CARLO ANDREOTTI * AUTONOMIA E PARTITI: «MA IL PATT ESISTE ANCORA? IL CONGRESSO PARTE ZOPPO»

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allego quanto oggi pubblicato sul quotidiano “ilT”, anche per consentire la visione ai lettori di Opinione.

Ma il Patt esiste ancora? Il congresso parte zoppo.

Il Patt domenica 2 febbraio celebrerà il proprio congresso. Ma il Patt esiste ancora? E’ questa la domanda, neppure troppo provocatoria, che mi sento rivolgere tutte le volte che il discorso cade sull’argomento. La risposta, purtroppo, non può essere che una: no, il Patt non esiste più. Almeno quel Patt che ogni Trentino riconosceva al solo pronunciarne il nome. Che tutti sapevano quale erano  i suoi principi ideali, il suo credo politico, il suo programma, il suo guardare con convinzione a Nord, il suo essere ancorato laicamente alla dottrina sociale della Chiesa.

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Era un Patt consapevole della propria storia e delle proprie radici, ben conscio che senza di esse ogni pianta è destinata a morte rapida. Era un Patt (Pptt-UE) nato dalle ceneri dell’Asar, riconosciuto e universalmente percepito tanto che in molti, ironizzando sul suo acronimo, lo definivano il “Partito Per Tornar Tedeschi”. Era un Patt orgoglioso e fiero delle proprie radici, autonomista fino al midollo, che non guardava in faccia a nessuno pensando solo a tutto quello che poteva essere utile al Trentino e alla sua autonomia. Era un Patt che politicamente contava, e molto, anche stando all’opposizione.

Che era capace di condizionare le scelte della maggioranza dalla quale era rispettato e temuto. Si pensi alle battaglie contro la ricerca dell’uranio in val Rendena, ai cortei contro gli insediamenti inquinanti, alle marce organizzate contro la Samin-Samatec industria inquinante nella piana Rotaliana, dove al suo posto oggi sorgono maestose le cantine di Mezzocorona. Era un Patt che riusciva a imporre riconoscimento e presenza del proprio sindacato agricolo, spina nel fianco in un feudo da sempre democristiano. Un Patt che si batteva contro gli espropri riuscendo a limitarli e a garantire agli espropriati di ieri, di oggi e di domani il giusto compenso per l’ esproprio subito.

Era un Patt che non aveva pudore a scendere in piazza per manifestare contro la riforma nazionale dell’insegnamento dell’ora di religione, non per bigottismo, ma perché la legge garantiva che “alle Regioni di confine” si sarebbe applicata la normativa precedente. Normativa che venne applicata alla sola Provincia autonoma di Bolzano, riconosciuta “Regione di confine”, e non alla sua gemella Provincia autonoma di Trento evidentemente non riconosciuta tale. Era un Patt che aveva il coraggio delle proprie idee, che non esitava a partecipare da protagonista nel settembre 1991 al raduno del Brennero (in contrasto con la stessa Svp) per sostenere il diritto all’autodeterminazione dei popoli.

Era un Patt che in maggioranza, nonostante la contrarietà del governo nazionale,  il 19 ottobre 1995 apriva con Bolzano ed Innsbruck l’ufficio di rappresentanza a Bruxelles dell’Euregio Trentino tirolese da lui stesso promossa e sostenuta fronteggiando strumentalizzazioni di parte e la stessa contrarietà del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Altri tempi e altre regole si dirà. Forse, ma la sostanza del ragionamento rimane valida e attuale.

Il Patt ha cominciato a scomparire dalla scena politica da quando, sconfessando la propria indole, e facendo oltraggio al proprio orgoglio, ha abbracciato il credo, tutto democristiano, che in politica per contare bisogna sempre stare con chi vince. Cosa che implica rinunciare a vincere in proprio, accettando a priori di mettersi al servizio del vincitore.

