”Nello Stato non solo mafia, ma traditori”

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L’intervento del direttore di ANTIMAFIADuemila presso il teatro Palladio a Fontaniva (PD)

All’interno dello Stato non c’è solo la mafia ma il tradimento”.
Allo stesso modo con cui Gesù Cristo venne tradito da Giuda, “uno dei suoi”, i martiri della nostra storia sono stati pugnalati alle spalle dai loro stessi colleghi e amici.
Chi erano? Forse in questo ‘calderone’ rientrano anche i colleghi di Falcone? Gli stessi che il 19 gennaio 1988 lo tradirono e bocciarono la sua promozione al Csm come capo dell’ufficio istruzione di Palermo?
I nemici più implacabili, più disgustosi, più odiosi dei magistrati uccisi, Falcone e Borsellino, e delle vittime innocenti e di tutti gli altri uomini dello Stato uccisi sono stati i magistrati. I peggiori nemici dei carabinieri valorosi che hanno difeso il nostro Stato sono stati i carabinieri. I peggiori nemici dei politici pochi, onesti, sono stati i politici. Quindi noi ancora oggi dopo 150 anni dobbiamo combattere una guerra che lo Stato non ha mai voluto vincere, come dice il libro ‘Cinquant’anni di mafia’ di Saverio Lodato”.
È stata questa l’analisi del direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni, intervenuto nell’ambito dell’evento organizzato dall’Associazione Culturale Falcone e Borsellino presso il Teatro Palladio di Fontaniva (PD), intitolato “Mafia: i mandanti esterni dietro le stragi”.

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Ascoltato da oltre settecento persone (di cui più di duecento collegate via web) Bongiovanni ha tracciato una linea che parte dagli anni di piombo fino ad arrivare alla situazione politica attuale (comprese le riforme della giustizia).
Falcone – ha detto Bongiovanni al moderatore Andrea Lovo è stato tradito dalla magistratura; perché è stato bocciato in tutte le sedi. Era il più bravo magistrato italiano e all’epoca non era un partito che lo diceva, erano gli americani, il Presidente degli Stati Uniti. Quindi noi che abbiamo sempre leccato i piedi agli americani, questo magistrato doveva diventare il Presidente della Repubblica”. Ma invece venne ucciso; e non è dettaglio da poco che prima di essere assassinato aveva intuito che esistevano certe “menti raffinatissime” – di cui Falcone parlò allo scrittore e giornalista Saverio Lodato – e gruppi di potere in grado di “dirigere Cosa nostra o che hanno convergenze di interessi con Cosa Nostra”.
Falcone fece un nome a Saverio Lodato, durante la trasmissione ‘Atlantide’ condotta dal compianto Andrea Purgatori: l’ex 007 Bruno Contrada.
Ma “Falcone non si riferiva al dottore Bruno Contrada in quanto commissario di polizia e numero tre del Sisde” ma a “chi rappresenta Bruno Contrada“.
Di cosa si tratta?

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Forse un sistema di potere che affonda le sue radici nel torbido collegamento tra poteri occulti, massoneria deviata (come la P2), convergenze di interessi con Cosa nostra e l’influenza di strutture parallele come Gladio?
Una struttura colossale in grado di manipolare le istituzioni attraverso stragi e delitti eccellenti e che è stata in grado di rinnovarsi nel tempo attraverso l’attuale classe dirigente oggi al potere.
La P2, diceva Tina Anselmi, che è stata il presidente della commissione parlamentare per l’indagine sulla P2, è stata uno Stato nello Stato. C’erano decine di generali dei Carabinieri, magistrati, poliziotti, prefetti, sindaci, senatori, ministri, cioè Licio Gelliera “il capo di questa loggia. In realtà era un burattino messo lì dagli americani e dalla dittatura argentina”. “Un membro di questa loggia si chiamava Silvio Berlusconi. Tutto il programma di Silvio Berlusconi, di questo governo fascista in carica” è, di fatto, una fotocopia del “programma di Rinascita Democratica della loggia massonica P2, criminale, assassina e (teoricamente) sciolta dallo Stato italiano“. Ma “se noi ricopiamo i programmi politici dei criminali e degli assassini, per me ci governano criminali e assassini”.
Io dico anche – ha continuato – che al governo oggi c’è la mafia perché c’è un partito fatto da un uomo della mafia. Ci sono persone oneste sicuramente, e in buona fede” perché “penso che molti senatori e deputati di Forza Italia sono onesti ma i loro fondatori sono criminali. Uno è criminale e pregiudicato, si chiama Marcello Dell’Utri e l’altro è un pregiudicato passato a buon vita”.

