Ultimo Banco di D’Avenia | 229. L’umano è di destra o di sinistra?

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#finsubito

Conto e carta

difficile da pignorare

 


La riforma dei programmi nella scuola elementare e media di cui si è parlato la scorsa settimana è stata subito cannibalizzata dalla semplificazione binaria: che cosa è di destra o di sinistra? La Bibbia, la storia dell’Occidente, la musica, l’epica, il latino? Quando saremo meno ostaggi di questo moralismo ideologico che impedisce di capire che cosa serve in un luogo, la scuola, il cui scopo è mettere i nuovi arrivati in condizione di coltivare autonomamente la vita e cercare la verità, invece di renderli preda del pensiero non pensato e dominante, che il filosofo Bacone chiamava già secoli fa idoli della conoscenza, illusioni ideologiche? Lo scopo della cultura non è fare campagna elettorale, ma diminuire lo spazio della paura e dell’ignoranza per conquistarlo alla libertà e al coraggio della verità. La domanda non è se il latino sia proprio di una formazione conservatrice o progressista, ma se serva a liberarsi da falsi automatismi del pensiero, dalla incapacità di leggere se stessi e la realtà, dalla difficoltà di attingere alla sorgente inesauribile di vita e di bene comune che è la propria unicità, perché «ciò che è vivo non ha copie. Due persone, due arbusti di rosa canina, non possono essere uguali… E dove la violenza cerca di cancellare varietà e differenze, la vita si spegne» (V. Grossman, Vita e Destino). L’umano nell’uomo non è a destra né a sinistra. È oltre. Dove?

