Così Metà ha favorito la campagna anti aborto di Donald Trump

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Durante la campagna elettorale, il neo eletto presidente degli Stati uniti Donald Trump aveva promesso che avrebbe lasciato ai singoli stati la decisione sull’aborto, che «ha diviso gli Stati uniti per 52 anni». Eppure l’accesso a servizi di salute riproduttiva online viene già ostacolato in tutto il paese, denunciano numerose organizzazioni.

Negli ultimi tre mesi, infatti, Meta, la società madre di Facebook e Instagram, ha oscurato e rimosso contenuti e profili social che forniscono pillole abortive e informazioni sull’interruzione di gravidanza (Ivg).

Gli account bloccati sono stati parzialmente ripristinati solo dopo che il New York Times ha chiesto chiarimenti all’azienda.

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Cosa è successo

Negli Stati uniti prescrivere online e inviare per posta mifepristone e misoprostolo, farmaci utilizzati per l’interruzione farmacologica della gravidanza, è perfettamente legale secondo quanto stabilito dalla Food and drug administration, l’agenzia federale Usa responsabile della protezione della salute pubblica. Grazie poi a “shield laws”, leggi statali “scudo” che proteggono sia i fornitori di servizi abortivi sia gli utenti, le compagnie che hanno sede in stati dove l’Ivg è permessa possono spedire, senza subire azioni legali, le pillole abortive anche in stati in cui, invece, ci sarebbero restrizioni.

A partire dallo scorso novembre, però, Aid Access, una delle principali organizzazioni no profit fornitrici di pillole abortive del paese, ha segnalato di non riuscire più ad accedere al proprio account Facebook, mentre alcuni post pubblicati sulla pagina venivano rimossi. Contemporaneamente sono stati oscurati alcuni contenuti pubblicati dall’organizzazione su Instagram, finché la settimana scorsa l’account di Aid Access è stato sospeso anche su questa piattaforma. Altri fornitori di pillole abortive, come Women Help Women e Just the Pill, hanno riportato di aver subito limitazioni simili nello stesso periodo.

Quando il Nyt ha contattato Meta, un portavoce ha risposto che le azioni intraprese erano in linea con gli standard della community relativi a “armi, droghe e beni regolamentati” e che, in questo caso, vietano la vendita di farmaci sulle piattaforme dell’azienda senza la dovuta certificazione. Il portavoce, però, ha ammesso che in questa occasione si sarebbe trattato di «un’applicazione eccessiva» delle politiche aziendali.

Ad essere oscurati, però, sono stati anche enti che fornivano informazioni sanitarie online. Hey Jane, un’organizzazione che offre assistenza medica virtuale per l’aborto farmacologico, ha infatti riportato che il proprio account non appariva tra i risultati della funzione di ricerca di Instagram.

Lo shadow ban, già denunciato una volta da Hey Jane nel 2023, mette a rischio pazienti in cerca di supporto medico urgente, ha dichiarato Rebecca Davis, responsabile marketing dell’organizzazione. «Date le recenti promesse di Meta sulla libertà di espressione, siamo profondamente delusi nel vedere come la piattaforma stia limitando la nostra libertà», ha aggiunto Davis.

L’aumento dei ban e le conseguenze del rapporto Trump-Meta

Già l’estate scorsa Amnesty International aveva lanciato una petizione per denunciare l’alto numero di rimozioni di contenuti legati alla salute riproduttiva, spesso senza giustificazioni adeguate, su social media come Facebook, Instagram e TikTok.

L’aumento di queste rimozioni ha avuto un’impennata dal 2022, quando la Corte suprema Usa ha revocato la storica sentenza del 1973 Roe v. Wade che garantiva il diritto costituzionale all’aborto a livello federale. Venerdì, durante la loro partecipazione alla Marcia per la vita di Washington, la più grande manifestazione contro l’Ivg del paese, Trump e il suo vice presidente JD Vance hanno definito la decisione della Corte, resa possibile anche grazie alle nomine giudiziarie effettuate durante il primo mandato Trump, una delle «promesse mantenute» dalla presidenza repubblicana.

«È innegabile il contraccolpo che la libertà delle donne e la loro capacità di prendere delle decisioni consapevoli hanno subito negli Stati Uniti nel 2022», dice a Domani Sara De Vido, professoressa di Diritto internazionale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia ed esperta del rapporto tra tecnologia e tutela dei diritti delle donne. De Vido spiega, infatti, che le pratiche cross border di diffusione di informazioni false, oltre che di censura online di chi fornisce le pillole, hanno ripercussioni evidenti anche negli stati federali che teoricamente non limiterebbero i servizi di salute riproduttiva.

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Le ultime censure online sono state denunciate, però, quando i rapporti tra Meta e il nuovo governo Usa si sono rafforzati. A gennaio l’azienda ha infatti nominato come responsabile degli affari globali Joel Kaplan, dirigente politico repubblicano, e ha eletto nel suo consiglio di amministrazione Dana White, Ceo di Ultimate Fighting Championship e amico intimo di Trump. Meta ha poi donato 1 milione di dollari al fondo per la cerimonia di insediamento di Trump.

Secondo Celene Fuller, ricercatrice di Sociologia dell’Università del Nevada, specializzata nelle esperienze di stigma legate alla salute sessuale e procreativa, il diritto all’informazione online è una pietra miliare dei diritti umani soprattutto per le persone più vulnerabili, che non hanno possibilità legali, fisiche o finanziare per godere dei servizi di salute riproduttiva. «E se la moderazione dei contenuti continuerà a penalizzare sproporzionatamente e sistematicamente gli individui in condizioni meno privilegiate, gli Stati uniti potrebbero andare incontro a gravi e profonde conseguenze sociali, politiche ed economiche», ha detto a Domani Fuller.

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