Il Santo Padre ha concluso l’udienza di oggi in Aula Paolo VI, dedicata alla figura di San Giuseppe, con un duplice appello: per la cessazione della violenza nella Repubblica democratica del Congo e per la pace nei tanti Paesi in guerra. Ai polacchi: il ricordo delle vittime dei campi di concentramento sia “un monito per il costante impegno della pace”
Si è conclusa con un duplice appello, per la cessazione della violenza nella Repubblica in Congo e per la pace nei tanti Paesi in guerra, l’udienza di Papa Francesco, pronunciata in Aula Paolo VI. “Essere vicino a tanti bambini che non hanno famiglia e desiderano un papà e una mamma”, il saluto ai fedeli di lingua araba. “In questi giorni – il saluto ai pellegrini polacchi – ricordiamo i vostri connazionali che insieme ai membri delle altre nazioni furono vittime dello sterminio nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda guerra mondiale”. “Siate custodi della verità e della memoria di questa tragedia e delle sue vittime, tra cui non pochi martiri cristiani”, l’invito finale: “È un monito per il costante impegno per la pace e per la difesa della dignità della vita umana in ogni nazione e in ogni religione”. Continuando il ciclo di catechesi di tutto l’anno giubilare, “Gesù nostra speranza”, il Santo Padre si è soffermato sulla figura dello sposo di Maria, così come è descritta nel Vangelo di Matteo.
Giuseppe è un “uomo giusto, che vive della legge del Signore, che da essa trae ispirazione in ogni occasione della sua vita”,
il ritratto del Papa, che ha ricordato come “Giuseppe entra in scena nel Vangelo di Matteo come il fidanzato di Maria”. “Per gli ebrei il fidanzamento era un vero e proprio legame giuridico, che preparava a ciò che sarebbe accaduto circa un anno dopo, cioè la celebrazione del matrimonio”, ha spiegato Francesco: “Era allora che la donna passava dalla custodia del padre a quella del marito, trasferendosi in casa con lui e rendendosi disponibile al dono della maternità. È proprio in questo lasso di tempo che Giuseppe scopre la gravidanza di Maria e il suo amore viene messo duramente alla prova”. “Di fronte a una situazione simile, che avrebbe comportato la rottura del fidanzamento, la legge suggeriva due soluzioni possibili: o un atto giuridico di carattere pubblico, come la convocazione della donna in tribunale, oppure un’azione privata come quella della consegna alla donna di una lettera di ripudio”, ha proseguito il Papa: “Seguendo la Parola di Dio, Giuseppe agisce ponderatamente: non si lascia sopraffare da sentimenti istintivi e dal timore di accogliere con sé Maria, ma preferisce farsi guidare dalla sapienza divina. Sceglie di separarsi da Maria senza clamori, cioè privatamente”.
Che cosa sogna Giuseppe di Nazaret? “Sogna il miracolo che Dio compie nella vita di Maria, e anche il miracolo che compie nella sua stessa vita”,
le parole di Francesco: “assumere una paternità capace di custodire, di proteggere e di trasmettere un’eredità materiale e spirituale. Il grembo della sua sposa è gravido della promessa di Dio, promessa che porta un nome nel quale è data a tutti la certezza della salvezza”. E’ la sua saggezza, “che gli permette di non sbagliarsi e di rendersi aperto e docile alla voce del Signore”: in questo modo, Giuseppe di Nazaret richiama alla memoria un altro Giuseppe, figlio di Giacobbe, soprannominato signore dei sogni, tanto amato dal padre e tanto odiato dai fratelli, che Dio innalzò facendolo sedere alla corte del Faraone”. Di fronte alla rivelazione avuta in sogno, “Giuseppe non chiede prove ulteriori, si fida: Giuseppe si fida di Dio, accetta il sogno di Dio sulla sua vita e su quella della sua promessa sposa”. “Così entra nella grazia di chi sa vivere la promessa divina con fede, speranza e amore”, ha commentato il Papa:
“Giuseppe, in tutto questo, non proferisce parola, ma crede, spera e ama. Non si esprime con parole al vento, ma con fatti concreti.
Egli appartiene alla stirpe di quelli che l’apostolo Giacomo chiama quelli cioè che mettono in pratica la Parola, traducendola in fatti, in carne, in vita. Giuseppe si fida di Dio e obbedisce. Il suo essere interiormente vigilante per Dio diventa spontaneamente obbedienza”. “Chiediamo anche noi al Signore la grazia di ascoltare più di quanto parliamo, la grazia di sognare i sogni di Dio e di accogliere con responsabilità il Cristo che, dal momento del battesimo, vive e cresce nella nostra vita”, l’esortazione della catechesi.
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