Donald Trump intende tenere per ora attiva TikTok negli Stati Uniti concedendo la proroga di 90 giorni prevista dalla legge che la mette al bando qualora la proprietà rimanga in mani cinesi
Donald Trump intende tenere per ora attiva TikTok negli Stati Uniti concedendo la proroga di 90 giorni prevista dalla legge che la mette al bando qualora la proprietà rimanga in mani cinesi. Ma il caso è tutt’altro che risolto: non solo per adesso non si vede un terreno agibile di negoziato, visto la durezza con cui l’azienda ha ribadito il no a una sua vendita, ma non è nemmeno chiaro cosa accadrà stamattina quando, in base alla legge del Congresso (e alla sentenza della Corte Suprema che ne ha appena confermato la validità), la rete sociale di proprietà della cinese ByteDance dovrebbe essere messa al bando.
L’ultimatum di TikTok
Trump ha dichiarato alla NBC che «molto probabilmente» utilizzerà la clausola della legge che gli consente di rinviare per tre mesi la sua applicazione, ma si muove con prudenza: «Mi sembra appropriato, ma non ho ancora deciso. Devo valutare con attenzione: è una questione molto grossa. Se deciderò per la proroga, potrei annunciarla lunedì», dopo il giuramento. Ma rimane il dubbio su quello che accadrà domenica e fino a quando Trump renderà operativo un suo ordine esecutivo. Sembrava un nodo formale, poco rilevante, visto che Joe Biden (spinto a non punire TikTok anche dai parlamentari del suo partito) aveva chiarito che la sua Amministrazione, all’ultimo giorno di vita, non compirà alcun atto relativo a questa legge, lasciando la competenza al suo successore.
Ma ad alzare la posta a questo punto è stata la stessa TikTok: in una nota afferma che le assicurazioni della Casa Bianca non bastano. Senza un atto giuridicamente vincolante che blocchi l’attuazione della legge, la rete bloccherà il servizio e altrettanto dovrebbero fare le società Usa che hanno TikTok nell’app store (Apple e Google-Alphabet) e Oracle che fornisce i suoi server. Secondo la rete social, in base alle norme votate ad aprile, tutti rischiano multe salatissime (centinaia di milioni di dollari). Al momento queste società non hanno ancora detto come si comporteranno nelle prossime ore, mentre la Casa Binaca ha respinto l’ultimatum di TikTok definendolo uno stratagemma per ottenere un riconoscimento giuridico: le assicurazioni date sono più che sufficienti.
Servizio a rischio
Il caso ha aspetti paradossali: Trump, che nel suo primo mandato aveva deciso di mettere al bando TikTok, ora vuole salvarla. Pressato dal suo amico (e socio in Truth Social) Jeff Yass, un miliardario che è azionista di ByteDance (holding di diritto cinese ma posseduta al 60% da fondi internazionali, soprattutto Usa, come BlackRock e General Atlantic), The Donald è diventato un suo difensore, ha invitato gli utenti a votarlo e, dopo l’elezione, ha espresso gratitudine: «Mi ha portato il voto dei giovani». Ma anche i democratici, che ad aprile hanno votato compatti, insieme ai repubblicani, la messa al bando, ora frenano, spaventati dalla rabbia di molti dei 170 milioni di utenti americani di TikTok che non vogliono perdere il servizio.
Conflitto istituzionale
L’amministratore delegato della società cinese, Shou Zi Chew, che sembrava con le spalle al muro e che era andato anche lui in pellegrinaggio a Mar-a-Lago a chiedere la “grazia” a Trump (domani sarà in prima fila al giuramento del presidente insieme a Elon Musk, Jeff Bezos e Mark Zuckerberg ai quali si stanno unendo altri big della tecnologia come Sam Altman di OpenAI, Tim Cook di Apple e Satya Nadella di Microsoft) ora alza la testa: ringrazia Trump per il suo intervento, ma presenta la sua come una reazione alla «violazione del Primo emendamento della Costituzione e alle censure arbitrarie», attribuite alla Corte Suprema e al Congresso coi quali lo mette in contrapposizione. Forse troppo anche per il disinvolto Trump. Potrebbe tentare l’escamotage di dire che ByteDance non è di Pechino perché ha molti azionisti anche americani, ma la società è comunque di diritto cinese. E lui ha il fiato sul collo di repubblicani suoi amici che, però, non vogliono fare concessioni alla Cina. Come il senatore Tom Cotton, presidente della Commissione Intelligence: «TikTok è una app spia della Cina comunista che intossica i nostri giovani e diffonde propaganda marxista».
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