di Enrico Tomaselli – 25/01/2025
Fonte: Giubbe rosse
Si discute molto delle continue uscite del neo-presidente Trump, che sono assai spesso confezionate proprio in modo da accendere il dibattito. E certamente, anche al netto del carattere esuberante del personaggio, รจ evidente come – dietro quello che troppo spesso appare come un linguaggio eccessivo – ci siano in effetti disegni e strategie politiche, certamente non solo frutto della sua fantasia.
Risulta abbastanza evidente che lโuso di espressioni decisamente fuori le righe rientra a sua volta in una scelta comunicativa strategica, che sostanzialmente si concretizza in una postura verbale intrisa di senso di superioritร (se non di vero e proprio sprezzo), la quale dovrebbe trasmettere appunto lโidea di un potere imperiale cosรฌ forte (e cosรฌ stufo di dover scendere a compromessi) che non si fa scrupolo di manifestarsi brutalmente urbi et orbi. Insomma, Make America Great Again comincia dal mostrare un atteggiamento – appunto – da grande potenza in essere.
Al tempo stesso, รจ altrettanto evidente che lโaudience a cui รจ principalmente rivolto il messaggio intrinseco a questo linguaggio poco felpato, รจ essenzialmente quella interna agli Stati Uniti; dopo aver mobilitato lโelettorato, che lo ha portato alla Casa Bianca, รจ necessario ora mantenere un clima di mobilitazione che supporti lโazione riformatrice che Trump ha in mente, e che ha cominciato a portare avanti. E per fare ciรฒ, devono essere insufflate massicce dosi di ottimismo e patriottismo tra i cittadini.
Se e quanto questo risulterร efficace e funzionale ai piani del gruppo di potere che esprime Trump, si vedrร col tempo, anche tenendo presente che le resistenze interne non saranno nรฉ poche nรฉ di poco conto.
Ma la questione piรน importante รจ se questa postura risulterร altrettanto efficace e funzionale sul piano internazionale.
Intanto, รจ bene sottolineare che autoritร e comando sono cose distinte, anzi per certi versi persino antitetiche. Lโautoritร viene riconosciuta, il comando deve imporsi. Se, poi, si cerca di imporre la propria volontร attraverso le minacce, siamo proprio in unโaltra categoria, che รจ quella – nella migliore delle ipotesi – del bullismo.
Teniamo presente che lโautoritร degli Stati Uniti, che in passato gli ha consentito di fare largo uso di un soft power, รจ ormai largamente erosa, anche presso amici ed alleati, proprio in virtรน dellโampio uso (quando non dellโabuso) che ne รจ stato fatto. Basti pensare al meccanismo sanzionatorio, totalmente unilaterale, che deve la sua (parzialissima) efficacia proprio al fatto di estendersi ben oltre il soggetto che si intende colpire. Perchรฉ ovviamente una cosa รจ dire ad un paese che non si intende commerciare con esso (nรฉ vendere nรฉ acquistare), altra cosa รจ imporre a paesi terzi di fare altrettanto, pena lโessere soggetti ad altrettanto ostracismo. Si tratta con tutta evidenza di un approccio che non solo pone gli interessi USA al di sopra di quelli di chiunque altro (amici ed alleati compresi), ma che pretende di imporli anche quando danneggiano soggetti terzi. Vedi alla voce โsanzioni decennali alla Russiaโ.
Quando Trump minaccia quindi una guerra dei dazi – col Canada o con lโEuropa – pretendendo un riequilibrio forzoso della bilancia dei pagamenti, per un verso estende ulteriormente questo schema prevaricatore, ma al tempo stesso rinnega il fondamento dell’ideologia americana (il libero mercato), e proprio per questo agita una minaccia potenzialmente inefficace.
Si prenda ad esempio la questione dellโinterscambio commerciale tra Stati Uniti ed Europa. La tesi di Trump รจ che questo registra uno squilibrio in favore del vecchio continente (che esporta in valore piรน di quanto importa), e che quindi questo deve essere corretto aumentando gli acquisti europei – soprattutto di armi ed energia – altrimenti verranno imposti dazi del 100% sulle merci europee.
Ma, ovviamente, il punto รจ: perchรฉ cโรจ questa diseguaglianza nellโinterscambio commerciale tra le due sponde dellโAtlantico? In regime di libero mercato, questo significa semplicemente che i prodotti statunitensi sono meno competitivi (rapporto qualitร /prezzo) di altri presenti sul mercato, mentre quelli europei lo sono di piรน. Sempre secondo una logica di mercato, quindi, lโazione piรน logica dovrebbe essere quella di acquistare altrove lโequivalente dei prodotti europei. Ma – come รจ ovvio – cโรจ un enorme โmaโ: รจ chiaro infatti che a) gli USA necessitano di questi prodotti, e b) comprarli da altri paesi significa pagarli di piรน o avere una qualitร inferiore. Quindi se gli Stati Uniti non sono in grado (o non gli conviene) di produrli da soli, non possono che sottostare alle leggi di mercato. Tra lโaltro, la minaccia ricattatoria dei dazi, qualora fosse applicata, si tradurrebbe o in un maggior onere per i consumatori americani (che pagherebbero il doppio i prodotti europei), oppure in una riduzione dellโimport di quei prodotti (che ugualmente ne farebbe lievitare il costo al consumo).
