Dagli Usa doccia fredda per lo zar, ma «alla fine Trump dovrà negoziare con noi»

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di
Marco Imarisio

Il presidente della Commissione esteri della Duma: «Il presidente ha confermato la disponibilità al dialogo, ma deve essere paritario»

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«A proposito, Sergei, non è oggi l’insediamento del nuovo presidente americano?» Appena tre giorni fa. Con una domanda retorica e solo in apparenza casuale rivolta al suo ministro degli Esteri, collegato via video come tutti gli altri partecipanti alla riunione del Consiglio di sicurezza non per caso convocato proprio di lunedì, come non accadeva da mesi, Vladimir Putin aveva introdotto il tema dell’avvicendamento alla Casa Bianca, che sarebbe avvenuto di lì a poche ore. 

Dopo la risposta affermativa di Sergei Lavrov, il presidente russo aveva letto una dichiarazione evidentemente preparata da prima, con la quale era diventato il primo leader mondiale in ordine di tempo a fare gli auguri a Donald Trump. I toni, mai così concilianti in epoca recente. Dal Cremlino, era difficile attendersi un benvenuto più caloroso di questo. Il giorno dopo, sui quotidiani moscoviti erano apparsi commenti che celebravano la strategia della gentilezza messa in atto da Putin, paragonata addirittura alla svolta dialogante di Kruscev dopo la fine della fase più acuta della Guerra fredda. 




















































L’aspettativa nei confronti del nuovo inquilino della Casa Bianca, che da sempre si professa ammiratore del suo omologo al Cremlino, è alta. Come dimostra l’anticipo della riunione del Consiglio di sicurezza. Per quanto vale, ne è anche prova la sterzata degli ultimi mesi data dai talk show fedelissimi dell’attuale verticale del potere, che avevano espunto la parola Usa dalle loro invettive verso l’Occidente, preferendo concentrarsi sull’Europa e sul desiderio di bombardare le sue capitali. Anche perché persino i media russi riconoscono che nell’entourage stretto di Putin sono sempre più numerose le voci che provano a persuaderlo del fatto che la Russia ha bisogno se non della pace, di un armistizio duraturo, soprattutto per ragioni economiche. 

Lo schiaffo di Trump a Putin è una doccia fredda non del tutto inattesa. Nei giorni scorsi, politici e media russi, avevano messo in guardia sull’imprevedibilità del nuovo presidente. Adesso, ne prendono atto, anteponendo un pragmatismo calcolato alla loro retorica incendiaria. Konstantin Kosachev, senatore e vicepresidente del Consiglio di Federazione, è convinto che la minaccia di nuove sanzioni sia essa stessa la prova della volontà di negoziare con la Russia. «Per Trump, la fine del conflitto è una priorità. Lui palesemente vuole evitare la “trappola Nixon” preparata dal suo predecessore che gli ha lasciato in eredità una specie di Vietnam. Prima o poi, dovrà passare da una comunicazione basata sulla forza a una comunicazione di buon senso. Ora non è il momento, perché intorno a lui tutti gli stanno propinando l’idea che ogni concessione a Mosca significherà la sconfitta dell’Occidente, della stessa America, e sua personale. Ma senza intese con la Russia, Trump non otterrà nulla. Quindi si dovrà trovare il modo di dialogare». 

A vederla da Mosca, sembra essere soprattutto una questione di buone maniere. Non ci si approccia così a Putin. Lo dice anche Leonid Slutsky, presidente della Commissione esteri della Duma, che parlando con l’agenzia statale Ria Novosti fa un po’ l’offeso. «Il nostro presidente ha confermato la disponibilità al dialogo, ma deve essere un dialogo paritario e di reciproco rispetto. Trump per ora lancia minacce, ma non propone cose concrete per uscire dalla crisi ucraina, limitandosi a minacciare. Noi invece seguiremo con attenzione le sue scelte, ma valuteremo solo iniziative reali». Mikhail Rostovskij, editorialista del Moskovskij Komsomolets che ha una certa consuetudine con Putin, scrive che la minaccia di nuove sanzioni è la conferma dell’esistenza di contrasti «anche molto profondi» tra Russia e Usa. Ma è convinto che alla fine prevarranno gli interessi comuni del Cremlino e della nuova Casa Bianca. «Ben presto prenderà il sopravvento la “chimica personale”, la loro stima reciproca, l’accettazione reciproca del fatto che l’oppositore è un “cool guy”, l’istintiva simpatia tra i due». 

Sembra più un auspicio che una previsione. Così come la galassia ultranazionalista, di recente molto silenziata sui media ma ben diffusa nel Paese, si augura che la dialettica rimanga allo stadio muscolare. «Con le sue brusche parole» scrive il sito Tsargrad di proprietà del cosiddetto oligarca di Dio Konstantin Malofeev, «Trump ha fatto affondare definitivamente il “partito della pace”, cosa che di sicuro non è un male».

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22 gennaio 2025 ( modifica il 22 gennaio 2025 | 23:26)

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