Separazione delle carriere, toghe pronte allo show contro Nordio. Ma sullo sciopero c’è l’ombra del flop

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Vasto programma, quello delle toghe in questo inizio del 2025. Atto primo, il prossimo 25 gennaio, sgarbo istituzionale: i magistrati andranno a mostrare le terga al ministro Nordio a Napoli e ai rappresentanti del governo nelle altre città in cui si celebrerà l’inaugurazione dell’Anno giudiziario. In mano avranno brani della Costituzione, ad esclusione dell’articolo 111 sulla terzietà del giudice. Che è il presupposto della necessità di tenere questo ruolo lontano e separato da quelli delle parti, accusa e difesa. Poi – nei giorni 26, 27 e 28 – le correnti politiche del sindacato si sbraneranno per eleggere il nuovo organismo di governo, che prenderà il posto di quello (un po’ pateracchio) presieduto oggi da Giuseppe Santalucia. E si arriverà allo sciopero del 27 febbraio. Sarà il caso di recitare il classico “Hic Rhodus, hic salta!” e di ricordare anche quel che fu, in un passato non troppo lontano. E che si potrebbe ripetere.

Paura del flop

Il titolo che le toghe temono di più è quello che campeggiava su tutti i quotidiani il 17 maggio 2022: il “flop” dello sciopero contro la riforma Cartabia, quella che spezzava la continuità delle porte girevoli tra giudici e pubblici ministeri e introduceva il fascicolo del magistrato. Tenue riforma, forte protesta a parole. Ma solo il 48% dei magistrati si era astenuto; gli altri erano andati a lavorare. E il presidente del sindacato, Santalucia, a Milano aveva riunito i suoi in una stanzetta con 50 persone. Nulla di paragonabile a quel che era successo nel 2005, dopo 4 scioperi in 3 anni contro le riforme del ministro Roberto Castelli e un’adesione dell’80%. “Ma allora c’era Berlusconi”, lo confermano le stesse toghe, ammettendo così il carattere politico non solo della loro protesta, ma spesso della loro stessa attività sindacale. Del resto nessun Santalucia o suo fratellino ha mai potuto smentire quel che ha detto e scritto Luca Palamara, il loro ex leader, fatto passare per mela marcia nel cesto della frutta sana. E il leader del sindacato – che è ancora lo stesso, pur se in scadenza – messo a confronto ieri su Radio 24 con il viceministro Francesco Paolo Sisto sul senso dello sciopero del 27 febbraio e le manifestazioni (vere sceneggiate, organizzate per il 25 gennaio) ha rivendicato l’anomalia italiana. Che vuol dire trattare un organo amministrativo come l’ordine giudiziario sempre come fosse puro potere.

Una questione tutta politica

Non per ricordare la suddivisione prevista da Montesquieu, ma a significare che una volta conquistato il Palazzo d’Inverno non lo si vuole lasciare più. Si è infatti soffermato più sulla questione dei due Csm che non sul punto centrale della separazione tra chi giudica e chi accusa. Se i Consigli superiori saranno due – ha detto Santalucia – avranno meno forza, cioè meno potere, nel fronteggiare il ministro della Giustizia. Ecco quale è la questione: tutta politica. Le toghe da una parte, il governo dall’altra. Non è un caso il fatto che lo stesso leader sindacale in scadenza – che è considerato un “moderato”, e sicuramente lo è nell’apparenza dei toni educati con cui si esprime – dopo il “flop” di due anni fa si fosse consolato con questa parole: “Anche per l’Anm c’è stata una stagione delle vacche grasse. Ora è quella delle vacche magre”. Stagione che evidentemente non è ancora tramontata, anche se in quello stesso 2022 purtroppo i referendum sulla giustizia non hanno raggiunto un numero sufficiente di presenze ai seggi. Ma il quesito sulla separazione tra funzioni requirenti e giudicanti aveva portato a casa un bel 74% di sì. E percentuali simili stanno dando alcuni sondaggi di questi giorni.

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Complicità tra chi accusa e chi giudica

Ci sono voluti 30 anni; un intero pentapartito di governo distrutto, mentre Di Pietro e gli altri del gruppo – che osò definirsi come “Mani Pulite” – andavano in televisione a dire che senza manette non potevano far celebrare i processi; e poi la caccia al cinghialone Craxi e poi l’inseguimento a Berlusconi. Erano quelle le “vacche grasse”. L’uso della custodia cautelare per costringere un amministratore pubblico a rinunciare al proprio ruolo e dimettersi, come è stato fatto contro il governatore della Regione Liguria Giovanni Toti, erano “vacche grasse”. Usare le intercettazioni con cui rimpinzare le ordinanze dei gip – spesso fotocopia delle richieste del pm – per creare quelle gogne mediatiche che nel passato hanno portato anche ai suicidi, queste sono “vacche grasse”. Complicità tra chi ti accusa e tra chi ti deve giudicare è “vacca grassa”. Vedere il mondo della politica, annientato da 30 anni di dominio incontrollabile dell’unica vera casta, ancora prono ai piedi dei pubblici ministeri è stato per troppo tempo la Grande Vacca Grassa di un’epoca intera. Ora si svolta, magari con il prossimo “flop” del 27 febbraio.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.





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