Autonomia, oggi il verdetto (ma la riforma è già zoppa)

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Il giorno è di nuovo arrivato. Per la seconda volta in soli due mesi, la Corte Costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi sull’autonomia differenziata, il progetto da tempo portato avanti dalla Regioni più ricche del Nord che chiedono di poter gestire numerose materie e le corrispettive risorse oggi in capo allo Stato centrale. Già nella sentenza di metà novembre dello scorso anno, i giudici della Corte hanno praticamente riscritto fin nelle fondamenta la legge Calderoli, il provvedimento che sta alla base delle richieste autonomiste di Veneto e Lombardia. Adesso dovrà decidere se chiamare o meno i cittadini italiani a pronunciarsi sull’intero testo Calderoli per abrogarlo completamente. La Corte di Cassazione, che ha esaminato i quesiti prima di Natale, li ha giudicati ammissibili. Ma l’ultima parola spetta alla Consulta, che dovrà valutare se dopo le profonde modifiche, diverse delle quali autoapplicative, sia effettivamente agevole per i cittadini capire la materia sulla quale sono chiamati ad esprimere il loro giudizio. Si vedrà. Qualunque cosa accada, comunque, il progetto autonomista così come immaginato nell’ultimo decennio dalle Regioni del Nord, appare ormai di difficile realizzazione. Su un punto in particolare: il cosiddetto “residuo fiscale”.

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L’idea di fondo del regionalismo differenziato può essere ricondotta a uno slogan abbastanza immediato: spendere nel territorio le tasse raccolte dai cittadini che in quello stesso territorio vivono. Le tasse dei veneti ai veneti, quelle dei lombardi ai lombardi, e così via. Gli stessi referendum locali su cui si era espressa la popolazione, si basavano sull’idea di poter trattenere i nove decimi delle tasse raccolte dai cittadini della Regione nella Regione stessa. L’ispirazione, se così si può dire, era quella delle province autonome del Trentino Alto Adige, dove in effetti questa regola è applicata.

Questo principio è stato tolto dal tavolo della trattativa, grazie proprio alla sentenza della Consulta. Le Regioni che chiederanno autonomia differenziata rispetto alle altre, dovranno dimostrare, per le funzioni che chiedono di gestire in proprio, di essere in grado di farlo in maniera più efficiente dello Stato. Questo significa due cose: che o spenderanno meno per svolgere quelle stesse funzioni, oppure che, a parità di costi saranno in grado di offrire maggiori servizi. Se spenderanno meno, e qui sta un altro punto centrale, il risparmio di spesa non finirà nelle casse della Regione, ma in quelle dello Stato, in un’ottica solidaristica.

I PASSAGGI

L’autonomia, insomma, non deve creare un vantaggio economico per la Regione, ma per tutti i cittadini italiani. E questo al netto di altre considerazioni importanti che pure ha fatto la Corte Costituzionale. Come per esempio il fatto che ci sono un elenco di materie la cui devoluzione alle Regioni sarebbe difficilmente giustificabile: il commercio con l’estero, la tutela dell’ambiente, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, i porti e aeroporti civili, le grandi reti di trasporto e di navigazione, le professioni (in particolare quelle ordinistiche), l’ordinamento della comunicazione, le norme generali dell’istruzione. La sentenza avverte che «le leggi di differenziazione che contemplassero funzioni concernenti le suddette materie potranno essere sottoposte ad uno scrutinio stretto di legittimità costituzionale». Queste materie di fatto dovranno rimanere escluse da qualsiasi devoluzione.

Inoltre la Corte ha anche spiegato che non potranno essere trasferite intere materie, ma solo singole funzioni e a patto, come già detto, che la Regione che ne chiede il trasferimento dimostri di poterle gestire con una maggiore efficienza rispetto allo Stato centrale. Su questi temi, abbastanza complessi, adesso la Consulta dovrà decidere se chiamare a votare i cittadini con un referendum abrogativo. Al vaglio della Corte ci saranno complessivamente sei richieste di referendum abrogativi: oltre all’Autonomia, il quesito che punta a ridurre da 10 a 5 anni i tempi per gli extracomunitari per ottenere la cittadinanza e quattro in materia di lavoro, che riguardano job act, contratti a termine e appalti.

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