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Domani 24 gennaio si celebra la Giornata Internazionale dell’Educazione. Proclamata dall’UNESCO nel 2018 e giunta ad appena la settimana edizione, l’iniziativa è stata individuata come centrale per rilanciare il ruolo chiave dell’educazione nel raggiungimento della pace e dello sviluppo sostenibile. Una precondizione quasi: senza un’istruzione di qualità ed equa, i Paesi non riusciranno a raggiungere l’uguaglianza di genere né a rompere il ciclo di povertà che sta lasciando indietro milioni di bambini, giovani e adulti. I numeri? 250 milioni di bambini e ragazzi non frequentano la scuola; 763 milioni di bambini e adolescenti non sanno leggere e fare compiti di matematica di base; meno del 40% delle ragazze nell’Africa sub-sahariana completa la scuola secondaria inferiore e circa 4 milioni di bambini e giovani rifugiati non vanno a scuola.

Quest’anno l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, la Comunicazione e l’Informazione dedica la Giornata internazionale dell’educazione 2025 a “Intelligenza artificiale e istruzione: preservare l’azione umana in un mondo di automazione”. Chatgpt, Copilot, Gemini, Jasper sono solo alcuni dei programmi maggiormente conosciuti di AI e che stanno prendendo sempre più piede anche in Italia. Dinanzi a una pressante accelerazione dell’innovazione tecnologica e a programmi di intelligenza artificiale sempre più sofisticati, l’Agenzia dell’ONU solleva l’esigenza di riflettere sul potere che ha l’istruzione di fornire agli individui e alle comunità gli strumenti per orientarsi, comprendere e influenzare il progresso tecnologico. All’educazione è dato il ruolo di promuovere un equilibrio tra innovazione tecnologica e valori umani e a come elevare l’azione umana. La domanda che ci poniamo è: come possiamo educare le generazioni future e a gestire questa sfida? L’educazione deve diventare un mezzo per preparare i giovani a vivere in un mondo in cui la tecnologia è pervasiva, ma deve essere sempre accompagnata da un forte senso di responsabilità etica e sociale.

È dinanzi a questo contesto globale e iper-connesso che il ministro italiano dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, propone per la piccola Italia di chiudersi ancora più a riccio, proponendo la facoltà di studiare il latino alla scuola secondaria di primo grado (dinanzi agli iscritti al ribasso del Liceo Classico e dello Scientifico con latino ci sarebbe davvero da chiedersi da dove venga la richiesta), di dare centralità allo studio dell’epica e alla lettura della Bibbia e di sostituire la storia del mondo (eurocentrica) a quella italica. Una ricetta che di certo non risponde alle esigenze che emergono per formare cittadini consapevoli e attivi e tantomeno per uomini e donne richiesti sul mercato del lavoro. Una visione miope di futuro ma propriamente creata per alimentare un mito dell’Italia dei valori e della tradizione nazionale dinanzi a un mondo che sempre meno si conosce, e si vuole conoscere, ma da cui si dipende completamente in un sistema globalizzato in tutti i settori. 

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Piuttosto sarebbe da lavorare su ricette per far fronte alla povertà educativa: l’Italia risulta il 5° Paese in Unione Europea per dispersione scolastica, – dopo Romania (16,6%), Spagna (13,7%), Germania (12,8%) e Ungheria (11,6%), – con il 10,5% di minorenni che abbandona la scuola e concentrazioni particolarmente elevate in alcune zone, come la Sardegna e la Sicilia dove l’incidenza supera il 17%. La povertà educativa si riproduce per via intergenerazionale nei ceti più svantaggiati. Per questa ragione nel 2016 era stato creato il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, su impulso di Fondazioni di origine bancaria e grazie a un’intesa di governo (guidato da Matteo Renzi) e terzo settore. E, a sorpresa secondo le parole del suo presidente Marco Rossi-Doria, la Legge di bilancio 2025 non ha rinnovato il Fondo. O meglio, il suo funzionamento sulla base di un meccanismo per cui il Governo riconosce alle fondazioni di origine bancaria un credito di imposta. In questi anni il Fondo gestito dall’impresa sociale Con i bambini ha raccolto 800 milioni di euro, di cui 466 impegnati sui progetti già realizzati o già approvati che mirano a contrastare la dispersione scolastica, le disparità nelle opportunità educative, per garantire l’accesso allo sport, alla cultura, al benessere psicologico, il sostegno della genitorialità e la costruzione delle comunità educanti. Rossi-Doria sintetizza la questione di base: “Credo che ci sia margine per dare continuità al fondo, in una forma che dovrà essere individuata. Ma c’è un problema di base che non può essere messo dietro alle ragioni tecniche ma che deve stare sempre davanti ad esse. Il fatto che siamo un paese ricco, in squilibrio demografico gravissimo, con quasi 1 milione e 400mila minori che vivono in povertà assoluta e altri 2,2 milioni in povertà relativa. Significa che un quarto dei nostri concittadini più giovani, anche piccolissimi, “parte male”, già candidato a essere escluso dai diritti, con un futuro ipotecato, in un tempo della storia in cui la conoscenza e le capacity sono fondamentali per la tenuta dell’economia. Questo è un problema che dovrebbe interessare trasversalmente tutta la politica e tutto il Paese, sia in punta di diritto sia per la sostenibilità sociale ed economica. È un problema che merita di essere affrontato con una politica strutturale”.

Questo è il tema di base dell’educazione in Italia. Ma anche l’individuazione di docenti per insegnare il latino alle medie potrebbe di certo esserlo!

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all’interno dell’Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.





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