Jenin, ospedali senza elettricità e campo isolato, civili in fuga

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Ieri mattina a Kfar Saba gli abitanti del quartiere Tel Hai non credevano ai loro occhi. Hanno visto fermo in mezzo alla strada un pick-up di colore bianco con a bordo due presunti uomini di Hamas armati, in uniforme e il volto coperto. Il pensiero è andato subito al 7 ottobre 2023, quando auto dello stesso colore giravano per le strade di Sderot e di villaggi e kibbutz a ridosso di Gaza durante l’attacco di Hamas nel sud di Israele. Però ieri a Kfar Saba, cittadina sulla linea verde con la Cisgiordania, non c’era Hamas. Quelli sul pick-up erano solo manichini usati per la «mostra» organizzata in strada dal movimento di destra «Riservisti-Generazione della vittoria» contro la tregua a Gaza e a favore dell’attacco anche ai palestinesi in Cisgiordania.

Su X la colona Ayelet Lash, astro dell’ultranazionalismo, ha approvato l’iniziativa. «Abbiamo visto solo una frazione di ciò che potrebbe accadere se Israele non agirà per catturare Jenin, espellere i suoi terroristi e stabilirvi un insediamento ebraico». Quindi ha aggiunto «O si scatena una guerra totale, oppure i terroristi trascineranno le figlie di Kfar Saba a Jenin». Hanno difeso la provocazione i «Riservisti-Generazione della vittoria» che rappresentano migliaia di soldati e ufficiali che spingono per riprendere l’offensiva contro Gaza e in Libano. In quest’ultimo caso le pressioni potrebbero avere un esito già nei prossimi giorni. Israele, riferivano ieri i media, non intende ritirarsi dal Libano del sud dopo la scadenza della tregua, il 27 gennaio, e vorrebbe uno slittamento di un mese a rischio della ripresa della guerra. Il movimento sciita Hezbollah ha chiesto il rispetto dei tempi stabiliti.

Benyamin Netanyahu ormai ascolta solo la voce del ministro delle Finanze Smotrich che minaccia di far cadere il governo se non riprenderà l’offensiva a Gaza. Eppure, il 67% degli israeliani, stando a un sondaggio, è a favore della tregua e così l’alleato Donald Trump che ieri a Davos ha esaltato l’intesa che avrebbe contribuito a realizzare. Parole che forse nascondono l’intenzione di appoggiare il progetto di annessione della Cisgiordania a Israele. Un pericolo che due giorni fa ha rilevato anche il capo dell’Onu Guterres.

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L’avvio, due giorni dopo l’inizio della tregua a Gaza dell’operazione «Muro di Ferro» contro Jenin, si deve anche alla decisione di Netanyahu di placare in ogni modo la rabbia di Smotrich. E l’esercito ora sta stringendo Jenin in una morsa. Le intimazioni agli abitanti a lasciare il campo profughi della città sono simili a quelle lanciate alla popolazione di Gaza. «Vogliono trasformare Jenin in un ammasso di macerie come Jabaliya», dicono i profughi temendo che dopo le evacuazioni arriveranno le demolizioni delle case e il campo subirà la stessa sorte del 2002, quando fu in buona parte distrutto dalle ruspe militari israeliane. I palestinesi uccisi a Jenin da martedì sono diventati 12, in maggioranza civili. Israele afferma di aver «eliminato uomini armati» e di portare avanti una «operazione preventiva contro il terrorismo». Ieri prima dell’alba, due palestinesi sono stati uccisi a Wadi Burqin. Il portavoce militare ha detto che erano gli autori dell’agguato nel villaggio di Al-Funduq in cui rimasero uccisi tre coloni israeliani.

Gli ingressi del campo profughi di Jenin sono stati chiusi da centinaia di soldati con i blindati mentre le ruspe militari rendono inservibili strade e infrastrutture civili. Ieri è stata interrotta l’elettricità nel campo. Coinvolta tutta l’area tra l’ospedale governativo e quello specializzato «Ibn Sina» che hanno dovuto far ricorso alle riserve di carburante per garantire l’alimentazione elettrica nei reparti di pronto soccorso, dialisi e terapia intensiva. Proseguono anche i rastrellamenti: quelli dell’esercito israeliano – che afferma di aver catturato «numerosi terroristi» – e quelli dell’Autorità nazionale di Abu Mazen. La Brigata Jenin (Jihad) accusa l’Anp di aver arrestato un suo combattente mentre Israele occupa la città. A Jenin tra qualche giorno potrebbe tornare – Israele però vorrebbe deportarlo – Zakaria Zubeidi, una delle icone della seconda Intifada. Zubeidi, che nel 2021 fu autore di una clamorosa evasione dal carcere di Gilboa, fa parte dell’elenco di prigionieri palestinesi che saranno scarcerati in cambio della liberazione domani di quattro ostaggi israeliani a Gaza.

La Cisgiordania intanto è sempre più una gabbia fatta di posti di blocco israeliani. Il quotidiano Haaretz scrive che questa rigida chiusura – resa possibile paradossalmente proprio dagli Accordi di pace di Oslo del 1993 e che rende un inferno la vita quotidiana di milioni di palestinesi – andrà avanti per tutta la durata (42 giorni) della prima fase della tregua con Hamas. Le chiusure hanno causato la morte di una donna, Iman Jaradat, di Sair (Hebron), colpita da infarto e bloccata dai soldati al posto di blocco di Beit Ainun mentre veniva portata in ospedale. I coloni israeliani insediati in Cisgiordania invece possono muoversi senza problemi, a conferma dell’apartheid che domina nei Territori occupati.



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