
BCE EUROTOWER EURO TOWER SEDE
I dazi e noi: la Bce taglia i tassi, e non può fare altrimenti: l’Italia si prepara al bilancio nell’incertezza della situazione geopolitica ed economica. Incertezza è la parola d’ordine. Nel dubbio, una volta tanto, a Francoforte hanno preso una decisione giusta e ampiamente attesa dagli osservatori: i tassi di interesse scendono di 0,25 punti base passando dal 2,5% a 2,25%. Si tratta del settimo taglio da giugno scorso a questa parte. Lagarde, che pure aveva subito il pressing dei falchi, non ha potuto agire diversamente. E, alla fine, si son convinti pure loro: “La decisione è stata unanime. I rischi al ribasso per la crescita economica sono aumentati. La forte escalation delle tensioni commerciali globali e le relative incertezze probabilmente rallenteranno la crescita dell’area dell’euro, frenando le esportazioni e potrebbe trascinare al ribasso investimenti e consumi”. E non è tutto: “Il deterioramento del sentiment sui mercati finanziari potrebbe portare a condizioni di finanziamento più restrittive, aumentare l’avversione al rischio e rendere imprese e famiglie meno propensi a investire e consumare. Anche le tensioni geopolitiche, come l’ingiustificata guerra della Russia contro l’Ucraina e il tragico conflitto in Medioriente, rimangono una delle principali fonti di incertezza. Allo stesso tempo, un aumento della spesa per la difesa e le infrastrutture contribuirebbe alla crescita”. Lagarde non sa se questo sia “il picco dell’incertezza” ma riconosce che c’è un negoziato in corso, ribadisce di considerare l’offerta zero dazi la migliore possibile e sottolinea che la Bce non vorrà farsi trovare impreparata in ogni caso. Ma un assist, alla Casa Bianca, la Civetta di Francoforte non se lo fa mancare: “Sul tasso dei cambi non abbiamo un obiettivo particolare. L’ho detto migliaia di volte. Ma nel nostro comunicato menzioniamo il fatto che l’apprezzamento dell’euro potrebbe creare pressione al ribasso sull’inflazione. E cerchiamo di tenerne conto della valutazione che facciamo per le nostre decisioni monetarie: questo è quello che succede”. Insomma, Washington continui a svalutare il dollaro finché può: in Europa nessuno fiaterà.
In Italia, intanto, si lavora al bilancio. Il Dfp è arrivato al vaglio delle Camere e ieri hanno sfilato davanti ai parlamentari della Commissione Bilancio economisti e analisti di Istat, Bankitalia e Ufficio parlamentare di bilancio. Per l’istituto nazionale di statistica, nonostante l’incertezza che può costarci fino a due decimi di Pil e l’impatto che i dazi potrebbero avere al rialzo sull’inflazione, si scorgono “segnali positivi” nonostante il calo del potere d’acquisto dello 0,6%. Considerazione, quest’ultima, contestata dal ministro Giorgetti secondo cui il problema è che gli italiani, giustamente intimiditi dall’incertezza globale, preferiscono risparmiare piuttosto che spendere. Palazzo Koch rinnova i suoi timori sul debito (salito a 3mila miliardi) che tiene il Paese in balia dei mercati e ritiene che solo l’attuazione del Pnrr potrà rendere “sostenere la crescita solidità dell’economia del Paese”. Va da sé che Bankitalia ritiene l’eventuale applicazione dei dazi da parte degli Usa un’azione capace di innescare “un contraccolpo che sarà inevitabile” anche se “la qualità elevata dei beni che vendiamo negli Stati Uniti e gli ampi margini di profitto di alcune imprese potranno attenuarne temporaneamente l’impatto”. Contraccolpo che l’Upb quantifica nella perdita di (almeno) tre decimali di Pil e nel dissolvimento di circa 68mila posti di lavoro: “A risentirne maggiormente sarebbero i settori farmaceutico, attività estrattive, automotive, prodotti chimici, attività metallurgiche e fabbricazione di macchinari, tutti mediamente più esposti verso gli Stati Uniti come mercato di sbocco o con dazi più elevati. Ne risentirebbero però anche le imprese di servizi professionali, quali quelli della pubblicità, della progettazione immobiliare e della gestione del personale”. Insomma, nessuno è al sicuro.
C’è poi la vicenda armi, già ventilata da Lagarde come possibile leva per sostenere l’economia Ue. Per l’Upb l’eventuale proroga del Pnrr varrebbe fino a un +0,3% nel 2026, un’accelerata dello 0,8% in più per il Pil del 2027, bissata dalla risalita dello 0,4% nel 2028. Il riarmo europeo non smuoverebbe il Pil che dello 0,3%. Nella migliore delle ipotesi. Bankitalia, poi, avverte che senza un coordinamento in chiave Ue “potrebbe comportare in ogni caso una spesa inefficiente (non potendo sfruttare le possibili economie di scala) e inefficace (per il rischio sia di duplicazioni sia di non colmare le attuali carenze)”. Sarebbe dunque il caso di mettere insieme le risorse e magari fare un po’ di debito comune: “Dal punto di vista dell’analisi economica, gli investimenti e le spese per la difesa hanno la natura di bene pubblico europeo; un programma coordinato finanziato con risorse comuni agevolerebbe il raggiungimento di un livello e di una composizione adeguata della spesa complessiva”.
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