Perché la sinistra post-comunista non riesce a fare i conti con Craxi? Essere riformisti significa avere cultura di governo

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di ANTONIO GOZZI

Ha ragione Stefania Craxi: “Nessuno degli esponenti del centro sinistra ha mai messo piede sulla sabbia di Hammamet”. E così a 25 anni dalla morte, un periodo che dovrebbe consentire la storicizzazione del giudizio sul leader socialista, solo esponenti di primo piano del centro destra come Ignazio La Russa presidente del Senato e Antonio Tajani vicepremier e Ministro degli Esteri hanno avuto il coraggio di recarsi in Tunisia a portare un fiore sulla tomba di Bettino pronunciando parole importanti. “È venuto il momento di dire che l’Italia ha un debito nei confronti di Craxi, un debito per non aver impedito che morisse all’estero”, La Russa. “Un grande uomo della storia con il quale parlavo, quando ero ragazzo, di ingegneria costituzionale e uno dei pilastri era la separazione delle carriere dei magistrati”, Tajani.

Quali sono le ragioni per le quali la sinistra italiana, o quello che resta di essa, non riesce neanche a parlare di Craxi, uomo di sinistra come riconoscono gli storici e tutti coloro che con molte pubblicazioni anche recenti si sono occupati di lui?

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Che Craxi fosse un uomo della sinistra lo testimoniano moltissimi elementi. Ricordiamo i suoi rapporti con i principali leader socialisti del mondo, la sua importantissima presenza e azione all’interno dell’Internazionale socialista, il legame e il sostegno anche economico ai movimenti di liberazione e ai dissidenti che lottavano contro i regimi totalitari, l’esperienza amministrativa a Milano, prima del suo ruolo nazionale, che lo aveva visto impegnato, come assessore ai Servizi sociali, per i più poveri e più deboli. 

Era un uomo di sinistra ma di quella sinistra riformista, socialdemocratica e liberale che i comunisti hanno sempre ostracizzato e combattuto in Italia fin dalla Resistenza e dalla lotta partigiana.

E soprattutto aveva avuto il grave torto di contestare l’egemonia sulla sinistra italiana dei comunisti stessi.

Il duello a sinistra, come qualcuno definì il confronto duro tra il socialismo democratico e liberale di Craxi e il comunismo di Berlinguer, la contestazione dell’egemonia del PCI, avvenne soprattutto sui temi legati a una cultura riformista e di governo.

E qui sta il punto fondamentale e anche la modernità della figura e del messaggio di Craxi che imbarazza ancora oggi non solo la sinistra massimalista e populista ma anche gli eredi del PCI che hanno messo l’immagine di Berlinguer sulla tessera del PD del 2024.

Politica estera, riforme istituzionali, politiche economiche e sociali. Sono questi i tre grandi temi su cui misurare, anche oggi, la capacità di una coalizione di sinistra o di centro sinistra di essere forza di governo con una cultura riformista di governo.

Sulla politica estera Craxi ebbe la capacità di condurre l’Italia sulla giusta strada di una presenza e di una leadership mediterranee, permeate di valori fondamentali e attente agli interessi vitali del Paese.

I valori erano quelli del consesso europeo e occidentale, primo fra tutti il diritto di Israele a esistere come stato, ma contemporaneamente anche quelli del dialogo con gli stati arabi e africani per il sostegno alla causa di uno stato palestinese e più in generale di sostegno ai Paesi del Sud del mondo.

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Quella posizione di equilibrio dialogante e di tutela degli interessi nazionali nel mediterraneo, sempre esistita alla Farnesina, almeno dai tempi di Moro e Nenni, non impedì a Craxi, dando prova di una straordinaria lealtà all’Alleanza atlantica, di prendere decisioni difficili ma importantissime come lo schieramento a Comiso dei missili americani di teatro Pershing e Cruise in risposta allo schieramento degli SS20 sovietici contro le capitali d’Europa. Anche allora la sinistra comunista nascosta sotto le bandiere arcobaleno delle manifestazioni pacifiste (largamente finanziate da Mosca come si scoprì più tardi) inveì contro Craxi definendolo guerrafondaio e fascista.

Craxi in quel caso sancì che l’uso della forza è legittimo quando si difendono la libertà e l’indipendenza di popoli e nazioni e questo principio è anche oggi di straordinaria attualità sia a proposito del conflitto scatenato dall’invasione dell’Ucraina da parte russa, sia a proposito della reazione di Israele alla strage del 7 ottobre e alla volontà di regolare una volta per tutte i conti con l’Iran e le sue proxi (Hamas, Hezbollah, Houti) che negano il diritto a Israele di esistere (“dal fiume al mare”).

