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Napoli, boss chiede il pizzo in videochat dal carcere: il silenzio delle vittime


Come un brutto film dell’orrore. Solo che qui, al centro della scena, non ci sono attori da Oscar ma un presunto boss della camorra napoletana. Uno che, pur avendo quattro ergastoli da scontare, non ha avuto esitazione a mettersi a fare il manager di se stesso. O meglio: il manager delle sue aziende occulte, in un ventaglio di interessi che spaziano dalla fabbricazione di guanti in pelle alla ricettività turistica, dal settore immobiliare a quello degli orologi rolex, filone quest’ultimo che conduce all’ormai irrinunciabile tappa di Dubai. Ma torniamo al brutto film dell’orrore. In questo caso, l’Oscar non corrisponde alla statuetta assegnata ad Hollywood ma a tale Oscar Pecorelli, presunto boss della camorra targata clan Lo Russo. È lui presunto regista di una trama in stile Silenzio degli innocenti.

Già, perché nel corso di mesi di indagine, è stato il silenzio a scandire l’atteggiamento delle vittime di racket e di estorsione. Sette sono i nomi degli imprenditori e dei commercianti finiti sotto il pressing usurario e estorsivo che la Procura di Napoli contesta a Oscar Pecorelli
 

Il retroscena

Sono sette i nomi finiti al centro dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del Tribunale di Napoli Rosamaria De Lellis, come presunte parti offese di una trama criminale che fa leva su richieste di denaro. Soldi prestati a strozzo o pretesi a titolo estorsivo. Inchiesta condotta dal pm Maria Sepe, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Sergio Amato, pochi giorni fa il blitz a Milano. Ricordate la storia? Sono stati gli uomini della Finanza (nucleo di polizia economica e finanziaria) e della polizia penitenziaria a notificare un ordine di arresto a carico di Pecorelli. Che era in cella, recluso nel carcere milanese di Opera, dove amministrava i propri affari, tramite il sistema dei colloqui legalmente assicurati alla giustizia. In sintesi, il gruppo che ruota attorno a Pecorelli riusciva a convocare imprenditori e operatori economici, nel corso di vere e proprie audizioni in videoconferenza. Da una parte all’altra dello schermo, le minacce. E le richieste di onorare debiti (per prestiti a strozzo) o di pagare il pizzo.

Video

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Dall’altra parte, il tentativo di assecondare i malcapitati. E la paura di denunciare. Parti offese in silenzio, tacciono tutti. Paura per eventuali reazioni da parte di un soggetto ritenuto responsabile di alcuni omicidi nel corso delle faide che hanno insanguinato l’area a nord di Napoli, nel corso del primo decennio di questo secolo. Non è un caso che Oscar Pecorelli è indicato come ‘o malommo, proprio per il suo talento a dare sfoggio alla violenza. Una vicenda, quella del racket in videoconferenza, che è culminata nelle manette a carico dello stesso boss ergastolano, ma anche nei confronti della moglie Mariangela Carrozza; mentre il gip ha disposto gli arresti domiciliari nei confronti del figlio della coppia Rosario Pecorelli (età 19 anni). Uno scenario investigativo che ruota attorno alla capacità da parte degli inquirenti di acquisire (e intercettare) le conversazioni avvenute nel corso dei colloqui. Sono stati identificati almeno sette soggetti che, almeno per il momento, si sono guardati bene dal confermare le ipotesi investigative. 

L’udienza

Due le ipotesi: o sono invischiati a vario titolo nelle attività di riciclaggio che sarebbero state messe in campo in questi anni da soggetto recluso a Milano; o sono semplicemente delle vittime timorose di una reazione di un soggetto che può contare – dicono gli inquirenti – su una fitta trama di complici. C’è una intercettazione agli atti: «Non vorrei essere costretto a chiamare mio cugino o il mio amico – dice – perché non vorrei essere costretto a schiattarti la testa…». Questa mattina i tre soggetti avranno modo di difendersi nel corso dell’interrogatorio di garanzia, nel tentativo di dimostrare l’estraneità alle accuse mosse dalla Dda di Napoli. Difesi dal penalista Domenico Dello Iacono, i presunti esponenti del gruppo Pecorelli sono indicati al centro di una trama affaristica che si sarebbe avvalsa anche di diversi prestanome. Agli atti dell’inchiesta spuntano veri e propri fogli contabili, sempre riconducibili al boss detenuto. Fanno parte della gestione di una azienda oggi finita sotto sequestro, dove – secondo i pm – sarebbero finiti i soldi di racket e usura. Tutto ciò nel silenzio degli innocenti. 





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