«In Veneto la contaminazione umana da Pfoa più grande a livello mondiale»

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I tre capisaldi del movimento di Casale Monferrato nella lotta all’Eternit sono stati da sempre giustizia, salute e bonifica. Tre aspetti che non possono vivere slegati a dimostrazione di come la battaglia vada oltre le aule dei tribunali. In questa lunga e dolorosa storia, il peso delle lobby pro-amianto è stato un freno, uno dei principali ostacoli. Compreso quel condensato di intrecci tra scienza, giurisprudenza e interessi economici, che finisce per rendere le vittime meno visibili. Certo, la storia non si ripete mai eguale, ma alcuni paradigmi non cambiano e in un mondo ancor più globalizzato possono essere più pervicaci. Così è per il veleno del XXI secolo, i Pfas.

I PROCESSI IN CORSO IN ITALIA sono ad Alessandria e a Vicenza. Nel primo, sul banco degli imputati ci sono ex dirigenti dello stabilimento Solvay (oggi Syensqo) di Spinetta Marengo, accusati di disastro ambientale colposo: le difese stanno provando la strada dei risarcimenti delle parti civili per farle così uscire dal processo. A Vicenza, il processo a Miteni è in via di conclusione. Il disastro provocato dall’industria chimica di Trissino ha causato un gigantesco inquinamento della falda acquifera: 350 mila cittadini coinvolti e 30 comuni in zona rossa. Quindici manager sono chiamati a rispondere di diversi capi d’accusa, tra cui disastro ambientale e disastro doloso (i danni alla salute umana non sono entrati nei capi di imputazione). A fine novembre, in una delle ultime udienze, i due consulenti della difesa – i professori universitari Paolo Boffetta e Claudio Colosio – in una complessiva minimizzazione degli effetti avversi derivanti dall’esposizione ai Pfas sono incappati in un «grossolano errore». Ne parliamo con Mario Saugo, medico di sanità pubblica, già responsabile del Servizio epidemiologico regionale, membro della commissione Ambiente e salute dell’Ordine dei medici di Vicenza, coordinata da Enrico Ioverno.

Dottor Saugo, cosa è successo in tribunale all’udienza del 28 novembre durante il controesame dei consulenti scientifici dell’azienda Miteni?
I consulenti hanno predisposto una serie di slide, con una loro valutazione dei rischi per la salute umana nell’area coinvolta tra le province di Verona, Vicenza e Padova, da cui risulterebbe che la popolazione ha poco o nulla da temere per l’esposizione ai Pfas, nonostante il Pfoa (uno dei composti della famiglia dei Pfas, ndr) sia stato classificato come cancerogeno dall’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro (Iarc). Secondo l’ultima diapositiva, descritta come un «esperimento», bere due litri di acqua al giorno con 1.173 nanogrammi per litro di Pfoa rientrerebbe «nei limiti protettivi» stabiliti dall’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare). L’«esperimento» ha, però, considerato soltanto l’introito giornaliero assoluto e non il peso corporeo. I valori fissati da Efsa (4.4 ng/kg di peso corporeo/settimana) sono 53 volte più bassi per l’adulto di 70 kg che beve due litri di acqua e 186 volte più bassi per il bambino di 10 kg che beve un litro d’acqua. Bere per diversi anni acqua inquinata con 1.173 nanogrammi per litro di Pfoa porta a valori di Pfas nel sangue cento volte più alti di quelli del resto dei cittadini veneti. Hanno fatto un errore, se così lo vogliamo chiamare, inammissibile per qualsiasi studente di medicina o biologia. Questo dà da pensare, visto che i due consulenti sono certamente dei luminari. In particolare il professor Boffetta è un epidemiologo di fama internazionale, attualmente ordinario a Bologna. È stato a capo dell’unità di Epidemiologia ambientale della Iarc, poi negli anni successivi è diventato consulente di molte aziende, anche in altri processi celebrati in Italia. Al di là dello specifico episodio, quello che è successo evidenzia un problema più grande e complesso.

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Perché chiama in causa le questioni relative ai conflitti d’interesse tra scienza e industria?
C’è un problema di credibilità professionale per scienziati che negano sistematicamente conclusioni condivise da gran parte della comunità scientifica per avvalorare le tesi difensive dei committenti, in questo caso le industrie chimiche. Intendiamoci, fare i consulenti per l’industria è un lavoro legittimo, ma pone anche un tema di credibilità giudiziaria: gli impatti dei conflitti d’interesse sulla giustizia possono essere pesanti. Toccherà al giudice valutarli. Quel giorno, dopo che l’«incongruenza» è stata evidenziata dall’avvocato di parte civile Matteo Ceruti, c’è stato grande imbarazzo e il professor Colosio, che presentava la slide dell’«esperimento», è stato costretto in aula ad ammettere l’«errore». Penso ci sia stata anche una presa di consapevolezza da parte di tutta la Corte. Il caso veneto è l’episodio documentato di contaminazione umana da Pfoa più grande a livello mondiale.

Quali sono le vie di diffusione dell’inquinamento nell’area e com’è l’attuale situazione?
Il veicolo principale è l’acqua, in particolar modo potabile, e rispetto a questo c’è stato un intervento importante e tempestivo di filtrazione (estate 2013) e doppia filtrazione (autunno 2017) da parte degli enti gestori degli acquedotti. Ora, fortunatamente quell’acqua con 1.173 nanogrammi per litro di Pfoa non ce la dà più da bere nessuno. C’è una questione ancora aperta sul consumo gli alimenti locali da parte dei residenti. Si tratta di persone che, avendo bevuto per decenni acqua fortemente inquinata, hanno accumulato dosi importanti di Pfoa e Pfos e il consumo esclusivo e continuativo di alimenti contaminati può ritardare il processo di eliminazione di Pfas dal loro organismo, allungandolo dai tre ai cinque anni. Questo non è invece un problema per i consumatori che non hanno mai vissuto lì.

Miteni è stata dichiarata fallita nel 2018. Qual è stato il periodo di maggior inquinamento da parte dell’azienda?
Su questo non abbiamo una competenza professionale. Leggiamo nella ricostruzione di Arpav (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Veneto) che l’inquinamento da Pfas dovrebbe essere arrivato nella centrale acquedottistica intorno al 1984. Come medici ricordiamo, invece, bene il precedente e grave episodio di inquinamento del 1977, causato da differenti composti fluorurati prodotti dalla medesima industria chimica: già allora erano stati chiusi tre acquedotti nella zona arancione. Ora l’azienda ha chiuso e l’impianto è stato spostato a migliaia di chilometri, in India, a sud di Mumbai. L’inquinamento non è stato fermato, è stato solo trasferito.



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