
Servono aiuti, oppure una filiera, quella della raccolta dei rifiuti tessili, andrà gambe all’aria. E con lei i servizi che assicura. L’allarme lanciato dalle imprese della raccolta è arrivato da tempo. Ma ora è sostenuto da un report – elaborato da Unirau (l’Associazione delle aziende e delle cooperative che svolgono le attività di raccolta, selezione e valorizzazione della frazione tessile dei rifiuti urbani che aderisce ad Assoambiente) con il supporto di Ariu (Associazione Recuperatori Indumenti Usati) e consegnato qualche giorno fa ad Anci ed Utilitalia – che analizza la situazione critica vissuta dalla filiera dei rifiuti tessili urbani. Un’analisi che fa i conti delle imprese sottoposte a questo rovinoso “stress test” i cui ingredienti sono l’aumento dei rifiuti da gestire, legato all’obbligo di raccolta in vigore in tutta Europa da quest’anno; la concorrenza dello tsunami del fast fashion col mercato degli abiti usati, la cui vendita tiene in piedi il servizio di raccolta e selezione; e la qualità sempre più bassa degli abiti raccolti, anch’essa un regalo tossico della moda ultraveloce.
Ricorda Joseph Valletti, Presidente Ariu, “la somma degli effetti dell’aumento dei quantitativi raccolti su base europea, la scarsa qualità del ‘fast fashion’ e la concorrenza sui mercati globali del ‘second hand’ fatta dal super fast fashion cinese ha fatto crollare il valore di quanto raccolto e le imprese della selezione per mantenere la loro competitività sono costrette ad acquistare raccolte provenienti da altri Paesi europei di maggiore qualità ed a quotazioni decisamente più basse”.
“Questo ci obbliga – spiega Andrea Fluttero, presidente Unirau – come dimostrato dai dati che emergono dal report, a vendere le nostre raccolte a quotazioni inferiori ai nostri costi di raccolta e ci mette di fronte al rischio di non poter dare continuità al servizio”.
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Le dinamiche economiche
Giova sempre ricordare che l’economia circolare è pur sempre economia. Funziona non sulle buone intenzioni e sulla beneficenza, ma su meccanismi di mercato. “Come noto la consuetudine in questo settore è che il costo delle raccolte viene remunerato con il valore dei rifiuti raccolti, che crollando sta rendendo non più sostenibile l’intera filiera”, spiegano Unirau e Ariu. Il rollo del valore delle raccolte – che si spinge fino “in alcuni casi, alla impossibilità di trovare selezionatori disponibili all’acquisto” – “sta mettendo a dura prova la sostenibilità finanziaria del nostro settore”, spiegano Unirau e Ariu.
Per fornire un quadro “chiaro ed analitico alle stazioni appaltanti, Comuni, aziende multiservizi e in generale al settore”, le due associazioni che curano raccolta e cernita dei rifiuti tessili hanno “elaborato un range di costi per ogni voce di costo della raccolta, prendendo in considerazione le diverse configurazioni del servizio degli operatori, stimando per ogni voce una forbice di valori così che dalla combinazione delle differenti opzioni sia possibile identificare la struttura dei costi in una ampia serie di differenti situazioni”.
Tre gli scenari offerti per la raccolta, che – dai costi del personale a quelli per le certificazioni, dal materiali di consumo ai costi dello smaltimento delle frazioni estranee – variano da 30,8 centesimi al chilo a 36,6 €cent/kg. A questo costo si può aggiungere, ma dipende dai singoli bandi predisposti dalle stazioni appaltanti, il costo delle royalties che i Comuni chiedono in cambio della possibilità di svuotare i cassonetti gialli coi rifiuti tessili.
“Il prezzo delle royalties è differente da gara a gara – mi racconta Fluttero -. Quando si verificano le condizioni più favorevoli le royalties non ci sono: tu raccogli e vieni ripagato con la vendita del materiale, senza dovere nulla alla stazione appartante. In alcune zone dove il materiale è più ambito, invece, per aggiudicarti la gara fai un’offerta. Per poter raccogliere offrivi magari 2 centesimi, 5 centesimi, 8 centesimi al chilo”. Fluttero racconta di una situazione variegata “figlia di un periodo nel quale le raccolte avevano un valore sempre superiore al costo stesso della raccolta”. Aggiunge poi: “La cooperativa che io presiedo, in Piemonte, raccoglie attorno alle 6 mila tonnellate anno in circa metà Regione, e ancora oggi paga royalties complessive di circa 120 mila euro/anno di media. Mentre 3 anni fa, quando il mercato era più florido, pagavamo attorno a 300 mila euro”.
