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Cisgiordania. Padre Jubran (parroco): “Jenin è una città sotto assedio”


Mentre a Gaza tacciono le armi, a Jenin, in Cisgiordania, si spara. Il 21 gennaio l’esercito israeliano ha annunciato l’operazione “Muro di ferro” nella città palestinese che ospita il più grande campo profughi della Cisgiordania. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha spiegato che la campagna militare ha come obiettivo “sradicare il terrorismo e rafforzare la sicurezza in Giudea e Samaria”. Ad oggi si contano almeno 12 vittime palestinesi e oltre 50 feriti. La testimonianza al Sir del parroco latino della parrocchia del Ss. Redentore di Jenin, padre Amer Jubran

(Foto AFP/SIR)

Mentre a Gaza tacciono le armi a Jenin, in Cisgiordania, si spara. Il 21 gennaio, infatti, l’esercito israeliano ha annunciato l’inizio dell’operazione “Muro di ferro” nella città palestinese che ospita il più grande campo profughi della Cisgiordania. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha spiegato che la campagna militare ha come obiettivo “sradicare il terrorismo e rafforzare la sicurezza in Giudea e Samaria” (nome biblico che Israele usa per la Cisgiordania, ndr.). Di ieri la notizia che il comandante a Jenin delle Brigate Az ad-Din al-Qassam, l’ala militare di Hamas, si è consegnato all’esercito israeliano nella parte orientale della città. “Muro di ferro” giunge nel mezzo di una serie di violenze commesse da coloni israeliani che nei giorni scorsi hanno assaltato i villaggi palestinesi di Al-Funduk e Jinsafut, nel nord della Cisgiordania, provocando decine di feriti. Da martedì scorso Jenin, considerata il quartier generale di Hamas in Cisgiordania, è oggetto di attacchi combinati da parte di elicotteri, aerei e forze di terra israeliane, Secondo un rapporto dell’Ocha, l’Ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite, sarebbero 12 i palestinesi uccisi dall’inizio dell’operazione a Jenin e almeno 50 quelli feriti. Nel frattempo, centinaia di civili palestinesi hanno lasciato il campo profughi denunciando ordini di evacuazione emanati dall’esercito israeliano che però smentisce tale versione. Il Ministero della Salute (MoH) palestinese ha riferito che “l’ospedale governativo di Jenin è circondato dalle forze israeliane, pazienti, personale medico e accompagnatori sono intrappolati all’interno. Le strade principali per l’ospedale sono state distrutte e le macerie bloccano l’ingresso, impedendo la consegna di cibo, forniture mediche e beni di prima necessità”. Le operazioni militari si sono estese anche nei villaggi vicini di Ti’nnik e Birqin.

Padre Amer Jubran (foto parrocchia Jenin)

“Si spara di continuo”. A confermare al Sir la situazione di tensione a Jenin è padre Amer Jubran, da circa sei mesi parroco latino della città dove risiede una piccola comunità cristiana composta da 80 famiglie, per un totale di circa 400 persone.

“Dal 7 ottobre del 2023 la situazione è peggiorata. È quasi impossibile – afferma – uscire per recarsi in Israele o a Gerusalemme. Israele ha revocato ogni permesso, anche lavorativo, così moltissimi sono rimasti senza un sostentamento”.

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Non è la prima volta che l’esercito israeliano entra in città e nel campo profughi, l’ultima stata ad agosto 2024, con una operazione militare durata 10 giorni che provocò danni anche a strutture parrocchiali. Fatto che spinse il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, a visitare, di lì a poco, la parrocchia per esprimere vicinanza ai fedeli e verificare i danni. “Jenin è una città sotto assedio – racconta padre Jubran che è sempre rimasto al fianco dei suoi fedeli – si sente sparare di continuo e in strada non si vede nessuno. I negozi, scuole, uffici pubblici sono chiusi ed è molto pericoloso uscire. Alcuni parrocchiani hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni perché vicine alle zone dove operano i soldati israeliani che hanno anche distrutto alcune strade usando mezzi meccanici. Questo per impedire alla gente di muoversi. Famiglie della nostra comunità lamentano danni alle loro case”.

“Tutti ci auguriamo che questa campagna militare finisca presto. Vivere qui è già difficile ma adesso sta diventando impossibile. La gente è stanca”.

(Foto parrocchia latina Jenin)

Il parroco mantiene i contatti con tutti i suoi parrocchiani “via telefono” perché, spiega, “è l’unica maniera per sapere se stanno bene e se hanno bisogno di qualche cosa. Sono impauriti dal rumore delle armi e dalle deflagrazioni. Purtroppo, è molto pericoloso uscire, non è possibile andare a trovarli per portare i sacramenti alle persone anziane o ai malati. Di quanto accade tengo aggiornato il nostro patriarca che parla e incoraggia i nostri fedeli. Questo per noi è molto importante perché non ci sentiamo abbandonati, dimenticati”.

Speranza per un accordo anche a Jenin. Quanto accade a Gaza, a Jenin e nei villaggi vicini offre l’occasione a padre Jubran di ricordare che “la violenza chiama violenza, odio chiama odio. Per questo motivo dobbiamo cercare altri modi per risolvere i contrasti. Il dialogo e il negoziato possono dare sicurezza e soluzioni stabili”.

“A Gaza hanno raggiunto un accordo, nutro la stessa speranza per Jenin e la Cisgiordania”.

Una speranza che si nutre anche del significato del Giubileo che, come afferma Papa Francesco, “è un richiamo antico, che proviene dalla Parola di Dio e permane con tutto il suo valore sapienziale nell’invocare atti di clemenza e di liberazione che permettano di ricominciare a sperare”. “In questo anno – dice padre Jubran – Dio ci invita a rinnovare la nostra fede, a invocare il perdono e a cercare la riconciliazione. Sappiamo di non essere soli: ricordiamo quando gli apostoli erano sulla barca in mezzo al lago di Galilea in tempesta e Gesù infonde loro coraggio con la sua presenza. Ieri come oggi Gesù è con noi e ci dona speranza per un futuro di pace. La sofferenza che patiamo non è inutile e servirà alla causa della pace”.





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