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Ma oltre ai programmi politici e ai partiti sono state fatte azioni forti e terribili come la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto del 1980 di cui Gelli è stato riconosciuto come mandante.
La P2, ha ricordato Bongiovanni, fa senza dubbio parte quel gruppo di “poteri occulti” di cui fanno parte anche altre massonerie deviate o alte strutture militari come Gladio.
Questa organizzazione, nota agli americani, al governo italiano e persino alla mafia, rappresentava un nodo cruciale per comprendere l’intreccio tra politica, servizi segreti e criminalità organizzata. Sebbene il presidente del Consiglio Giulio Andreotti avesse ammesso l’esistenza di Gladio, lo fece in termini vaghi e minimizzanti, mentre Falcone, con la sua consueta determinazione, era deciso a perseguire non solo i membri operativi di questa organizzazione, ma anche chi si trovava ai vertici“. “Questa presa di posizione fece sì che Falcone si attirasse non solo l’ostilità della mafia e dei poteri interni al sistema italiano, ma anche quella degli americani”.
Su Gladio il giudice Giovanni Falcone avrebbe voluto (e potuto) indagare se fosse diventato procuratore nazionale antimafia. Ma la storia andò diversamente, come ricostruito dal documentario ideato da Bongiovanni durante l’evento “Giovanni Falcone. La vera storia della trattativa e delle stragi dello Stato-mafia”: il 23 maggio 1992 500 kg di tritolo esplodono uccidendo Falcone, la magistrata Francesca Morvillo e i poliziotti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Dicillo. 57 giorni dopo, il 19 luglio, un nuovo attentato. Vennero uccisi Paolo Borsellino e gli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

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Giorgio Bongiovanni intervistato da Andrea Lovo

L’anno dopo nuove stragi e nuovi morti: a Firenze, Milano e Roma. In Italia, dove non mancano le stragi impunite, non è poca cosa la condanna definitiva di mandanti ed esecutori mafiosi che hanno partecipato a vario titolo a quei delitti.
Durante la serata è stata trasmessa anche l’intervista del direttore di ANTIMAFIADuemila al sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del Csm Nino Di Matteo“Mafia, giustizia e Costituzione: a colloquio con Nino Di Matteo”.
Nel suo intervento Giorgio Bongiovanni ha ricordato alcune delle molte vicende che hanno coinvolto la figura del magistrato come ad esempio “la triste vicenda dell’attentato” nei suoi confronti che ha visto protagonisti Matteo Messina Denaro e Salvatore Riina. “Di Matteo – ha continuato – è un magistrato valoroso, anche perché tuttora oggi è condannato a morte dalla mafia, dai capi della mafia”.

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Giorgio Bongiovanni intervista Nino Di Matteo

Non a caso “è stato il magistrato più votato in Italia nella storia delle votazioni da Presidente della Repubblica” – prese 56 voti – “Non penso che è stato votato da un partito. Quindi, esponenti delle istituzioni, se hanno votato Di Matteo, per logica, ma è un mio parere, sono persone oneste. Perché le persone disoneste, corrotte, o ambigue, o non dirette, non gli vogliono bene il dottore Di Matteo. Lo delegittimano, cercano di ostacolarlo. Guarda caso, li vedete nei giornali i nomi di chi detesta il dottore Di Matteo”.
Però vi sono persone, non all’interno della politica ma nella magistratura, che lo appoggiano.
Prova tangibile di questo sono state le votazioni al consiglio superiore della magistratura del 9 ottobre 2019: “Oltre 1.000 voti. Quasi tutti secondo me dati da magistrati giovani”.
Questo secondo me è un segno positivo, perché il magistrato che ricevette più voti era un magistrato anziano, giustamente, con esperienza, quindi è stato votato ad ampio raggio”.