Se questi sono i costi, il problema nasce dai guadagni. “L’aspetto che ha determinato la crisi è il valore delle raccolte”, sottolinea il presidente Unirau. “Sul mercato europeo sono gradualmente aumentati i quantitativi della raccolta, a seguito della obbligatorietà in tutti i Paesi UE. A differenza degli imballaggi, per cui più materiale hai più materiale riciclato vendi, per gli abiti usati gli sbocchi non sono illimitati, e poi c’è la competizione con il super fast fashion cinese. Di conseguenza oggi c’è più offerta che domanda”.
E anche senza essere economisti è chiaro che questo squilibrio – in assenza di un correttivo che potrebbe arrivare dal futuro sistema di responsabilità estesa del produttore (EPR) – viene scaricato sul prezzo dei beni raccolti e selezionati.
Una dimostrazione pratica Fluttero me la dà raccontando l’esperienza di quelle stazioni appaltanti (i Comuni in collaborazione con i gestori incaricati della raccolta dei rifiuti urbani) che hanno provato a separare la raccolta, affidata alle cooperative, dalla vendita del materiale usato, fatta in proprio: “Stanno avendo enormi problemi a vendere quel materiale, perché nessuno lo acquista. Questo è la dimostrazione lampante della crisi”. Poi mi fa due esempi. Uno veneto. “Contarina è un caso tipico. Contarina non riesce a collocare il materiale che i raccoglitori stanno raccogliendo”. L’altro caso è piemontese. “Nel mio territorio, un consorzio di Comuni della zona di Alba ha separato raccolta dalla vendita del materiale. Mentre i raccoglitori della cooperativa locale vengono pagati per il loro servizio, la stazione appaltante ha pubblicato un bando di gara un mese fa per vendere il materiale già raccolto: mi pare a 20 centesimi al chilo come base d’asta. L’asta è andata a deserta. Nuova asta a 10 centesimi. Deserta anche questa. Ora riproveranno a farla probabilmente a 5 centesimi al chilo”.
Facile fare i conti. “Se la raccolta costasse 30 (il minimo stimato nel rapporto, ndr), e poi la stazione appaltante quegli abiti raccolti li rivende a 5, la raccolta di quei vestiti è costata al pubblico 25 centesimi al chilo”.
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Le richieste
Lasciamo un attimo le tabelle da parte a anticipiamo le conclusioni delle imprese (che, ovviamente, fanno i loro interessi): “Si richiedono misure urgenti, come agevolazioni sui costi di smaltimento e sospensione di contributi economici, in attesa dell’implementazione dei regimi EPR (responsabilità estesa del produttore)”.
“Senza un sostegno urgente, i prodotti riutilizzabili e riciclabili andranno persi e un intero ecosistema industriale che è fondamentale per la transizione circolare dei prodotti tessili collasserà prima che l’EPR entri in vigore”, avvertono Ariu e Unirau. “Se non sarà possibile concordare con le stazioni appaltanti le misure temporanee di sostegno illustrate, le raccolte rischiano di fermarsi, non consentendo ai Comuni di adempiere ad un loro obbligo, aumentando i quantitativi di rifiuti indifferenziati ed i conseguenti costi ambientali ed economici di smaltimento, privando i cittadini di un servizio e rischiando di lasciare spazi a soggetti che operando sottocosto sono poi verosimilmente costretti a pratiche commerciali, di gestione del personale ed ambientali fuori dalla legalità”.
Queste le possibili azioni per tamponare la crisi illustrate nel documento Ariu-Unirau:
- Ridurre i costi di gestione dei rifiuti scartati:
- Unirau e Ariu chiedono che ai raccoglitori e ai centri di selezione siano applicate “tariffe di incenerimento e di conferimento in discarica analoghe a quelle applicate agli enti pubblici”;
- Non aumentare deliberatamente i tassi di raccolta. Niente campagne di comunicazione, per fare un esempio: metterebbero a repentaglio il sistema. A meno che i programmi di responsabilità estesa del produttore (EPR) non vengano implementati prima di 30 mesi dall’entrata in vigore della direttiva quadro sui rifiuti appena emendata con l’introduzione dell’EPR;
- Evitare di raccogliere articoli non riutilizzabili e non riciclabili (ad esempio, tramite campagne di comunicazione);
- Consentire di conferire i rifiuti non riutilizzabili e non riciclabili nelle piattaforme comunali.
- Sospendere i contributi sulla raccolta dei tessili;
- Annullamento dei contratti e nuova gara. Qualora il valore di mercato dei rifiuti raccolti dovesse scendere stabilmente sotto al costo della raccolta differenziata, propongono Unirau e Ariu, “le aziende e le cooperative della raccolta potranno chiedere l’annullamento del contratto senza penali affinché i Comuni possano effettuare una nuova gara che possa anche tener conto di offerte che richiedono un eventuale importo ad integrazione del valore dei rifiuti raccolti”. O “il passaggio da gare ad evidenza pubblica al massimo rialzo a quelle al massimo ribasso”.
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