A proposito di riforme istituzionali necessarie per “governare il cambiamento” (come diceva un bellissimo slogan della propaganda del PSI all’inizio degli anni ’80) anche oggi, alla luce delle gigantesche e veloci trasformazioni in atto nel mondo e della sempre più vasta delusione e allontanamento dei cittadini dalla politica e dal voto, serve una democrazia efficiente, una democrazia “governante” capace di dare risposte alle esigenze concrete della gente. Ora come allora, è necessario avviare senza indugio una grande campagna di riforme istituzionali (la Grande Riforma come la chiamava Bettino).

Ogni volta che in Italia si tocca il tema delle riforme istituzionali, e si cerca di dare un assetto più efficiente allo Stato per rimanere uno dei grandi Paesi del mondo, si muove uno schieramento variegato che nega questa necessità e accusa i proponenti le riforme di vocazioni autoritarie o addirittura di golpismo. Fu così per Craxi ma lo fu anche nella stagione di Renzi sconfitto al referendum sulle riforme istituzionali innanzi tutto dall’opposizione all’interno del suo stesso partito rappresentata dalla componente post-comunista. E così le esigenze di modernizzazione del Paese, di snellimento del processo legislativo, del riequilibrio di poteri tra politica e magistratura sono restate fino ad oggi inevase.

Infine sulle politiche economiche e sociali. La modernità del pensiero liberal-socialista, la teoria dei meriti e dei bisogni di Rawl fatta propria dai socialisti alla conferenza programmatica di Rimini del 1982, il sostegno all’innovazione e al made in Italy, il sostegno a un capitalismo industriale e non finanziario costituiscono pietre miliari che rappresentano ancora oggi un punto di riferimento per una cultura riformista di governo.

Ma la sinistra italiana non sembra andare in quella direzione. 

Si pensi ad esempio al referendum indetto dalla CGIL e sottoscritto dalla segretaria del PD Elly Schlein sul Job Act, una misura adottata dal Governo Renzi, allora leader del PD, e sostenuta da tutti i maggiorenti di quel partito che oggi si sono pentiti e appiattiti sulle posizioni massimaliste della  segretaria. Quella misura (il Job Act) conteneva tanti aspetti innovativi e, certamente, ha avuto effetti positivi sul mercato del lavoro aumentando significativamente i livelli occupazionali. Ma tant’è…

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Craxi aveva dimostrato che il massimalismo anche in termini di politiche sociali e del lavoro non paga.

L’accordo di san Valentino sulla sterilizzazione degli effetti inflazionistici della scala mobile, la capacità di far convergere su di esso tutte le forze sindacali (CISL con Pierre Carniti, UIL con Benvenuto e componente socialista della CGIL con Ottaviano Del Turco) tranne la componente comunista della CGIL guidata più dalla politica di Berlinguer che dalla saggezza dialogante di Lama non fu un piacere fatto agli industriali come ancora oggi sostiene Cofferati. Al contrario consentì, grazie anche alla vittoria al referendum da cui il PCI uscì sconfitto, di domare un’inflazione a due cifre che, come è noto a tutti, è la tassa più iniqua perché colpisce i meno abbienti.

In fondo l’intervento di Cofferati su Craxi, pubblicato dal ‘Fatto Quotidiano’ pochi giorni fa, che nega ogni valore a quella stagione politica è la conferma della tesi di questo articolo relativa all’incapacità della sinistra post-comunista di riconoscere i propri errori e di comprendere la storia e la realtà.

Per fortuna le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, pur proveniente da un’area politica, quella della sinistra democristiana mai tenera con il leader socialista, ancora una volta, rappresentano uno straordinario punto di riferimento e un giusto omaggio alla figura di Craxi e alla sua famiglia.

“Interprete autorevole della nostra politica estera europea ed atlantica, mediterranea e sostenitrice dello sviluppo dei Paesi più svantaggiati, aperta al multilateralismo. Lungo queste direttrici ha affrontato passaggi difficili, rafforzando identità e valore della posizione italiana. Un prestigio che poi gli venne riconosciuto con incarichi di rilievo delle Nazioni Unite. Le politiche e le riforme di cui si fece interprete sul piano interno determinarono cambiamenti che incisero sulla finanza e la competitività del Paese, sugli equilibri e sulle prospettive di governo”.



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