Ovviamente ci sono di mezzo considerazioni politiche ed economiche piรน complesse, per cui le scelte si baseranno non semplicemente su questo schema, ma questo resta lโessenza della questione. E altrettanto evidentemente, una eventuale guerra dei dazi (reciprocamente imposti) alla fine danneggerebbe maggiormente il paese che ha il maggior deficit della bilancia commerciale, cioรจ il maggior importatore, gli USA.
Un approccio di questo genere, quindi, persino nei confronti di paesi vassalli come appunto Canada ed Europa, non puรฒ che generare contromosse. Tanto piรน se, come per i paesi europei, questi stanno giร pesantemente pagando il costo di scelte fatte per seguire gli interessi statunitensi. Vedi nuovamente alla voce โsanzioni decennali alla Russiaโ.
Altrettanto critica, se non di piรน, appare la postura trumpiana rispetto ai paesi nemici. Osservando il modo in cui, ormai da mesi, il neo-presidente si sta approcciando alla questione del conflitto ucraino, risultano evidenti alcuni elementi inconfutabili. Il primo, e piรน evidente, รจ la confusione e la disinformazione (reale e/o strumentale). Ciรฒ si evince innanzitutto dalla facilitร con cui muta continuamente la tempistica in cui presume di risolvere il problema; prima 24 ore – ovviamente una boutade, ma ripetuta ossessivamente – poi sei mesi, poi cento giorni ma se la vedrร il suo inviato Kellog, e poi si dichiara pronto ad incontrare Putin โimmediatamenteโ… Ma tutti i suoi discorsi in merito sono anche infarciti di pure sciocchezze (la Russia ha avuto 800mila morti, piรน degli ucraini; la guerra รจ colpa di Biden – quindi degli USA – perรฒ รจ una faccenda degli europei, perchรฉ โcโรจ un oceano di mezzoโ; รจ colpa di Biden, ma rimuove il fatto di essere stato lui il primo a fornire armi letali allโUcraina *; i russi hanno i missili ipersonici – e gli USA no – perchรฉ hanno rubato il progetto allโAmerica durante la presidenza Obama…).
Inoltre, le vere questioni poste dalla guerra vengono totalmente eluse, e si cerca di ridurre tutto ad una dimensione circoscritta, geograficamente e politicamente.
Ma, anche qui, รจ il linguaggio utilizzato ad apparire totalmente inadeguato, rivelando il permanere di una assoluta incomprensione (da parte statunitense) degli interessi, del punto di vista, e financo della mentalitร dei russi. Lโessenza del messaggio trumpiano, infatti, oltre ad essere appunto estremamente riduttivo, รจ riassunta nelle blandizie e nelle minacce contemporaneamente esibite. Da un lato si sottolinea come sia anche nellโinteresse russo porre fine al conflitto, ma dallโaltro si minaccia di ricorrere ad ulteriori misure coercitive qualora non ci fosse lโattesa disponibilitร a negoziare – e per attesa si intende essenzialmente nei termini previsti da Washington. Dire che in tal caso gli USA daranno piรน armi a Kiev ed inaspriranno ulteriormente le sanzioni, รจ chiaramente un approccio coercitivo, che nega in nuce un aspetto fondamentale per i russi, ovvero che i negoziati si svolgano su un piano di paritร . Si tratta infatti di un approccio basato sul concetto della “pace attraverso la forza”, che presuppone una supremazia di chi cerca di imporla.
ร fin troppo ovvio, tra lโaltro, che si tratta di minacce spuntate, posto che la Russia รจ sotto sanzioni dal 2014 (annessione della Crimea), e che USA e NATO stanno fornendo armi, soldi e supporto di ogni genere allโUcraina da dieci anni, e ciรฒ nonostante la Russia sta vincendo il conflitto.
Cโรจ poi, di fondo, la questione centrale, che rimane irrisolta ed irrisolvibile. Mentre Mosca vuole garanzie ferree sul rispetto degli eventuali accordi, e soprattutto cerca di arrivare ad una sorta di Nuova Yalta, che ridefinisca in modo stabile e duraturo gli equilibri globali, Washington non puรฒ e non vuole assumere impegni di lungo termine, ed ancor meno sancire un ridimensionamento della propria egemonia.
Vista cosรฌ la questione, sembra abbastanza evidente che non sussistono grandi possibilitร di arrivare effettivamente ad un qualche accordo, sia pure parziale. Del resto, la vera mission della presidenza Trump รจ quella di rimettere in sesto gli Stati Uniti, di modo che la successiva (che sia o meno a guida Vance) possa affrontare le sfide globali – quella cinese su tutte.
Sul piano internazionale, quindi, cโรจ da aspettarsi un sostanziale disimpegno statunitense, senza perรฒ tradursi in assenza, perchรฉ ovviamente il vuoto verrebbe riempito da altri, ed implicherebbe una perdita di prestigio.
Lo sguardo di Trump รจ rivolto verso la rough belt, piuttosto che verso il Donbass. E a ben vedere, si vede.
* come ha ricordato ieri a Davos, al WEF, lโex Segretario Generale della NATO Stoltenberg.
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