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Certamente, come ha ricordato Bongiovanni, i veri Csm sono stati tutti ampiamente criticati (molto duramente) da ANTIMAFIADuemila: “Gli ho detto di tutto: farisei, sinedrio. Perché facevano delle cose aberranti. Però negli anni dove sono stati presenti il dottore Di Matteo e il dottore Sebastiano Ardita quel consiglio sulla magistratura ebbe dei risultati davvero positivi”.
E fu anche in quel caso che Di Matteo dimostrò la sua statura morale: fu ad aprile del 2021 che davanti al plenum disse di aver ricevuto dossier anonimi che contenevano accuse gravissime contro l’allora consigliere togato Ardita.
C’era in atto un complotto contro il magistrato, il consigliere Sebastiano Ardita – ha detto Bongiovanni – e grazie al coraggio che ebbe Di Matteo” questo “complotto è stato sventato”. Poi la magistratura ha proceduto a fare delle indagini culminate in un processo che ha visto come imputati l’ex giudice Piercamillo Davigo con l’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio. La vicenda processuale è ancora in corso: la Cassazione ha infatti stabilito che dovrà esserci un nuovo appello bis. Nello specifico i giudici della Sesta Sezione Penale della Cassazione avevano annullato con rinvio la parte della sentenza d’appello sulla rivelazione a terzi dei verbali mentre hanno dichiarato irrevocabile la responsabilità per quanto riguarda la condotta contestata in concorso. Quindi sulle responsabilità di Davigo non ci sono dubbi, almeno per una parte di quelle contestate. “Non voglio considerare un traditore il dottore Davigo però ha fatto un errore gravissimo e ha commesso un reato gravissimo”, ha commentato Bongiovanni.

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Le stragi di Capaci e di via d’Amelio

“La strage contro Falcone è una strage che si dovette fare a Palermo perché doveva sembrare che era stata solo la mafia” ha detto Bongiovanni.
E il giudice doveva essere ucciso perché “voleva cambiare il sistema Italia. Voleva cambiare il sistema Italia e farla diventare libera, una Italia indipendente e che voleva rispettare la Costituzione. Ecco perché viene assassinato“. Ma “i killer di Cosa nostra sono super professionisti” ma non sono “artificieri di bombe in quell’attentato. L’unico che aveva già usato l’autobomba, ma indirettamente, era Giovanni Brusca, tant’è vero che viene chiamato a premere il telecomando. Tutti gli altri erano ignorantoni della questione bombe”.
Per questo chiamarono Pietro Rampulla, esperto di esplosivi vicino agli ambienti dell’eversione di destra che non si presentò quel giorno per eseguire la strage avanzando una scusa risibile.
Ma Cosa nostra ha sempre punito con la morte chi non eseguiva un ordine.

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Quindi il Rampulla è stato messo da parte” perché l’attentato non doveva fallire: doveva avere “il 100% delle probabilità di andare in porto. Quindi noi abbiamo scoperto che ci sono molte probabilità, adesso non ho la prova scientifica definitiva, ma molte probabilità che c’erano presenze femminili. È noto che nei servizi segreti americani – italiani ci sono donne, quindi è probabile che in quell’azione militare all’attentato di Capaci c’erano presenze militari esterne, a Cosa nostra”.
E se la strage di Capaci presenta ancora oggi dei misteri è la strage di via d’Amelio il vero alveolo dei segreti. Perché Cosa nostra, su ordine di Riina, esegue una strage dopo appena 57 giorni?
Ti autodistruggi. Tant’è vero che l’ala militare di Cosa nostra è stata distrutta dallo Stato e i mafiosi in carcere oggi potenti, i colonnelli, odiano Riina”. Via d’Amelio è una strage anomala:
“Riina è stato accompagnato per la manina” mi disse il “collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi. “Quindi la strage di Via d’Amelio è stata voluta dall’esterno“. E poi: “Dopo 30 e rotti anni, non sappiamo chi ha premuto il grilletto. Quindi forse non era nemmeno un mafioso che l’ha premuta. Per me era un uomo dello Stato. Gaspare Spatuzza disse che c’era uno che non era della mafia. Ma che cosa faceva?
Anche l’esplosivo usato è stato ‘anomalo’: “C’erano 200 chili di tritolo mescolato con tritolo militare che usano i servizi segreti. Spatuzza non lo sa dove l’hanno preso, gliel’hanno portato. Il tritolo che ha preso lui era a Porticello dentro una bomba del 1945. Ma il Semtex non lo sa chi l’ha portato. Cosa nostra non ha questa capacità di creare un attacco militare di questo tipo. Lo Stato ha ucciso Paolo Borsellino e gli agenti di scorta. Lo Stato italiano l’ha fatto“.