Proprio da quello sciagurato ragionamento (se si vuol contare bisogna stare col vincitore) è derivata una diaspora che ha portato a una inevitabile perdita di identità e a una frantumazione del movimento autonomista oggi diviso fra Patt, Autonomisti popolari (Walter Kaswalder) , Casa Autonomia Ee (Demagri, Dallapiccola), Identità Autonomista Tirolese (Sergio Bressan), Risveglio Tirolese (Paolo Monti), Primavera dell’Autonomia (Fausto Valentini) , oltre agli autonomisti eredi del compianto Paolo Primon, ai recenti fuoriusciti dal Patt Roberto Stanchina e Alberto Pattini,  all’ex deputato Mario Ottobre, al “battitore libero” Sergio Festi e altri ancora. Un pulviscolo di Stelle Alpine che il Patt ha favorito, che non ha cercato di arginare e che ora non fa nulla per rimettere insieme i cocci, convinto che “fare campagna acquisti” come si fosse al mercato calcistico, possa fermare l’emorragia di uomini e di voti.

Il risultato è che il Patt come soggetto politico,  non ha più una propria forte identità, non è più riconoscibile e quel che è paggio non ha più propri rappresentanti diretti in consiglio provinciale e neppure in quello della città capoluogo. Eppure proprio il citato “pulviscolo autonomista” è la dimostrazione provata che gli autonomisti in Trentino ci sono ancora e sono tantissimi.

Ai molti che hanno scelto altri lidi (Lega compresa),  si aggiungono quelli che soffrono in silenzio, che rimangono fedeli al simbolo delle due Stelle Alpine sperando in tempi migliori. Purtroppo non si vede una vera volontà di unificazione. Lo stesso tentativo in corso fra Patt e Autonomisti popolari di Kaswalder sembra avviato ad abortire dato che la logica sottesa alla volontà di unificazione (questa la constatazione) si è dimostrata nei fatti volontà di “assorbimento”, senza quel riconoscimento della pari dignità politica che andrebbe invece riconosciuta a tutti se si aspira ad una unificazione solida e duratura e non di facciata.

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Rimango convinto che il compito fondamentale  dell’imminente congresso delle Stelle alpine, al di là di tesi e programmi, sia soprattutto quello di trovare una strada vera e percorribile per riportare le innumerevoli pecorelle (sconcertate, disilluse, ma non smarrite) sotto un unico tetto, mettendo al primo posto assoluto la scelta identitaria. Questo significa un tornare alle origini, riabbracciare i propri principi fondanti pur tenendo ben presente che stiamo superando il primo quarto del terzo millennio.

L’identità non è certo tutto, ma senza identità non si va da nessuna parte. E l’identità del Patt non può essere altro che Autonomista e Trentino Tirolese, con la A e le due T maiuscole, una identità che deve alimentarsi ed essere alimentata dentro l’Euregio trentino tirolese, della quale il Patt si ritiene giustamente un padre fondatore e che considera una sorta di polizza assicurativa per la stessa sopravvivenza della nostra autonomia. Un Euregio da trasformare finalmente in un vero e proprio organismo politico. Le sue politiche dovrebbero avere un unico comandamento: promuovere e difendere la montagna per farla vivere, per  tenere la gente in montagna, per garantirne e valorizzarne la sua produttività (ambiente, energia, turismo, agricoltura, artigianato,) e dotarla di efficienti e moderni servizi di vicinato e di solidarietà (sanità, cooperazione, scuola).

La ricetta è semplice, ma difficile da realizzare, soprattutto se manca una vera volontà unificante. Ci si deve rendere conto però che se non si comincia non si andrà da nessuna parte arrivando all’estinzione, all’assurdo che finiremo per avere una Provincia autonoma senza un partito autonomista, vera contraddizione in termini. Ci vogliamo provare? Vogliamo provare, cari congressisti, a rovesciare il tavolo per il bene del partito delle gloriose Stelle alpine, ma soprattutto del nostro Trentino e della nostra Autonomia?

 

*
Carlo Andreotti
Già segretario e presidente del Partito autonomista trentino tirolese (Patt)



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