Tra i regali che mia nipote settenne ha chiesto a Natale è apparsa una scacchiera. Mi sono stupito, io alla sua età non l’avrei mai chiesta, ma poi ho scoperto che nella sua scuola dedicano tempo curricolare agli scacchi, come allenamento alla riflessione e al pensiero logico e strategico. Un gioco antico come gli scacchi non è di sicuro di destra o di sinistra, è gioia di stare al mondo e una bambina lo sente. Quella scacchiera è «scuola»: un’intercapedine tra io e pressione mondana (tutti fan così), un luogo in cui l’anima respira tanto da avvertire subito se in quello che tutti fanno manca l’aria che serve alla propria unicità. La scacchiera mi ha ricordato che all’inizio di 1984 di Orwell, la ribellione del protagonista, Winston, al controllo psico-politico del Grande Fratello comincia da un quaderno comprato di nascosto: «un quaderno di rara bellezza, con la carta liscia e vellutata, di un tipo che non si produceva da almeno quarant’anni. Era entrato di soppiatto nella bottega e lo aveva comprato. Non sapeva neanche per quale motivo particolare lo desiderasse tanto. Se l’era portato a casa con un certo senso di colpa: anche se non vi era scritto niente, era un oggetto compromettente. Ciò che ora stava per fare era iniziare un diario, un atto che, se lo avessero scoperto, avrebbero punito con la morte o, nella migliore delle ipotesi, con venticinque anni di lavori forzati». Winston non sa più scrivere a mano e ricominciare lo risveglia: «Intinse la penna nell’inchiostro, poi ebbe un attimo di esitazione. Tremava fin nelle viscere. Segnare quella carta era un atto definitivo, cruciale». Quel diario scritto a mano è l’inizio della sua liberazione, e comincia a ricordare, capire, vedere, agire, anche a costo di perdere la vita. Per affrancarsi dal controllo odierno, in cui la psico-politica è l’algoritmo di profilazione (il capitalismo della sorveglianza operato da aziende che, in cambio di servizi apparentemente gratuiti, ci schedano per vendere dati che servono a orientare i nostri consumi), bisogna tornare al diario scritto a mano. Per questo, ispirato non da romanticherie ma dall’osservatorio di 25 anni di insegnamento, propongo di aggiungere alla riforma la cura della scrittura manuale per tutto il percorso scolastico, istituendo un’ora di «calligrafia», in cui il bello (calli-) riguarda forma e contenuto come un tutt’uno. Il motivo (che la cultura orientale mostra da secoli) è scientificamente accertato: scrivere a mano, per un essere corporeo, è un gesto più efficace della digitazione o del solo input visivo (quanti schermi sono entrati nelle classi in questi anni a scapito delle penne). Un recente studio, di cui ha dato conto il Corriereha confrontato i risultati di due gruppi di undicenni: alcuni dovevano imparare delle parole scrivendole a mano, altri tramite lettura visiva, per poi riconoscerle e spiegarle. Il primo gruppo ha avuto risultati nettamente migliori: accuratezza, risposte corrette e rapide. La scrittura manuale infatti, coinvolgendo il corpo in modo più completo e lento (che poi lento non è), consente di prestare attenzione ai dettagli, cioè la memoria a lungo termine che definisce chi siamo. Che un’attenzione multisensoriale lenta renda più attenti è l’acqua calda, ma noi crediamo che l’acqua calda siano rapidità e schermi. Eppure la difficoltà dei ragazzi delle superiori nello scrivere a mano (grafie illeggibili, corsivo zoppicante, spazi non rispettati) va di pari passo con la debolezza di attenzione, ragionamento e presa sulla realtà, tanto che con quelli del primo anno è necessario un lavoro dedicato proprio alla (calli-)grafia. Mi piacerebbe un Maestro di Calligrafia che, per l’intero percorso scolastico, alleni l’intelligenza attraverso il gesto accurato applicandolo alla scrittura diaristica che si evolverà di anno in anno in modi diversi: 13 anni di diario ben (forma e contenuto sono tutt’uno) scritto sono un allenamento formidabile alla ricerca della verità e una difesa dalle menzogne dell’informazione, basti pensare ai Diari passati alla storia e che ancora leggiamo per la verità che hanno conservato in un mondo che pensava e faceva tutt’altro. Quello di Winston mi porta a un altro gesto liberatorio dal controllo delle masse, in un altro romanzo profetico pubblicato nel 1953, quattro anni dopo quello di Orwell. In Fahrenheit 451 di Ray Bradbury infatti i libri vengono bruciati perché la gente si abbandoni totalmente all’intrattenimento di massa (nelle case non ci sono scaffali ma schermi giganti e media interattivi). La decadenza della libertà non è cominciata col bruciare i libri, ma con il disinteresse per la lettura. Altro che distopia: in tema di lettura in Italia è più distopico l’ultimo rapporto Censis. Montag, il potagonista del romanzo, troverà un gruppo di cittadini che hanno inventato un modo di resistere, imparare i libri a memoria tanto da identificarsi con essi: «Voglio presentarti Jonathan Swift, autore di quel malvagio libro politico, I Viaggi di Gulliver! E quest’altro è Charles Darwin, e questo è Schopenhauer, e questo è Einstein. Qui ci siamo tutti, Montag: Aristofane, Gandhi, Buddha, Confucio. Siamo anche Matteo, Marco, Luca e Giovanni… Trasmetteremo i libri ai nostri figli, oralmente, e lasceremo loro il compito di fare altrettanto coi loro discendenti. Naturalmente molte cose andranno perdute con questo sistema. Ma non puoi obbligare la gente ad ascoltare, se non vuole. Dovrà tuttavia venire a noi a suo tempo, chiedendosi che cosa esattamente sia accaduto e perché il mondo sia scoppiato in aria sotto il suo governo». Che cosa fa scoppiare il mondo e che cosa invece lo salva? È una idea, anche questa frutto di questi anni di esperienza, per la lettura a scuola: non fare i libri «a brani» ma incarnarli. E allora ben vengano i libri-mondo, impegnativi e necessari, come la Bibbia, l’Odissea, l’Eneide… e non per ragioni identitarie ma perché offrono le parole per dire tutto, per definire noi stessi e quindi raccontarci agli altri. Senza parole precise siamo in balia di Babele: il potere e la guerra. Per questo propongo ore di lettura per tutto il percorso scolastico, con persone capaci di interpretare i libri ad alta voce, Maestri di Lettura con qualifica drammaturgica. Due ore a settimana, ad alta voce, per 13 anni di scuola (750 ore di lettura per 30 pagine l’ora) regalerebbero ai nostri studenti quasi 25.000 pagine (50 libri da 500 pagine, 3 libri essenziali all’anno), senza interrogazioni, solo ascolto, qualche brano da imparare a memoria e domande dei ragazzi, perché i testi non siano pre-testi, ma messa a fuoco delle parole meglio dette sul mondo. Grazie a questa «scuola di lettura e di scrittura» forse avremmo più studenti che, come una bambina con la scacchiera, preferirebbero la libertà alle dipendenze, la verità alla sottomissione. E questo non è di destra, né di sinistra. È oltre: è umano.




















































20 gennaio 2025

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