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Il mistero dell’Agenda Rossa

Sull’agenda rossa scomparsa c’è un vero e proprio stillicidio dal 19 luglio 1992.
Noi abbiamo sempre detto che un punto cruciale è sicuramente il furto dell’agenda rossa di Paolo Borsellino.
E’ ormai nota la storia del ritrovamento della fotografia in cui viene ritratto l’allora capitano Giovanni Arcangioli, con in mano la borsa di Borsellino. Una vicenda che ci ha visti coinvolti in primissima persona quando, anziché fare lo scoop, decidemmo di riferire all’autorità giudiziaria quanto avevamo appreso da una fonte.
E in merito il nostro vice-direttore, Lorenzo Baldo, ha anche testimoniato nel quarto processo sulla strage.
Successivamente furono recuperate le immagini televisive dove viene ritratto Arcangioli (indagato e prosciolto dall’accusa del furto dell’agenda), per nulla in stato di choc, mentre, attorno alle 17.30, mentre le auto sono ancora fumanti, il corpo di Borsellino è dilaniato e quelli dei ragazzi della scorta sono ridotti a brandelli, attraversa via d’Amelio con in mano la valigetta di cuoio in direzione di via Autonomia Siciliana.
Nel processo Borsellino quater sono stati mostrati anche altri video dove appare l’allora capitano dei carabinieri a colloquio con altre persone.
Sentito a processo Arcangioli non fornì risposte soddisfacenti anzi, secondo i giudici del Borsellino quater la sua fu “una deposizione ben poco convincente” in cui tenne un comportamento “molto grave”.
Sappiamo anche, da altre testimonianze, che la valigetta è ricomparsa nella macchina successivamente, circa un’ora dopo.
Venne sequestrata e portata in Questura, anche se non fu scritta alcuna relazione di servizio. Almeno fino a dicembre, quando venne poi restituita alla famiglia Borsellino.

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L’agenda del giudice, però, non c’era.
Chi l’ha fatta sparire? Perché? A queste domande troppo a lungo non è stata data una risposta.
Un altro aspetto fondamentale che merita attenzione è ciò che Paolo Borsellino avrebbe potuto annotare nella sua agenda rossa, in particolare il fatto che fosse a conoscenza della nascita imminente di un nuovo partito politico. Questa consapevolezza, secondo alcune ricostruzioni, derivava dalle indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Palermo su Vittorio Mangano, noto come lo “stalliere” di Arcore.
Nel maggio del 1992, poco prima dell’assassinio di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino rilasciò un’intervista ai giornalisti francesi, un momento documentato in un filmato che, in seguito, venne boicottato dalla RAI. Questo episodio vide anche l’impegno di Sigfrido Ranucci, giornalista e oggi conduttore di Report che cercò di portare alla luce quelle immagini. Nel filmato, Borsellino rivelava l’esistenza di un’indagine della Procura di Palermo che coinvolgeva Marcello Dell’Utri.
Queste parole, apparentemente semplici, nascondono una riflessione dirompente. Se nel maggio del 1992 Paolo Borsellino avesse ufficializzato un’inchiesta su Dell’Utri (storico braccio destro di Silvio Berlusconi), quali sarebbero state le conseguenze per la nascita di Forza Italia? E, ancora, quale sarebbe stato il destino degli ultimi venticinque anni di politica e potere in Italia? È lecito chiedersi chi avrebbe governato il Paese, se Forza Italia non fosse mai esistita.

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Foto © Devid Tronchin

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