di passaggio, soprattutto in Italia. Così quelli che si aspettavano da Alice Weidel una qualche prudenza centrista nel discorso pronunciato al congresso dell’Afd che la designava candidata alla Cancelleria sono stati seccamente smentiti. I toni e i programmi del partito si sono allineati alle posizioni razziste e filofasciste dell’ala più estrema (der Flügel) guidata da Bjorn Höcke, che avrebbe dovuto rappresentare un problema e invece si è affermato come il faro ideologico dell’Afd.
Confortata dai sondaggi, dallo sfegatato appoggio americano in cerca di quinte colonne per sfasciare l’Unione europea e dalla crisi austriaca che volge in favore della destra radicale, Alice Weidel non ha rinunciato a rivendicare i temi più estremi del nazionalismo razzista e autoritario. A partire da quella “remigrazione” che era stata oggetto dell’incontro segreto di Potsdam tra esponenti dell’Afd e neonazisti per mettere a punto un progetto di deportazione di massa celato dietro questo contorto neologismo. La scoperta delle trame volte a espellere dalla Germania un gran numero di stranieri, ma anche di cittadini tedeschi di origine straniera, aveva portato in piazza, su spinta di movimenti e associazioni poi seguiti dai partiti, quasi due milioni di persone contro l’estrema destra.
In buona sostanza il congresso dell’Afd di Riesa in Sassonia non ha mosso un passo per allontanare da sé l’immagine di un partito neofascista a tutto tondo: dalla blindatura delle frontiere al revisionismo storico, dal militarismo all’antieuropeismo, dall’apologia di fascismo alle simpatie per l’autocrazia russa.
Questi contenuti radicalmente antidemocratici sono oggi veicolati, secondo gli insegnamenti della vecchia e nuova destra americana, e contrariamente a quanto fecero i regimi del Novecento, attraverso una retorica della libertà; libertà dall’Europa, dalle influenze straniere, dalle censure della correttezza politica, dagli obblighi di solidarietà, dal diritto internazionale, dalle regole e dagli impedimenti che graverebbero su individui e imprese.
Un “fascismo della libertà” che promette di coniugare individualismo e potere sovrano nella cornice di una società semplificata, conformista e culturalmente omogenea. Questa narrazione propagandistica è abbastanza scaltra da esercitare una certa forza di attrazione, come dimostrano i sondaggi. Cosicché è oggi lo spostamento dal centro verso destra e non viceversa la formula vincente. E infatti viene sistematicamente praticato: dai centristi che già governano con la destra in Svezia e Olanda, da Ursula von der Leyen e il Partito popolare europeo, da Macron, dalla Cdu-Csu (ma anche in parte dalle sinistre) in Germania, dai Popolari austriaci alle prese con un fascista coriaceo come Herbert Kickl in corsa per la Cancelleria. C’è però, dal punto di vista dei centristi, un serio problema.
La destra estrema, tanto l’Afd quanto la Fpö austriaca, crescendo e acquisendo peso politico e potere di condizionamento non si modera e non si ammorbidisce, non concede nulla al galateo borghese ma, al contrario, si radicalizza sempre di più, imponendo i suoi dogmi e manifestando l’intenzione di metter mano alle costituzioni e ai sistemi politici. Sanno perfettamente di avere in mano carte vincenti, complici altolocati e una potente sponda oltreatlantico (che tuttavia alla fine giocherà solo per sé). Se fino ad oggi, e a maggior ragione durante la campagna elettorale in corso, i democristiani tedeschi hanno perentoriamente escluso ogni cooperazione con Afd è anche perché sanno che non pochi tra i loro elettori avversano decisamente le posizioni di quel partito e altri, più orientati a destra, potrebbero invece decidere di transitarvi. Dal cedimento della diga antifascista in Austria giunge intanto un segnale insidioso e preoccupante.
Eppure, le centinaia di migliaia di persone scese a suo tempo in piazza contro la cospirazione di Potsdam esistono ancora e una parte, quella più decisa e militante, si è rivista occupare sabato scorso le strade di Riesa, aggredita da una polizia che non sembra affatto super partes. Mostrare nei fatti quanta e quale resistenza l’estrema destra incontri nella società tedesca e nelle sue diverse componenti, organizzate e non, può chiarire a molti l’entità dello scontro cui si andrebbe incontro se il partito neofascista di Weidel e Höcke dovesse avvicinarsi alle leve del potere. E dar dunque da pensare ai vertici di Cdu e Csu.
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