La sala dei Busti di Castel Capuano a Napoli è gremita col pubblico delle grandi occasioni, che però sin dalla vigilia si sa non essere benevolo. L’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte d’appello del capoluogo campano, infatti, è il più attenzionato: sul palco c’è il ministro della Giustizia Carlo Nordio e giudici e pm si sono radunati in gran numero ad aspettarlo, rispondendo alla chiamata alla mobilitazione dell’Associazione nazionale magistrati contro la riforma costituzionale della separazione delle carriere. La protesta, infatti, ha previsto che tutti i magistrati si recassero all’inaugurazione in toga, con coccarda tricolore appuntata al petto e la Costituzione in mano da alzare, uscendo poi al momento dell’intervento del ministro o dei rappresentanti del governo.
A Napoli si sono radunati duecento magistrati del distretto, che hanno sventolato la Costituzione al momento dell’inno nazionale e, quando Nordio ha preso la parola, sono tutti platealmente usciti. I consiglieri della Corte d’appello, sul palco, hanno invece tenuto alta la Carta mentre il ministro parlava.
Le parole di Nordio
Nordio, che all’inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione ha rivendicato la riforma, a Napoli non ha potuto che assistere alla mobilitazione contro di lui dei suoi ex colleghi. Quasi colto alla sprovvista e con voce più incerta rispetto al consueto tono, il ministro ha snocciolato i dati numerici dell’abbattimento dell’arrestato anche nel distretto di Napoli, mentre le toghe gli hanno dato le spalle e hanno lasciato l’aula. Poi, rispondendo indirettamente ai manifestanti: «Come ex magistrato, è ingiusto pensare che possa avere come obiettivo l’umiliazione della magistratura», ha detto, applaudito da chi è rimasto in sala. Poi è tornato a difendere la riforma: «Nessun reato di lesa maestà né un vulnus all’autonomia della magistratura giudicante e requirente. Questo è un processo alle intenzioni, un artificio retorico un po’ fantasioso. Ho fatto il pm per essere libero e indipendente, come pensate che voglia farlo smettere di essere tale?», ha detto, facendosi scudo ancora una volta della sua ex professione.
Eppure, da Torino a Palermo passando per Roma e Firenze, la partecipazione alla mobilitazione dell’Anm è stata massiccia e trasversale, con adesioni sia dei giovani magistrati che il ritorno in aula dei pensionati illustri. A Napoli si sono visti l’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti e l’ex ministro della Giustizia Luigi Scotti.
Prima di Nordio, a Napoli il consigliere del Csm Edoardo Cilenti, di Magistratura indipendente, ha parlato «dell’ennesima riforma della giustizia, anzi della magistratura», ricordando il parere critico del Csm sulla separazione delle carriere, sottolineando «il rischio di eterogenesi dei fini». Il suo intervento è stato più volte interrotto dagli applausi dei colleghi. «Il magistrato requirente è un organo pubblico di giustizia, primo garante del principio di eguaglianza», ha detto parlando del ruolo del pubblico ministero, «mai si era messa in dubbio l’unità della magistratura».
La riforma produce «Un quadro di esplicita sfiducia e complessivo svilimento».
L’adesione
Ovunque i rappresentanti della magistratura hanno espresso critiche pesanti alla riforma e soprattutto al clima di sfiducia generato dal governo nei confronti delle toghe. Da Roma, la consigliera del Csm Bernadette Nicotra, di Magistratura indipendente, ha parlato di «una riforma che non dà alcuna centralità alle reali problematiche del mondo della giustizia». A Milano è riecheggiato lo slogan di Francesco Saverio Borrelli «Resistere, resistere, resistere», evocato dal togato del Csm, Dario Scaletta. A Torino, il presidente della Corte d’Appello Edoardo Barelli Innocenti ha ricordato che «se i giudici non devono fare politica, i politici non devono fare i giudici. Anche se, talvolta, verrebbe voglia di dire: venite voi a fare il nostro lavoro nelle condizioni in cui lasciate i nostri uffici». Da Firenze, il procuratore generale Ettore Squillace Greco ha parlato di «clima di rancore indotto, di toni sempre accesi, di distorcenti rappresentazioni dei fatti» in cui «tutti i protagonisti del processo rischiano la delegittimazione».
La mobilitazione riuscita in tutte le corti è stato un buon segnale per la magistratura, in vista però della scadenza più importante: lo sciopero proclamato dall’Anm per il 27 febbraio, che però i più prudenti vorrebbero già ragionare di spostare più avanti. «Scegliere il momento giusto è un obbligo, perché avremo una sola possibilità di farci capire», ragiona una toga moderata. Intanto, oggi si apriranno le urne per il rinnovo dell’Anm, i cui nuovi vertici avranno l’onere di organizzare la nuova mobilitazione.
La risposta della politica
La politica e soprattutto il governo, tuttavia, non hanno subito in silenzio la protesta. Nel tardo pomeriggio una replica è arrivata direttamente dalla premier Giorgia Meloni. «Le proteste sono sempre legittime ma mi rammarica questo atteggiamento dell’Anm», ha detto, aggiungendo che i cittadini hanno scelto il governo con il voto e la riforma è «perfettamente adeguata alla Costituzione». Questo antagonismo «non giova neanche ai magistrati stessi perché quando ci si siede ad un tavolo dei punti d’incontro si trovano».
Molto più ruvido il vicepremier Matteo Salvini, che ha parlato di «pessimo gusto» e «mancanza di rispetto non riconoscere quello che il popolo porta avanti come riforma. I magistrati sono pagati per applicare le leggi, non per contestarle o sovvertirle».
A fare eco alla premier è intervenuto alla cerimonia di Roma il sottosegretario ed ex magistrato Alfredo Mantovano, che alla platea rimasta in sala ha strappato un applauso. Ha lasciato uscire le toghe e poi ha cominciato a parlare, sostenendo che «una chiusura così drastica non fa bene neanche a chi l’ha proposta, abbandonare il tavolo del dialogo non è una manifestazione di forza, semmai di debolezza» e «mi permetto di chiedere alla magistratura italiana di non rifiutare l’invito del governo al confronto, senza pregiudizi».
Identica scena anche a Bari, dove era presente il viceministro Francesco Paolo Sisto. Prima dell’inizio della cerimonia, il segretario generale di Area Giovanni Zaccaro, gli ha consegnato dei dadi in segno di protesta per il sorteggio dei membri del Csm. «Chi non c’è, secondo me, ha sempre torto. La collaborazione istituzionale va mantenuta», ha detto Sisto nel suo intervento.
Certo è che la riforma procede verso l’approvazione senza modifiche, dunque la vera prova del nove sia per il governo che per le toghe sarà il referendum costituzionale. Anticipato, però, da un clima che è già ora di aperto scontro istituzionale.
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