Colf e badanti: sempre più italiani scelgono questi lavori ma l’irregolarità resta alta

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Sarà per l’elevato tasso di irregolarità. Sarà per la frammentazione dei datori di lavoro. Sta di fatto che il settore del lavoro domestico, e più in generale della cura che si svolge nelle nostre case, non riceve la considerazione dovuta. Un settore dal peso economico e sociale notevole, ancora trascurato.

Il sesto rapporto annuale sul lavoro domestico in Italia a cura dell’Osservatorio Domina, presentato in Senato, restituisce una fotografia su realtà e tendenze, quantificando per la prima volta anche l’indotto.

Ne abbiamo parlato con il segretario generale di Domina, Lorenzo Gasparrini

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Boom di irregolari e spesa sempre più alta da parte delle famiglie italiane. Mi fa un quadro completo della situazione sul lavoro domestico, colf e badanti in Italia?

«Attualmente noi abbiamo circa 833 mila lavoratori regolari. I dati sono in calo rispetto agli ultimi due/tre anni ma questo perché stiamo tornando al pre-Covid. Durante la pandemia sono state fatte delle sanatorie che hanno portato a delle regolarizzazioni però fittizie, in quando le persone usavano questo lavoro come finestra per entrare in altri settori. Nonostante una diminuzione negli ultimi anni, conseguenza anche delle iniziative di informazione e sensibilizzazione condotte da istituzioni e parti sociali, il tasso di irregolarità nel lavoro domestico è molto elevato. Nel 2022 il tasso di irregolarità si è attestato al 47,1%. Applicando il tasso di irregolarità il numero di persone coinvolte supera i 3,3 milioni. Attualmente le famiglie spendono 13 miliardi di euro ogni anno tra retribuzioni e contribuzioni dove sono inserite anche le risorse provenienti da famiglie che hanno lavoratori non in regola. Di questi soldi quindi 7,6 miliardi derivano dalla componente regolare e 5,4 miliardi da quella irregolare. Si tratta di un settore caratterizzato da una forte presenza femminile (88,6%) mentre gli uomini che svolgono questo lavoro sono sugli 11,4%. Gli italiani sono il 31%, gli stranieri il 69% che si dividono in due grosse realtà: i lavoratori extracomunitari con il 33,3% ed il resto provenienti dall’Est Europa (35,7%), soprattutto Romania, Ucraina e Filippine».

Lorenzo Gasparrini Segretario Generale DOMINA foto ufficio stampa

 Sempre più italiani come ha accennato scelgono questi lavori. Perché? Si guadagna bene o non ci sono alternative più allettanti?

 «Valgono entrambe le motivazioni. Soprattutto nel Sud Italia con la chiusura delle grandi aziende, molte persone intorno ai 50 anni hanno avuto difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro per cui hanno deciso di svolgere questo tipo di attività. C’è una carenza spiccata di badanti in Italia attualmente ma la richiesta è molto forte. Mentre lo straniero va a vivere nell’abitazione del lavoratore perché altrimenti non saprebbe dove altro andare, i contratti fatti agli italiani sono ad ore perché hanno una abitazione vicina».

Sul settore pesa, come detto, la diffusa irregolarità. Come rimediare a questo?

«Va innanzitutto detto che oggi avere una badante, spesso convivente, costa corca 17 mila euro l’anno. Per cui le famiglie che improvvisamente si trovano in una situazione di necessità sono costrette ad indebitarsi o chiedere un aiuto economico ai familiari. Purtroppo, pensando di risparmiare, tengono la lavoratrice in nero senza versare i contributi e negandole così i giusti diritti. Il pensiero è sbagliato però perché il valore dei contributi è tra il 13 ed il 15% ma avere un lavoratore in regola tutela tutti».

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Ci sono motivazioni particolari per cui sono le donne a svolgere il lavoro domestico?

 «Culturalmente sono le donne che accudiscono i bambini e gli anziani e quindi le persone più adatte a svolgere questo tipo di lavoro anche in altre famiglie».

Quanto risparmia lo Stato, visto che molte famiglie preferiscono accudire gli anziani in casa piuttosto che ricoverarli nelle strutture pubbliche?

«Tanto. Il risparmio dello Stato si aggira intorno ai 6 miliardi, lo 0,3% del Pil. Alla spesa totale delle famiglie bisogna aggiungere l’indotto collegato al lavoro domestico che sono 8 miliardi. Per cui gli effetti totali del valore della produzione del lavoro domestico si aggira intorno ai 22 miliardi. Se si mettessero le famiglie maggiormente nelle condizioni di tenere i propri anziani in casa sicuramente anche le casse dello Stato ne gioverebbero».

I lavoratori domestici sono qualificati per farlo o si improvvisano tali?

«Lavorare come colf non è difficile ed una persona riesce mediamente ad improvvisarsi, discorso diverso è quando si assistono anziani che magari hanno patologie anche gravi. E’ fondamentale in questo caso avere un lavoratore qualificato che abbia svolto un percorso di formazione adeguato e specifico per la patologia di chi va ad assistere».

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Secondo il vostro rapporto il lavoro domestico produce l’1% del Pil ma non è valorizzato. Le misure del Governo non sono sufficienti? Come intervenire?

«Dal primo gennaio 2025 per le persone ultraottantenni con invalidità totale ed Isee fino a 6 mila c’è la possibilità di avere un rimborso fino ad 850 euro per spese connesse al lavoro domestico. La misura è buona ma è limitata. Bisognerebbe alzare il valore dell’Isee per dare la possibilità a più famiglie di accedere a queste risorse. Inoltre da aprile 2024 è possibile anche una decontribuzione fino a tre mila euro l’anno ma sempre con l’Isee a 6 mila euro. Se lo alzassimo almeno fino a 25 mila/30 mila la platea sarebbe più ampia».

Sarebbe importante, conclude Gasparrini, anche inserire un sistema di premialità per le famiglie che hanno negli anni avuto sempre lavoratori in regola. E’ giusto che dopo un determinato periodo di tempo abbiamo un ritorno in percentuali di risorse che possono spendere l’anno successivo sempre per pagare lo stesso lavoratore. E’ fondamentale rendere il lavoro regolare più vantaggioso e questo si fa solo aiutando le famiglie.


FOTO: SHUTTERSTOCK





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