Una delle novità legata al mondo della previdenza è la possibilità di versare contributi volontari che si vanno ad aggiungere a quelli obbligatori in ottica di pensione pubblica. Chi può fare questi versamenti, le modalità, la tassazione e tutte le altre informazioni su questa novità le trovi nell’analisi di Altroconsumo.
Tralasciando il caso di chi vuol versare i contributi volontari se non sta lavorando, che ha finalità specifiche, ci concentriamo su chi inizia a lavorare e, conseguentemente, a pagare i contributi a partire dal 1° gennaio 2025 e può così decidere di versare fino a ulteriori 2 punti percentuali di contributi, in aggiunta a quelli obbligatori per legge. In pratica, i lavoratori versano il 9,49% di contributi pensionistici sulla RAL (9,19% se sono dipendenti di aziende con meno di 15 dipendenti), scegliendo questa nuova opzione, possono decidere di versare l’11,49%.
CONTRIBUTO VOLONTARIO O FONDO PENSIONE?
In questa sede ci focalizziamo sul confronto tra la scelta di aumentare la contribuzione del 2% in busta paga oppure aderire a un fondo pensione. Per come sono stati strutturati i versamenti volontari del 2%, quest’ultimi intervengono ad aumentare il montante contributivo su cui poi sarà calcolata la pensione pubblica – e solo su questo. Si decide quindi di aumentare quanto viene trattenuto in busta paga per avere poi una pensione pubblica più alta. Analogamente, si potrebbe decidere di attivare il proprio fondo pensione di categoria, versarvi il Tfr e versarvi il contributo a carico del lavoratore, che è pari ad una percentuale dello stipendio lordo annuo definita dai contratti collettivi, che verrebbe quindi trattenuta anch’essa in busta paga.
Se si decide di versare il proprio contributo volontario nel fondo pensione di categoria, per legge, il datore di lavoro verserà anch’esso un contributo di tasca propria. Quindi un lavoratore può decidere di versare il minimo definito dei contratti collettivi, un 1% in media della propria retribuzione lorda annua, e si vedrà riconosciuto anche un altro contributo (in media dell’1% da parte del datore di lavoro – attenzione, le percentuali variano da contratto a contratto). In altri termini raggiungerebbe un versamento all’interno del fondo pensione del 2% con la metà dello sforzo. In sintesi, versando il proprio contributo all’interno del fondo pensione di categoria si ottiene il contributo datore di lavoro: lo stesso versamento, in termini di percentuali del proprio reddito lordo annuale, versato all’Inps, invece, non comporta nessun altro contributo aggiuntivo. In altre parole, a parità di versamento ci si ritrova un tesoretto accumulato maggiore nel fondo pensione.
Inoltre, c’è un altro vantaggio. Il contributo volontario versato all’Inps è deducibile al 50%: se quindi un lavoratore ha un reddito di 30.000 euro lordi annui e versa il 2%, quindi 600 euro, il risparmio in termini di tasse non sarà calcolato su tutti i 600 euro, ma solo su 300 euro. Su questi 300 euro va applicata l’aliquota marginale con cui si pagano le tasse, per 30.000 euro è il 35%, per cui il risparmio di tasse pagate sarà 300 x 35% = 105 euro. Il versamento al fondo pensione invece è interamente deducibile (per un ammontare massimo di 5.164,57 euro annui). Gli stessi 600 euro versati nel fondo pensione comportano un risparmio fiscale pari a 210 euro, il doppio.
Inoltre, i contributi che vengono versati all’Inps si rivalutano secondo la media quinquennale del Pil italiano. I versamenti all’interno del fondo pensione invece si rivalutano secondo le performance determinate dall’investimento del fondo pensione sui mercati. Parlando di un lavoratore neo-assunto nel 2025, quindi giovane, la soluzione più corretta per investire sono le azioni: quest’ultime danno un rendimento superiore rispetto a quello della rivalutazione dell’Inps. Significa, in altri termini, avere un montante accumulato al momento della persona più elevato. Il montante accumulato sarà dunque più alto sia perché si avrà una quota aggiuntiva versata dal datore di lavoro, ma anche per l’eventuale migliore performance dei mercati finanziari rispetto alla Pil italiano.
Infine, bisogna ricordarsi che nel momento in cui si versa all’Inps, la pensione sarà poi tassata secondo le aliquote marginali Irpef. Infatti, tutto il montante verrà trasformato in rendita, cioè la pensione pubblica che si riceve ogni mese, alla quale poi verranno applicate le aliquote di tassazione Irpef. Quanto invece versato all’interno del fondo pensione al momento dell’erogazione della prestazione in rendita viene tassato con un’aliquota compresa tra il 9% e il 15%. Questo significa che, anche qualora il montante accumulato al momento della pensione fosse identico, la migliore tassazione che grava sul montante accumulato nel fondo pensione consente di avere un netto più elevato. Se quindi sommiamo il fatto che il nostro montante con tutta probabilità sarà più alto in virtù del contributo del datore di lavoro e anche della migliore rivalutazione dei nostri investimenti, e in più è anche tassato con aliquote più basse, si può avere una rendita pensionistica più elevata con il fondo pensione.
In altre parole, se l’obiettivo è aumentare il proprio reddito una volta in pensione, meglio aderire al fondo pensione: la somma dell’assegno pubblico e di quello complementare con tutta probabilità sarà più alto.
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